Dal muscolo alla carne
L’uva non è vino, l’acqua e la farina non sono pane, il latte non è formaggio e, allo stesso modo, il muscolo non è carne. Fondamentale è la qualità della materia prima, ovvero dell’uva, farina, latte e muscolo, ma per avere un buon vino, pane, formaggio e carne sono necessari procedimenti tradizionali che la ricerca tecnica e scientifica migliora continuamente. Nella trasformazione del muscolo in carne, in particolare, i miglioramenti riguardano i processi di frollatura e, in molti casi, anche di maturazione e stagionatura.
Per una buona cucina della carne è fondamentale la frollatura del muscolo che è differente per ogni specie animale in quanto si tratta di un tessuto dinamico che risponde diversamente prima, durante e dopo la morte dell’animale. Questa reattività ha un grande impatto sulla qualità e sul valore della carne che ne risulta, che parte dalla qualità del muscolo. Per questo gli sforzi per migliorare la genetica, la crescita e lo sviluppo muscolare degli animali devono considerare gli effetti sulla trasformazione del muscolo in carne e sul comportamento di questo tessuto durante i processi di trasformazione culinari e salumieri.
Per comprendere appieno gli effetti di miglioramenti e problemi nella crescita e nello sviluppo dei muscoli, è necessario considerare il loro effetto sull’utilizzazione finale del muscolo come carne, perché molti dei processi e delle anomalie fisiologiche del muscolo influiscono direttamente sulla qualità della carne o la influenzano attraverso la risposta del muscolo durante i processi di lavorazione, trasformazione, conservazione, cottura ecc. La genetica, il sistema di allevamento e di alimentazione, il trasporto e il metodo di macellazione dell’animale e le attività dell’impianto di trasformazione interagiscono nel determinare la qualità della carne che per questo è un argomento estremamente complesso che coinvolge non solo anatomia e metabolismo muscolare, ma anche ingegneria, psicologia e marketing, solo per citare alcuni aspetti. Nella trasformazione del muscolo in carne è di particolare importanza la frollatura.
Frollatura
La frollatura, termine di incerta origine, è un procedimento tecnico di maturazione della carne dopo la macellazione dell’animale, finalizzato ad ammorbidirne le fibre muscolari, a rendere la carne più morbida e gradevole al palato e a ridurre l’aroma di selvatico. L’animale muore nel giro di pochi minuti dopo la macellazione ma le cellule muscolari continuano a metabolizzarsi e rispondono per ore dopo l’interruzione respiratoria e la morte cerebrale dell’animale; durante queste ore il muscolo continua ad avere energia che alimenta le risposte all’ambiente, più comunemente in termini di colore e consistenza.
Durante la frollatura nella carne si svolgono processi di natura fisico-chimica e biologici: tra i primi troviamo la perdita di acqua e l’ossidazione dei grassi, mentre tra i secondi sono comprese la fermentazione degli zuccheri (glucosio e glicogeno) in acido lattico e le scissioni enzimatiche delle proteine. In una buona macelleria la carne è fatta maturare all’interno di ambienti controllati per temperatura, umidità, pH ed altri parametri.
La temperatura ambientale, le condizioni e la durata del trasporto degli animali al macello, e la loro manipolazione, contribuiscono allo stress pre-macellazione che influisce sulla muscolatura diminuendo, e a volte quasi azzerando, gli zuccheri muscolari, e alterando il colore, la consistenza e la funzionalità proteica muscolare, e quindi molti requisiti della carne. Lo stordimento è un altro fattore che ha un grande effetto sul metabolismo muscolare post mortem e sulla qualità della carne.
Dopo la morte, il raffreddamento può indurire la carne aggiungendo però succosità, mentre l’invecchiamento impedisce alla carne di indurirsi in risposta al disossamento. La stimolazione elettrica delle masse muscolari dell’animale macellato è una recente innovazione che riduce la necessità di invecchiamento, accelerando l’esaurimento energetico post-temporale e riducendo la capacità del muscolo di indurirsi durante il disossamento.
La durata della frollatura varia con il tipo di carne, è minima o quasi assente per le carni bianche di pollame ma va aumentando nelle carni rosee di maiale e di vitello e ancora di più in quelle carni rosse di manzo e poi di bovino, per divenire molto lunga per le carni rosso scure (se non quasi nere) della selvaggina. Durante la frollatura e in condizioni normali vi è una perdita di peso per l’evaporazione di acqua e, in presenza di ossigeno, si verifica l’ossidazione (irrancidimento) dei grassi.
Frollatura della carne bovina
Subito dopo la macellazione la carne dei bovini è dura, legnosa, con una struttura rigida delle fibre muscolari (rigor mortis) e di poco sapore. Successivamente, la rigidità diminuisce e, dopo circa 24 ore, il glicogeno contenuto nel muscolo inizia ad essere trasformato in acido lattico, con un parallelo aumento dell’acidità che consente l’avvio di reazioni biochimiche che demoliscono le strutture proteiche complesse, soprattutto quelle del collagene responsabile della consistenza e durezza alla carne. Parallelamente alle reazioni biochimiche vi è uno sviluppo di una flora batterica, e soprattutto di lattobacilli che svolgono un’azione simile alle reazioni enzimatiche endogene. L’insieme di queste azioni prende il nome di frollatura che trasforma il muscolo in carne, qualitativamente migliore e decisamente più appetibile della materia prima di partenza. La frollatura è particolarmente importante per le carni rosse come quella bovina e per ottenere un’ottima carne bisogna seguire corrette procedure che partono dagli allevamenti.
Nell’ultimo periodo di allevamento, e nella cosiddetta fase di finissaggio che precede la macellazione, l’alimentazione deve contenere cereali che favoriscano l’accumulo di glicogeno nei muscoli che deve essere mantenuto e non consumato con una stressante cattura degli animali in allevamento, un lungo e affaticante trasporto al macello e in una snervante fase della macellazione. È assolutamente necessario evitare maltrattamenti e situazioni stressanti agli animali per tutelare il loro benessere e per preservare il glicogeno muscolare, dal momento che i muscoli degli animali sofferenti sono scarsi o quasi privi di glicogeno e quindi danno carni di scarsa qualità
Dopo la macellazione è necessario garantire ottime condizioni igieniche per evitare la possibile contaminazione delle carni con microrganismi potenzialmente patogeni. In alcuni Stati, subito dopo la macellazione, è consentito irrorare le carcasse con una soluzione di acido lattico per iniziare immediatamente l’acidificazione dei muscoli evitando contaminazioni microbiologiche.
Tradizionalmente, la frollatura avveniva nella bottega del macellaio e condizione fondamentale era garantire condizioni ottimali di umidità, temperatura ed aereazione. Per evitare un eccessivo asciugamento delle carni della mezzena questa era anche mantenuta con la sua pelle; ciò provocava però contaminazioni microbiche e odori sgraditi, per cui si è passati a coperture con appositi materiali (Meat Stokinettes). Nel passato, l’abilità dei macellai si basava sulla capacità di frollare la carne all’interno della loro bottega e, trattandosi di un processo che per alcune carni può anche arrivare ad un mese, il macellaio doveva resistere alla voglia di un guadagno immediato vendendo carne non ancora ben frollata.
Oggi nei supermercati si trova carne proveniente da lontano, come il manzo argentino o australiano, che per ovvi motivi è stata macellata da diverse settimane. In questi casi, le mezzene o i tagli di pregio, anche sottovuoto, non sempre sono sottoposti ad un processo di frollatura controllata e la carne, viaggiando per 10-20 giorni in una cella frigorifero sulla nave, subisce una maturazione non controllata che permette comunque di renderla più tenera.
Nuove tecniche di frollatura
Recentemente sono studiati e applicati nuovi sistemi di frollatura.
Wet aging o frollatura sottovuoto. La frollatura sottovuoto, utilizzata soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, si ottiene inserendo un pezzo di carne in una busta dove è fatto il vuoto e che è poi conservata tra 0 e 7 °C. Con questa tecnica la carne non perde peso ma alcuni processi di maturazione non avvengono e non si ha un buon sapore aromatico originato dalla proteolisi e lipolisi. La durata di solito non supera i 30 giorni e la tecnica è utilizzata soprattutto dalle grandi industrie, dai grossisti e dai rivenditori, perché richiede meno tempo e non vi è perdita di peso a discapito di gusto e tempo di conservazione. La carne va utilizzata dai 2 ai 4 giorni dopo l’apertura della busta utilizzata per la frollatura sottovuoto.
Frollatura in atmosfera modificata (MAP). Utilizzando il confezionamento del sottovuoto, al posto di questo viene immessa una miscela di gas con una quantità di ossigeno compresa tra il 60% e l’80%, gas che mantiene il colore rosso/rosa della carne. Le carni rosse bovine necessitano di un livello di ossigeno più elevato rispetto a carni meno vivaci come il maiale.
Dry aging o frollatura a secco. La frollatura della carne a secco avviene ad una temperatura compresa tra 0 e 4 C° in appositi stagionatori. Il processo di disidratazione fa perdere peso alla carne che assume un colore esterno molto scuro. Il processo di essiccazione che ne risulta porta ad una maggiore concentrazione del sapore e del gusto delle carni bovine, mentre l’azione degli enzimi della carne bovina disgrega il tessuto connettivo portando a bistecche più tenere. Il dry aging si presta bene per tagli di carne molto grassi e marezzati ed è usato in Italia quasi esclusivamente in alcune macellerie di pregio e in alcune steak house.
Frollatura e tenerezza della carne
La tenerezza della carne bovina, una delle caratteristiche più ricercate e apprezzate, dipende da numerosi fattori, a partire dalla genetica dell’animale fino al metodo di cottura sul fornello di casa. Di conseguenza, alcune delle problematiche che rendono la carne dura e stopposa sono determinate dal processo di macellazione e lavorazione, soprattutto frollatura, che ha subito prima dell’arrivo del prodotto nelle mani del consumatore, altre invece derivano da errori in cucina.
I primi fattori che influenzano la tenerezza della carne sono di tipo genetico e determinano il tipo di fibre muscolari, la quantità di tessuto connettivo che rende la carne più coriacea e tenace, la quantità e la distribuzione del grasso nel muscolo e il corredo enzimatico. Si tratta di caratteristiche collegate alla razza che possono essere influenzate anche dal metodo di allevamento, dall’alimentazione, dal grado di benessere dell’animale, dall’età e dal peso alla macellazione. Ad esempio, la quantità di connettivo che rende la carne dura e tenace dipende molto dal sesso e dall’età dell’animale. Al contrario, maggiore è la quantità di grasso intramuscolare (marezzatura), più la carne risulta tenera. Di conseguenza, l’abitudine molto diffusa tra gli italiani di preferire tagli dall’aspetto magro e con poco grasso aumenta la probabilità di avere carne dura.
Il secondo fattore che influisce sulla tenerezza della carne è la frollatura che dovrebbe essere compiuta con tempi diversi in relazione alla razza, al genere, al tipo di fibre muscolari e all’età dell’animale. La durata di questo processo varia molto: si passa da 3/10 dieci giorni a 30 giorni e anche molto di più.
L’ultimo elemento che influenza la tenerezza della carne è il metodo di cottura. Le alte temperature provocano la coagulazione delle proteine e fanno evaporare i liquidi; quindi, più a lungo è cotta più dura sarà la carne nel piatto, soprattutto se è carne magra. Tempi e temperatura di cottura dipendono molto dalle caratteristiche del pezzo di carne scelto. Se la carne contiene molto connettivo e pochi grassi è preferibile una cottura lenta a bassa temperatura, come un brasato: il collagene del connettivo comincia a sciogliersi (o meglio gelatinizzare) già a 55°C, mentre le proteine coagulano a 65°. Per le cotture veloci ad alte temperature, come la griglia, sono adatti tagli di carne con venature di grasso (marezzatura) e ben frollate, in modo da mangiare una carne tenera al centro anche con una cottura al sangue.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.