Il 30 gennaio scorso, in Commissione Agricoltura del Senato, si è tenuta un’audizione informale in presenza dei rappresentanti di Confagricoltura, Coldiretti, CIA, Copagri, Alleanza delle Cooperative Italiane, UNCI Agroalimentare, UECOOP, Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana, Associazione italiana allevatori (AIA), Assolatte, Associazione nazionale allevatori specie bufalina (ANASB) e RIS Bufala. Obiettivo dell’incontro è stato quello di affrontare le problematiche della filiera bufalina attraverso presentazione dei punti critici individuati dalle varie associazioni, consorzi e sindacati e dibattito con i senatori presenti in aula. L’incontro è stato cruciale per segnalare che, nonostante la crescita positiva soprattutto per il mercato della Mozzarella di Bufala Campana DOP, ci sono ancora alcuni elementi da migliorare per portare la filiera stessa a un successivo livello di benessere per tutti gli operatori che ne fanno parte, dagli allevatori ai caseificatori.
Il comparto bufalino di recente ha avuto una tendenziale crescita sia sotto il profilo numerico di animali allevati che economico aziendale. Infatti, nell’anno 2018 è stata raggiunta la quota dei 400.000 capi allevati in Italia, con una tendenza alla concentrazione degli allevamenti (diminuiscono gli allevamenti ma aumentano i capi allevati). In Italia è allevata la Bufala Mediterranea Italiana, razza che si è consolidata nei secoli sul nostro territorio grazie alla non contaminazione genetica di altri ceppi provenienti da altri Paesi. Nel Mondo sono allevate circa 180.000.000 di bufale e la nostra Razza rappresenta solo il 2,2 per mille della popolazione mondiale. Dei 400.000 capi allevati in Italia, più del 90% è allevato nell’area di produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP, considerando che tale prodotto può essere ottenuto solo dal latte proveniente dagli animali di Razza Mediterranea Italiana. La popolazione allevata nell’Area DOP per il 78% ricade in Campania, per un 19% nel Lazio e per un 3% nelle altre regioni (Molise e Puglia). E’ evidente che tutto il comparto è fortemente dipendente dal mercato del prodotto finale (la Mozzarella DOP) e proprio per questo si parla di filiera bufalina intesa come un unico soggetto macroeconomico (fonte: R.I.S. Bufala).
Tra i temi più rimarcati dalle varie parti intervenute all’audizione, c’è la tracciabilità della filiera bufalina, disciplinata dal D.M. n. 9406 del 9 settembre 2014, recante misure per la sicurezza alimentare e la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. Il decreto prevede specifici obblighi di trasmissione dei dati di produzione, trasformazione, acquisto e vendita da parte degli allevatori bufalini, dei soggetti intermediari e dei trasformatori del latte di bufala. Dal momento di attuazione della norma ad oggi sono stati fatti passi avanti, ma le parti sostengono che c’è ancora spazio di miglioramento perché gli obiettivi della tracciabilità non sono stati pienamente raggiunti. Quello che i relatori, come Confagricoltura, chiedono è l’implementazione del decreto ministeriale affinché tutti gli allevatori, che sono gli operatori meno avanti sulla comunicazione dei dati, siano in regola con i dati per la trasparenza di filiera. Gli interventi potrebbero essere a costo zero per l’amministrazione, con buona efficacia nella riuscita di implementazione della norma.
Altro punto molto sentito ed anche urgente, data l’imminenza della scadenza della proroga concessa alla regione Campania, riguarda la gestione delle deiezioni ai fini della direttiva nitrati. Con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 762 del 05 dicembre 2017, sono stati riconosciuti in Campania 311 comuni interessati da una nuova delimitazione delle zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola (per una superficie totale di circa 316,5 mila ettari, il 23% circa della superficie territoriale regionale). Grazie ad un tavolo tecnico tenutosi presso l’Assessorato regionale all’Agricoltura, sono stati alleviati i vincoli legati alle aree vulnerabili, con il divieto di distribuire oltre 170 chili di azoto per ettaro, procrastinando l’entrata in vigore della nuova delimitazione al 1° marzo 2019. La questione è particolarmente legata alla filiera bufalina e la soluzione potrebbe essere, con il coinvolgimento della regione Campania, l’implementazione dei punti di gestione delle deiezioni, sulle orme di quello già attivo a Santa Maria la Fossa (CE). Come osserva CIA, in particolare il presidente Alessandro Mastrocinque, non intervenire comporterebbe l’abbattimento dei capi bufalini, con forti ripercussioni sull’intera filiera, oltre che la perdita dell’importante patrimonio genetico ormai consolidato per questa specie.
In fatto di biosicurezza e gestione degli antibiotici in allevamento, la proposta di Paolo Conte, direttore di Copagri Campania, è sicuramente rilevante, in quanto evidenzia che, per gli allevamenti di piccole dimensioni potrebbe essere complicato investire in un veterinario aziendale: ci dovrebbe dunque essere un intervento per rafforzare il sistema e far sì che anche gli allevamenti più piccoli possano garantirsi economicamente tale figura di rilievo.
Fra le altre criticità messe in evidenza, vi sono gli incentivi agli allevatori affinché siano in grado di fare produzioni sostenibili, la questione legata al benessere animale, la necessità di lavorare su una migliore prevenzione delle malattie e, non da ultimo, una strategia efficace di promozione sui mercati extra-UE.
Altro elemento che pare assai poco valorizzato per questa importante filiera dell’agroalimentare italiano è la cooperazione. Come abbiamo già in visto in esempi recenti (Caseificio Pennar Asiago, la discussione al meeting in Commissione AGRI in Parlamento Europeo e Bovinmarche), il nord Italia risulta virtuoso in cooperazione nel settore lattiero-caseario e delle carni, con benefici su più fronti: culturale, sociale, economico e di presidio del territorio, nonché ambientale. Secondo Gennario D’Alessio della Cooperativa Rivabianca di Paestum (SA), che copre la filiera dalla produzione di alimenti zootecnici fino al prodotto finito, il sud ha molto bisogno di questo tipo di forma societaria, soprattutto poiché la parcellazione fondiaria e la diffidenza tra colleghi di settore hanno raggiunto livelli molto elevati ed anche non realmente profittevoli. Va rammentato che del recente circa +6% di export per l’agroalimentare italiano, la Mozzarella di Bufala Campana DOP ne ha prodotto una quota rilevante: il settore pesa economicamente sulla nostra economia, perciò merita un occhio di riguardo anche sotto il profilo della cooperazione.
Condividiamo il documento di R.I.S. Bufala, che riporta un interessante approfondimento sul mercato della carne di bufalo, settore in continua crescita nel mondo che fatica a decollare in Italia a causa di mancanza di strategie di sistema in grado di valorizzare le eccellenze e le peculiarità di alcune razze e specie. Nel documento vengono proposte le possibili azioni per intervenire nella valorizzazione del settore.
A questo link, potete trovare altri documenti condivisi in seguito all’Audizione al Senato e il video della seduta.