Altamente simbolico e ricco di contenuti il workshop organizzato dalla Società Italiana di Buiatria (SIB) e la Società Italiana di Scienze Veterinarie. Molti docenti universitari in rappresentanza di 10 atenei italiani, professionisti, allevatori, istituzioni e industria lattiero casearia si sono incontrati a Brescia per valutare con serenità, rigore e umiltà se quanto si è fatto finora sia corretto e sufficiente per salvaguardare il diritto della vacca da latte ad avere una vita degna e rassicurare le aspettative etiche dei consumatori. Le due Società, che rappresentano sia la comunità scientifica che tecnica del poliedrico emisfero della medicina veterinaria, nell’organizzare il workshop hanno in qualche modo voluto “forzare”, o meglio verificare, la tenuta dei paradigmi oggi condivisi per valutare lo stato di benessere delle bovine da latte, utilizzando un metodo. Dapprima c’è stato l’intervento di Alice De Boyer dell’INRA (Francia) di pura etologia e poi Christoph Wincker della University of Natural Resources and Life Science di Vienna con un inquadramento generale sulle metodologie internazionali di valutazione del benessere. Ha chiuso la mattina l’intervento di Marina Bagni, del Ministero della Salute, che ha illustrato come l’Europa con le sue risorse economiche abbia a cuore questo tema e i metodi che sta utilizzando per promuovere ricerca scientifica e applicazione. Nel pomeriggio Andrea Formigoni dell’Ateneo di Parma ha moderato la sezione pomeridiana aperta dall’intervento di Gianfranco Gabai, dell’Università di Padova, sulla biologia del benessere e le metodologie oggettive di valutazione, sia elettroniche che biologiche. Successivamente, Francesca Fusi dell’IZS della Lombardia e dell’Emilia ha illustrato il CReNBA cioè il metodo di valutazione del benessere della bovina da latte riconosciuto dal Ministero della Salute. Alessia Tondo, dell’Ufficio Studi dell’AIA, Ermino Trevisi, dell’Università Cattolica di Piacenza, ed infine Alessandro Gastaldo del CRPA di Reggio Emilia hanno illustrato i loro rispettivi sistemi. Infine ad Alessandro Fantini le conclusioni.
Sono ormai molti anni che si parla di benessere animale. E’ forse la parola e l’argomento che maggiormente ricorre nelle filiere del latte e della carne. Secondo solo alle disquisizioni sulla crisi. Pur tuttavia sembrerebbe che questo sforzo ciclopico non abbia portato a grandi risultati. I consumi di latte sono in calo verticale sicuramente per ragioni etiche e grazie anche alla continua offensiva dei media, e le bovine più allevate in Italia, ossia le frisone, hanno una vita produttiva ancora troppo breve. Quest’ultimo fattore mette a disagio i consumatori e in difficoltà la redditività degli allevatori. Bisognerebbe probabilmente fare una profonda revisione metodologica sul come allevare le bovine e come selezionarle geneticamente. Il benessere psico-fisico della singola bovina è la mission della medicina veterinaria per cui non è una novità che la medicina si occupi di ciò. Il benessere, poi, per gli allevatori è un requisito della produzione dal momento che le bovine se sono in condizioni di “malessere” producono meno e “durano” poco in stalla. Limiti culturali ma soprattutto economici spesso impediscono all’allevatore di dare quel benessere ai loro animali che gli darebbe un immediato tornaconto economico. La maggior parte degli allevatori ben sa che dare più spazio e comfort migliora vistosamente la produzione, la salute e la fertilità. Non potendo quasi mai investire nelle strutture manca a volte solo il coraggio di ridurre il numero di capi allevati ben sapendo che le produzioni migliorerebbero per il maggior comfort acquisito dalle bovine.
Nel lungo cammino di 10.000 anni che la vacca e l’uomo hanno percorso insieme essi si sono evoluti parallelamente. La bovina, spesso solo per selezione naturale, si adattata all’ambiente che l’uomo gli ha messo a disposizione. Si ritiene però, come è stato evidenziato durante il workshop, che ciò non abbia sostanzialmente modificato l’etologia di questo animale. La maggior parte dei metodi di valutazione del benessere complessivo dell’allevamento si basano sul verificare se l’ambiente e le tecniche d’allevamento siano più o meno allineate con ciò che si ritiene essere il “gold standard”. Per non vanificare tutti gli sforzi intellettuali ed economici fin qui fatti per migliorare il benessere del maggior numero possibile delle bovine presenti in allevamento è forse bene che chi è chiamato ad occuparsene trovi dei comuni momenti di discussione all’interno dei quali anche gli allevatori, ricchi della loro esperienza empirica, possano esprimere la loro opinione. Va forse profondamente revisionato il concetto di fatto applicato che le bovine si devono adattare all’ambiente e alle tecniche d’allevamento o paradigmi che l’uomo pensa essere i migliori. Questa stessa metodologia fece diffondere la stabulazione fissa che oggi riteniamo essere letteralmente “assurda”. La bovina è un animale geneticamente ad altissima capacità d’adattamento ma sono troppe quelle che non si adattano a ciò che l’uomo ritiene essere giusto per loro. Quando si scelgono i metodi di valutazione del benessere non va mai dimenticato che ogni bovina è un individuo e come tale reagisce diversamente dalle altre agli stimoli ambientali. Ruminantia, che ha patrocinato l’evento, si augura che tra tutti coloro che si occupano di benessere si apra un dialogo costruttivo e non ideologico che porti rapidamente a chiarire questo argomento ed a trasmetterlo con argomenti convincenti ai consumatori.
Fatto interessante ed altamente simbolico è che la riflessione sia stata promossa da due autorevoli Società scientifiche. Il dividi et impera e il profondo individualismo del nostro bel paese si sta sempre più individuando come il primo limite alla nostra crescita economica e culturale in un mondo inevitabilmente globalizzato.