Incomprensibile la notizia di questi giorni dell’ennesimo taglio del MIPAAF ai fondi da destinare all’Associazione Italiana Allevatori. Dagli attuali 22.5 milioni di euro annui si passerebbe a 7 milioni, decretando di fatto la fine della selezione genetica italiana e della già da tempo estinta assistenza tecnica, a tutto vantaggio dei centri genetici stranieri (che nel frattempo esultano).

Se il settore lattiero caseario italiano fosse un settore agonizzante questa decisione, anche se deprecabile, avrebbe il così detto “supporto dei numeri”. Nonostante il crollo dei consumi interni, che nel periodo 2011-2016 hanno subito una riduzione del 11% per le ragioni che ci hanno spinto a presentare il progetto della Stalla Ideale, l’export sta andando a gonfie vele. In questo stesso intervallo di tempo infatti tutto l’export dell’agroalimentare è cresciuto del 72% e il solo lattiero caseario addirittura del 96%, con un secco + 7% nel 2016. Trainati dalle nostre 51 denominazioni protette, i soli formaggi fatturano all’estero 2.4 miliardi di euro con un prezzo medio di euro 6.3/kg, di gran lunga superiore ai 4.42 euro francesi. Usa, Francia, Germania, Regno Unito e Giappone sono i nostri principali mercati, con Francia e USA che da sole ne acquistano il 54%. Ma perché questo grande successo? Storia, tradizione, gusto e salubrità dell’agroalimentare italiano si stanno sempre più imponendo nel mondo, non già per i meriti della politica ma per il grande saper fare degli allevatori e della trasformazione.

E perché in un momento così importante tagliare i fondi a disposizione dell’Associazione Allevatori? Dove risiedono le colpe? Perché continuare a riversare fiumi di denaro per salvare il malato incurabile Alitalia? Dicono che salvare dapprima Monte dei Paschi poi Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cari Chieti e ora Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza allo Stato non costi nulla. Solo per le banche venete saranno impegnati poco meno di 6 miliardi di Euro. Per non parlare di quanto ci sia costato salvare Monte Paschi! Un filo comune nel disastro bancario è l’avere concesso crediti a soggetti a rischio ma utili per fare favori a qualcuno e l’aver fatto investimenti ad alta pericolosità.

Probabilmente il Ministro Martina e i burocrati eterni dei ministeri non conoscono la zootecnia, non valendo quasi mai nel pubblico la regola del privato curriculum-concorso-meritocrazia. Ma sono i fatti a giudicare. Forse i governanti non sanno che per fare quello che il mercato interno e straniero vuole, ossia latte e carne italiana, ci vogliono razze italiane, ossia razze selezionate e allevate in Italia. Non sanno che recentemente la GDO vuole carne nata, allevata e macellata in Italia. Non sanno che le multinazionali del latte e la GDO hanno dovuto capitolare e mettere in etichetta la dicitura volontaria “latte italiano”.

Bloccare la selezione genetica italiana per la produzione di animali italiani, perché tanto si possono comprare riproduttori o meglio seme, americano, francese, olandese e tedesco, significa non avere la più pallida idea dei principi di base di genetica e genomica e del significato profondo dell’antico detto “mogli e buoi dei paesi tuoi”. Un paese che punta al formaggio e a carni con specifiche e peculiari caratteristiche organolettiche ha bisogno d’indirizzi selettivi specifici basati anche sulle rigidissime regole sanitarie e zootecniche europee.  Come si fa a premiare e incoraggiare l’uso di riproduttori selezionati in paesi come USA e Canada dove sono ammessi ormoni, auxinici e alimenti d’origine animale da noi penalmente perseguiti? Il diverso clima, management e alimenti condizionano molto i fenotipi. Perché non puntare ad esportare anche quella genetica italiana che è alla base del Made in Italy, soprattutto nei paesi emergenti?

Anche l’AIA ha commesso in questi ultimi anni molti errori poco, se non per nulla, consapevole dell’enorme valore dei dati raccolti negli ultimi 60 anni, utili non solo alla selezione genetica ma anche per l’ulteriore miglioramento delle pratiche zootecniche e più in generale della consulenza professionale. Oltre che della selezione genetica saremo il primo paese occidentale a privarsi anche di una struttura centrale d’indirizzo scientifico e orientamento tecnico. Per attrarre l’interesse pubblico l’AIA ha puntato sulle biodiversità, argomento importante ma che sicuramente necessita di modesti finanziamenti, ben lontani da quelli che servirebbero per accompagnare permanentemente gli allevatori aiutandoli ad essere sempre più adattabili e competitivi verso le sfide che i consumatori ci rinnovano con frequenza sempre maggiore.

Stavolta però gli allevatori e chi li rappresenta devono far sentire la loro voce perché il problema si sta spostando anche nelle regioni che stanno via via assottigliato i fondi destinati alle Associazioni regionali e provinciali degli allevatori per assistenza e consulenza. L’estensione dei commissariamenti e delle chiusure di queste organizzazioni è sotto gli occhi di tutti e le ragioni a volte sono di difficile comprensione. Se gli allevatori sono veramente in una situazione così grave le organizzazioni agricole dovrebbero sedersi a parlare e fare fronte comune. Quando costituire una task force o un’unità di crisi se non adesso? Il governo centrale e regionale sta approfittando delle divisioni sindacali per dirottare risorse in luoghi più produttivi per clientelismo e consenso elettorale. Un’azione forte, condivisa e unitaria degli allevatori e di tutto l’indotto potrebbe fare in questo momento la differenza. L’opportunistico silenzio di questi giorni speriamo rimanga nella memoria collettiva perchè non dimentichiamoci mai che “chi non ha memoria non ha futuro”.