Il 2020, più di qualsiasi altro, è stato l’anno della scienza. Medicina, epidemiologia, biotecnologie, virologia: questi e molti altri sono stati gli argomenti che, spodestando il gossip e il calcio, sono passati di bocca in bocca raggiungendo le masse come mai prima.
Se da una parte questa potrebbe sembrare una svolta educativa positiva – cosa può esserci di meglio dell’avere medici e infermieri come eroi nazionali ed esempio per i più giovani? – la situazione ha assunto un aspetto paradossale. Chiunque, indiscriminatamente, si è sentito in diritto di disquisire di tematiche che normalmente richiedono molti anni di studio per essere comprese a pieno e analizzate con occhio critico.
Mentre tutto il mondo si rendeva conto di quanto questa divulgazione incontrollata dei temi scientifici possa diventare pericolosa, il contesto zootecnico, che ben conosce questa annosa questione, non ha potuto fare altro che osservare con lo sguardo di chi già sa.
Negli ultimi decenni il mondo allevatoriale è stato sviscerato, demonizzato e criminalizzato a più riprese, con la complicità dell’avvento di un utilizzo globale di internet.
Sebbene sia fuori da ogni dubbio che l’allevamento abbia ancora molto su cui lavorare, c’è da dire che molte sono le falsità, le inesattezze e le parziali verità proposte dalla propaganda animalista più estrema. Grazie ad una comunicazione che si appella direttamente alla pancia del pubblico, queste vere e proprie diffamazioni hanno raggiunto gli occhi e le orecchie di tantissimi, modificando in maniera indelebile il mercato del nostro settore.
La risposta della zootecnia molto spesso è stata poco puntale e dotata – come avviene per la maggior parte delle informazioni a carattere scientifico – di scarso appeal per il consumatore medio.
Come è stato sottolineato in questo articolo (Dedicato a chi si occupa di comunicazione del latte) troppo spesso la comunicazione del settore lattiero-caseario (e non solo) ha utilizzato immagini di prati verdi e animali in libertà, immagini che si trovano ad essere estremamente distanti dalla realtà della stragrande maggioranza degli allevamenti di oggi; nel tentativo di accontentare i consumatori presentando loro quello che si riteneva volessero vedere, si è mostrato il fianco a chi ogni giorno cerca di mettere in cattiva luce l’allevamento, alimentando in molti la sensazione di essere stati a lungo ingannati.
Esattamente come si è reso evidente negli ultimi mesi con le scienze mediche, le scienze zootecniche e veterinarie contemporanee sono di difficile comprensione per chi non è dotato di un background coerente con la tematica: è comprensibile come possa sembrare bestiale allontanare un vitello dalla sua mamma agli occhi di chi ha una vita lontana dai contesti rurali e si è formato per svolgere tutt’altra professione. La tendenza a valutare secondo un filtro personale, indipendentemente dalle conoscenze che si possiedono, questo tipo di tematiche è stata inoltre incentivata da un immaginario tremendo creato da molte associazioni animaliste e dall’attuale tendenza di molti di umanizzare gli animali, siano essi “da reddito” o da “compagnia”.
Mantenendo il parallelismo con l’attuale situazione: agli occhi degli addetti ai lavori è palese come una mascherina possa essere uno strumento molto utile per tamponare il diffondersi di certe patologie, tuttavia non è così scontato per chi non conosce i meccanismi alla base di una malattia come il Covid-19. Per questo motivo da tantissimi la mascherina è stata associata alla museruola, alla limitazione della libertà individuale e all’impossibilità di una respirazione corretta.
Se per chi lavora nel settore è evidente che mantenere i vitelli separati tra loro nelle prime settimane di vita e allontanarli immediatamente dalle madri non sia una forma di maltrattamento, è invece normale che chi non ha conoscenze in materia si trovi a cercare di comprendere la situazione utilizzando gli strumenti che possiede e facendo associazioni errate, legittimate dalla sensazione di inganno a lungo fomentata da una comunicazione poco trasparente del settore.
Sta a noi trovare le parole, le immagini e il metodo per raccontare, spiegare e mostrare in maniera onesta un settore pieno di sfumature e che ogni giorno mescola tradizione e innovazione scientifica.
Il fatto che visitare un allevamento – virtualmente o, più raramente, fisicamente – sia l’unico modo per tantissime persone per uscire dalla propria bolla e entrare in contatto con la consapevolezza che l’esistenza umana quasi sempre si basa sullo sfruttamento di altre forme di vita non ci aiuta perché, purtroppo, tende a circoscrivere il problema al mondo allevatoriale, scagionando tanti settori che agli occhi dell’uomo medio si presentano come puliti, senza di fatto esserlo realmente.
Raccontare la scienza con parole semplici è difficile, ma farlo in questo periodo storico, in cui l’attenzione del consumatore è diventata una merce rara e preziosa, lo è ancora di più. Bisogna creare una nuova narrativa dell’allevamento, un dipinto più sincero e, allo stesso tempo, comprensibile.
La tendenza all’umanizzazione tipica del consumatore medio può venire in nostro aiuto: si tratta di un modo di valutare la vita degli animali assolutamente errato ma difficile da eradicare senza un lavoro di rieducazione lunghissimo; quindi, perché non sfruttarlo a vantaggio di un’informazione più corretta?
La vita “innaturale” condotta dagli animali da reddito è uno degli aspetti più criticati dalla propaganda animalista, tuttavia anche la quotidianità dell’uomo di oggi è estremamente distante da quella dei nostri antenati; nonostante ciò il progresso ci ha portato numerosi vantaggi, gli stessi che ha portato agli animali, liberi oggi da fame, sete e predatori.
Forse un racconto onesto e più adatto agli strumenti interpretativi dei nostri consumatori può essere la chiave per tornare a vedere il mondo da un punto di vista comune, svestendo la zootecnia del ruolo di aguzzino e aprendo la strada alla comunicazione del valore del lavoro e dell’impegno che caratterizzano un settore ricco di sfumature e innovazione.