L’interazione tra bilancio proteico ed energetico nel ruminante è un argomento complesso che è stato sottoposto a numerose ricerche negli anni passati.
Sebbene non sia possibile separare completamente il metabolismo proteico ed energetico, si può comunque distinguere tra interazioni ruminali e post-ruminali. All’interno del rumine il rapporto tra la sostanza organica rumino-degradabile (rumen-degradable organic matter, RDOM) e proteina rumino-degradabile (rumen-degradable protein, RDP) è uno degli elementi che determina l’efficienza della sintesi proteica microbica. Fornire in eccesso RDP diminuisce l’efficienza della sintesi di proteina microbica e al contrario, l’aumento della RDOM a parità di RDP non comporterà incrementi delle sintesi proteiche: anche in questo caso l’efficienza della sintesi microbica sarà scarsa. Inserendo nella razione una maggiore quantità di proteina grezza (crude protein, CP) ed in particolare la frazione RDP, si ottiene però un miglioramento della digeribilità dell’alimento e quindi un aumento dell’energia metabolizzabile (metabolized energy, ME) e della proteina metabilizzabile (metabolized proten, MP). Grazie alla migliore digeribilità, si assiste all’aumento dell’ingestione di sostanza secca (dry matter intake, DMI), all’ipertrofia del tratto digerente e ad un maggiore assorbimento di nutrienti da parte dell’animale e quindi ad un incremento della produzione lattea (interazioni post-ruminali).
Sebbene la letteratura sui fabbisogni proteici ed energetici dei ruminanti sia molto vasta, la nostra conoscenza circa gli effetti della somministrazione di proteina in eccesso sull’efficienza energetica è esigua ed i risultati sono spesso contrastanti. Nei programmi NRC per la formulazione delle razioni, il costo energetico per l’eliminazione dell’azoto in eccesso nel caso di unifeed iperproteici non è calcolato; diversi Autori hanno proposto formule per la stima del bilancio energetico di bovine cui è somministrata sostanza azotata in eccesso, ma rimane arduo calcolare le emissioni di O2, CO2, CH4 e di calore (heat production, HP) da parte degli animali.
Lo scopo di questo lavoro è stato rivalutare l’approccio impiegato da Tyrrel et al. (1970) utilizzando un dataset ed un modello statistico ad effetti misti al fine di quantificare l’effetto della somministrazione di sostanza azotata al di sopra del fabbisogno (excess nitrogen, ExN) sul bilancio energetico (energy balance, EB) delle bovine. L’ipotesi alla base dello studio è che l’ExN influenza l’EB attraverso una maggiore HP e non a causa della diminuzione dell’energia contenuta nei tessuti dell’animale (energy retained in tissue, RE) o dell’energia contenuta nel latte prodotto (milk gross energy, MGE). Infine, per verificare se differenti forme di proteina (RDP, digeribile, o RUP, proteina non digeribile a livello ruminale) possano esercitare effetti diversi, si consideravano anche tali variabili nel modello statistico.
Il dataset impiegato conteneva 1110 osservazioni in calorimetria, provenienti da 64 esperimenti condotti dal Laboratorio USDA per Energia e Metabolismo di Beltsville, in Maryland che includevano anche la descrizione dettagliata della razione somministrata alle bovine in lattazione. Al fine di calcolare il bilancio energetico e azotato degli animali, si procedeva con la raccolta ed analisi del materiale fecale e con il prelievo delle urine tramite cateterismo vescicale.
Tyrrell et al. (1970) stimarono un fabbisogno compreso tra 6.1 e 7.2 Kcal/g di ExN per l’eliminazione dell’urea a partire da ammoniaca o aminoacidi, al fine di eliminare l’azoto in eccesso. I risultati della prima parte di questo studio, compiuti utilizzando un modello statistico sovrapponibile a quello impiegato di Tyrrell et al. (1970), confermano quanto riportato dai medesimi Autori in precedenza. Nella seconda parte dello studio, condotto tramite un modello statistico ad effetti misti, si osservava che l’energia spesa dall’animale per eliminare ExN era di circa 3.5 kcal/g di ExN, suggerendo che l’energia necessaria per metabolizzare la sostanza azotata in eccesso sia limitata a quella necessaria alla sola sintesi dell’urea; in base a ciò, l’energia per altre reazioni biochimiche quali la deaminazione degli aminoacidi, il ricircolo dell’urea attraverso la parte ruminale o la respirazione cellulare epatica ecc, non dovrebbero essere considerato nell’equazione di stima. In base a questa equazione i programmi utilizzati per la formulazione delle razioni, una volta stimato il contenuto di energia nelle urine non avrebbero bisogno di ulteriori correzioni per il calcolo del bilancio energetico. Tuttavia, la quota di energia persa nelle urine non è costante tra razioni diverse e il rapporto medio tra energia delle urine e azoto ureico impiegato in questo studio è 17.1 kcal/g di N, ossia un valore maggiore di quello generalmente utilizzato nel TDN (9.69 kcal/g di azoto proteico). In conclusione, se il contenuto in energia della dieta è espresso come energia metabolizzabile, senza considerare un fattore di correzione dell’energia digeribile impiegata per eliminare l’ExN, allora dovrebbe essere considerata l’energia persa con le urine come fattore di aggiustamento.
La RDP ha dimostrato una correlazione con l’HP variabile tra 1.03 a 1.22 Mcal/Kg di RDP, maggiore rispetto alla RUP (0.784 Mcal/kg di RUP), suggerendo che per metabolizzare la RDP sia prodotto e disperso più calore. Ciò sembra in linea con la seconda legge della termodinamica in quanto si suppone che la RDP subisca un maggior numero di step metabolici per la sua degradazione e biotrasformazione. Purtroppo non è possibile, almeno per ora, prevedere con esattezza l’influenza del profilo amminoacidico della RDP e della RUP sull’energia termica prodotta dalle diverse reazioni di degradazione e biotrasformazione. Infine, poiché le razioni formulate ed impiegate negli studi afferenti a questo dataset contenevano quote importanti di RDP ed inferiori di RUP, i dati a disposizione per studiare l’interazione tra RUP e produzione di calore non sono sufficienti per ottenere una stima precisa della correlazione.
L’apporto in eccesso di azoto ha un forte impatto negativo sulla MGE, ossia tra -52 e -68 kcal/g di ExN, decisamente maggiore rispetto alla stima del costo energetico per lo smaltimento dell’ExN stesso. Sebbene l’aumento del contenuto in azoto della razione sia associato all’incremento dell’ingestione e quindi all’aumento della produzione lattea, la relazione negativa qui osservata non rappresenta una contraddizione. Nonostante non sia chiara la motivazione per cui all’aumentare dell’apporto azotato della dieta decresca la MGE, sembra che questo fenomeno possa essere parzialmente legato al costo di eliminazione dell’azoto in eccesso. Inoltre alcuni amminoacidi possano svolgere il ruolo di segnalatori metabolici all’interno della mammella; ciò potrebbe modificare alcune vie metaboliche per la sintesi dei componenti del latte ed in particolare l’efficienza dell’utilizzo degli amminoacidi. In conclusione, l’apporto amminoacidico potrebbe influenzare l’efficienza della produzione lattea, oltre ad avere un ruolo nell’effetto negativo dell’ExN sulla MGE.
Estimating the energetic cost of feeding excess dietary nitrogen to dairy cows
Reed KF et al.
Dairy Sci. 100:7116-7126