Ricordo del passato per comprendere il presente

Nel 1953 arrivo a Parma per insegnare Microbiologia e Immunologia Veterinaria nella Facoltà di Medicina Veterinaria. Non ricordo per quale motivo un giorno vado nelle soffitte dell’Istituto che mi ospita in Borgo Carissimi e, tra le tante polverose cose abbandonate e dimenticate, vedo una serie di vasi di vetro dotati all’interno di un marchingegno rotatorio. Dei due inservienti dell’Istituto, depositari di antichi avvenimenti, solo Simone, il più anziano, sa di cosa si tratta. Mi dice infatti che servivano al Prof. Brentana per la cura dell’afta epizootica. Domenico Brentana (1828 – 1934) è l’ultimo Direttore del Regio Istituto Superiore di Medicina Veterinaria prima della sua trasformazione in Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma, avvenuta nel 1931. Il ricordo di questo episodio mi viene riflettendo sulle odierne vicende della pandemia da coronavirus perché la memoria del passato può suggerirci intuizioni sul presente.

Domenico Brentana e la sieroterapia dell’afta bovina

In gran parte dei trattati di economia agraria e rurale tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento domina l’idea che il bestiame sia un male necessario: necessario come forza lavoro e produttore di letame ma male per le pestilenze, mortalità e ondate epizootiche che fin dall’antichità continuano a uccidere gli animali per cause oscure, come oscure sono le cause delle epidemie umane. Tra le epizoozie bovine una particolare importanza hanno le pesti e il cancro volante della lingua, così denominato per la rapidità della sua diffusione e identificato oggi con l’afta epizootica che a ondate successive ha a lungo dominato e devastato gli allevamenti bovini della pianura padana. L’afta epizootica è una malattia altamente contagiosa con mortalità relativamente bassa (5%), il cui agente patogeno è un virus filtrabile scoperto nel 1898 dai batteriologi tedeschi Friedrich Löffler e Paul Frosch. Un vaccino adsorbito è sviluppato nel 1938 da Otto Waldmann, ma la scomparsa della malattia si ottiene solo con una eradicazione dei focolai infetti alla fine del Novecento.

Fin dall’antichità, ma soprattutto con le norme dettate da Giovanni Maria Lancisi (1654 – 1720), le epizoozie del bestiame sono controllate con sistemi ancora oggi ben noti e cioè la chiusura dei commerci e dei mercati e le quarantene, mentre all’interno delle stalle si pratica l’aftizzazione con la quale s’infettano tutti gli animali per avere l’ormai nota “immunità di gregge” termine che, come ben si vede, prende origine dai greggi d’animali ruminanti. La cura degli animali ammalati si basa su trattamenti empirici tutt’altro che soddisfacenti se non completamente inefficaci.

Parma è un territorio dove il bestiame bovino non è soltanto un produttore di lavoro e di letame, ma anche di un latte prezioso per il formaggio parmigiano. Nella ricerca di una cura efficace dell’afta epizootica Domenico Brentana, a conoscenza dei progressi raggiunti dalla scienza immunologica, per animali di speciale valore imbocca la strada della immunoterapia e si procura dei vasi di vetro nei quali raccoglie il sangue di bovini che sono guariti dall’afta epizootica. Come mi spiega l’anziano inserviente Simone, che da giovane seguiva e aiutava il Prof. Brentana, con una dolce agitazione nel vaso si separava il coagulo sanguigno dal siero che era somministrato per via endovenosa per la cura degli animali, un sistema che si rivelava indubbiamente efficace, ma che aveva il grave difetto di poter essere applicato solo in un limitato numero di capi.

La terapia con siero o plasma di sangue immune ricavato da individui che hanno superato la malattia la vediamo oggi risuscitata nella cura dei malati di coronavirus, per i quali si cerca anche una cura con farmaci di più ampia disponibilità e meno difficoltosi da ottenere, come nel passato si era tentato anche sui bovini e cavalli con la cosiddetta Cura Baccelli applicata sull’uomo.

La Cura Baccelli, dall’uomo a ruminanti e cavalli

Della Cura Baccelli, prima dell’era antibiotica, ho un preciso ricordo nelle lezioni di clinica medica veterinaria degli anni quaranta del secolo scorso tenute del prof. Albino Messieri che, a proposito delle polmoniti, si dimostra molto scettico sulla reale efficacia delle cure, prospettando nella maggioranza dei casi l’invio al macello dell’animale ancora in buone condizioni per ricuperare almeno una certa quantità di carne.

Guido Baccelli (1830 – 1916) è un medico, un politico e un accademico italiano, sette volte Ministro della Pubblica Istruzione e una volta Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio. In medicina è tra i primissimi in Italia a fare un uso sistematico dello stetoscopio e il suo paziente più celebre è il Re Vittorio Emanuele II, che Baccelli assiste durante l’ultima fatale malattia broncopolmonare durante la quale sperimenta l’uso dell’ossigeno, che consente al Re di svolgere alcuni atti necessari alla successione e di riconciliarsi con la Chiesa cattolica. Nella terapia Guido Baccelli predilige i medicamenti eroici da destinarsi a casi particolarmente gravi, o apparentemente senza speranza, usando iniezioni endovenose. Con iniezioni intravenose di idroclorato di chinina nel 1889 Baccelli ottiene alcune clamorose guarigioni dalla malaria perniciosa che nel 1890 gli valgono il seguente elogio dal grande patologo tedesco Rudolph Virchow (1821 – 1902): “Ciò che Joseph Lister (1827 – 1912) fece per la superficie del corpo, Baccelli ha fatto per la crasi del sangue”.

Siamo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: la nuova scienza della Microbiologia sta dimostrando che molte malattie sono causate da microrganismi e che, tra le polmoniti, la cosiddetta Polmonite Franca è causata da un batterio isolato nel 1881, e conosciuto più tardi nel 1886 come pneumococco, simultaneamente e indipendentemente scoperto da George Sternberg dell’esercito degli Stati Uniti e dal francese Louis Pasteur. Da qui l’idea dei medici più avventurosi di usare dei disinfettanti per uccidere i microbi che provocano la polmonite e come medicamento eroico si sperimentano le iniezioni endovenose di sublimato corrosivo, denominando questo intervento come Cura Baccelli, facendo anche leva sulla notorietà del clinico.

Il sublimato corrosivo o cloruro mercurico altro non è che il sale di mercurio (II) dell’acido cloridrico, un composto molto tossico, corrosivo e pericoloso per l’ambiente, usato dai medici arabi nel Medioevo per disinfettare le ferite e che continua ad essere usato fino al ventesimo secolo, quando la medicina moderna lo considera non sicuro, se non pericoloso. Una delle malattie nelle quali nel passato, prima dell’avvento di antibiotici, il sublimato corrosivo è largamente usato è la sifilide, ma l’avvelenamento da mercurio è così comune che i sintomi di quest’ultimo sono spesso confusi con quelli della sifilide stessa. Iniezioni endovenose di un disinfettante quale il sublimato corrosivo nella cura di polmoniti sono effettuate tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento con l’obiettivo di “disinfettare”, e cioè uccidere, i microrganismi della polmonite, con risultati assenti se non di disastrose complicazioni, non dimenticando che il mercurio è oggi completamene bandito da ogni terapia e anche dagli strumenti sanitari, iniziando dai termometri.

All’inizio del secolo passato la veterinaria non manca di seguire la medicina umana e le polmoniti dei ruminanti e del cavallo sono curate con iniezioni endovenose di sublimato corrosivo: un farmaco poco costoso, con un nome che evoca la “corrosione” dei microbi e al tempo stesso “sublime”, in una cura che fa riferimento al medico del Re (Guido Baccelli) e a un intervento “eroico”, con una dose per il cavallo che rapportata all’uomo è dieci volte superiore (da qui il termine “dose da cavallo”) o una dose per i bovini di otto volte quella umana … ma senza alcun risultato.

È passato oltre un secolo dalla Cura Baccelli: l’uso se non pericoloso quasi criminoso di iniettare disinfettanti per combattere infezioni polmonari o di altri organi interni sembrava dimenticato, ma qualche americano ignorante del passato, non si capisce se sprovveduto o soltanto in voglia di giocherellare, immagina di combattere la polmonite dell’uomo da coronavirus con disinfettanti somministrati per via orale o per iniezione.