Stima dell’ereditabilità per le forme cliniche delle malattie metaboliche
Generalmente l’ereditabilità delle forme cliniche di chetosi, dislocazione abomasale, ipocalcemia ed ipomagnesiemia corrisponde ad un indice basso. I modelli lineari restituiscono valori che vanno dallo 0.01 allo 0.39 per la chetosi, dallo 0.00 allo 0.08 per la dislocazione, da 0.01 a 0.08 per l’ipocalcemia e circa 0.004 per l’ipomagnesiemia. Per quanto riguarda le stime relative alla dislocazione, i dati si riferiscono quasi esclusivamente alla razza Holstein, poiché viene considerata maggiormente suscettibile rispetto alle altre. Per altre malattie metaboliche, quali la lipidosi epatica, non è disponibile alcun dato in letteratura.
Sebbene gli indici di ereditabilità non siano alti, vi sono comunque evidenze che supportano l’utilità della selezione genetica contro l’incidenza di malattie metaboliche. Ad esempio, negli indici di tori canadesi l’incidenza di ipocalcemia e chetosi nelle figlie differisce dell’11% e del 16.5% tra il primo ed il decimo toro ordinati per questi caratteri, rispettivamente.
Correlazioni con altri caratteri
Gli studi sulla correlazione tra i tratti genetici relativi alle malattie metaboliche ed alla produzione lattea sono scarsi, ma allo stadio attuale delle conoscenze la correlazione tra chetosi e produzione lattea varia tra -0.49 e 0.65 nei modelli lineari, e tra -0.67 e 0.77 nei modelli threshold. Solo pochi lavori riportavano anche gli errori standard di queste stime, che corrispondevano a circa 0.06 – 0.20. Solo 2 pubblicazioni hanno analizzato la correlazione tra le malattie metaboliche citate e la produzione di proteina e 3 soli per quella di grasso. La scarsa disponibilità di dati e gli errori standard consistenti non permettono di dare stime conclusive sulla connessione genetica tra malattie metaboliche e produzione di grasso e proteina.
L’interazione tra chetosi e dislocazione abomasale in alcuni studi ha raggiunto valori che oscillano tra 0.45 e 0.66, per cui la selezione genetica operata per ridurre una patologia apporta benefici anche sull’incidenza dell’altra. La correlazione tra le altre malattie metaboliche, invece, varia tra -0.21 e 0.64 e non permette di trarre conclusioni precise. Ad ogni modo, un programma sperimentale condotto in Norvegia sulla razza Rossa Norvegese ha permesso di osservare che le correlazione tra le diverse malattie metaboliche sono positive: la selezione contro la suscettibilità alle mastiti riduceva anche l’incidenza di chetosi e ritenzione di membrane fetali. In un altro studio (De La Paz, 2008) è stato osservato come le bovine con alta risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata erano più resistenti non solo all’insorgenza di mastite, ma anche di chetosi, metrite e ritenzione di membrane fetali.
Valutazioni genetiche e genomiche
Alcuni Paesi hanno già adottato indici genetici che comprendano la valutazione dei tratti connessi con le malattie metaboliche (Norvegia, Danimarca, Finlandia e Svezia ad esempio). Uno degli aspetti più importanti della selezione genomica è la possibilità di utilizzare i dati di mandrie che registrano con precisione l’incidenza di patologie e che al tempo stesso possiedono animali genotipizzati, per analizzare nel dettaglio l’interazione genotipo-fenotipo ed ottenere previsioni affidabili del valore genomico sia della mandria che dei riproduttori utilizzati. Ad oggi sono ancora pochi gli studi che hanno cercato di prevedere il valore genomico per la resistenza alle malattie; tra i Paesi che hanno intrapreso tentativi in questa direzione troviamo Canada, Francia ed i Paesi del Nord Europa. Alcuni Autori hanno calcolato che l’affidabilità della valutazione genomica, anche in caso di tori senza figlie, può raggiungere lo 0.35 – 0.38 per la chetosi e la dislocazione abomasale, rispettivamente, migliorando la stima di 0.17 e 0.16 punti rispetto a quelle calcolabili basandosi solo sui risultati dei tori predecessori.
Un aspetto importante della selezione genetica per le malattie metaboliche è quantificare la variazione dell’incidenza delle patologie che si può ottenere. Gli attuali studi in tal senso sono affetti da mancanza di dati su vasta scala, bassa ereditabilità dei caratteri e scarsa affidabilità dei risultati a causa degli ampi intervalli di confidenza. Di conseguenza, basandosi solo sul beneficio economico, le risposte ottenibili sono modeste ed è necessario un grande intervallo di tempo per ottenere effetti diretti su una popolazione consistente di animali. Tuttavia, la selezione per la longevità ed altri tratti relativi alla sanità dell’animale può dare risposte positive anche per altri tratti dei quali non viene considerato il breeding value. La longevità è un tratto genetico complesso e composito che include sanità, fertilità, conformazione e facilità al parto (i dati relativi a questo carattere sono studiati e condivisi a livello internazionale). Di conseguenza, la selezione per animali che hanno una durata maggiore nella mandria implica la spinta genetica anche per i tratti correlati direttamente o indirettamente, quali appunto quelli relativi all’insorgenza di malattie metaboliche.
Metodi alternativi per predire la predisposizione alle malattie metaboliche
Un altro mezzo per migliorare la stima del breeding value per le malattie metaboliche è utilizzare i dati relativi all’insorgenza delle forme subcliniche, attraverso la registrazione dei risultati di test routinari condotti in stalla (tramite sensori o analisi in linea del latte munto), o in laboratorio (test di qualità eseguiti su latte), grazie alla semplicità di campionamento. I costituenti del latte sono oltre 300 e le variazioni di alcuni di essi possono essere utilizzate per diagnosticare forme subcliniche di malattie metaboliche.
Sono in commercio software gestionali che incrociano i dati provenienti dalla mungitura con informazioni relative ai parti o all’insorgenza di patologie, per migliorare la gestione aziendale e tracciare lo stato sanitario, metabolico e riproduttivo della stalla. La comunicazione di tali dati in database centralizzati ed analizzati dal punto di vista genetico permetterebbe importanti progressi nella valutazione dei genotipi e dei fenotipi. Esempi dei dati utilizzabili sono colore e conduttività elettrica del latte, pH ruminale, punteggio di condizione corporea (BCS). Ad essi possono essere affiancati anche test eseguibili in stalla di routine, quali l’analisi dei corpi chetonici presenti nel latte tramite strisce reattive. Per altre malattie metaboliche a bassa incidenza può essere utile stimare il bilancio energetico dell’animale e l’insorgenza di chetosi: sebbene il bilancio energetico negativo non sia di per sé una patologia, alcune condizioni quali ipocalcemia, ipomagnesiemia, dislocazione abomasale sono correlabili allo status energetico della bovina. Di conseguenza, chetosi e bilancio energetico sono target di grande interesse per lo studio di sensori automatizzati che rilevino in stalla le due condizioni. Stesso interesse è attribuito attualmente alla registrazione ed al monitoraggio degli atti ruminativi per l’individuazione precoce di stati patologici. Il tempo che intercorre tra l’individuazione di una alterazione nel ritmo ruminativo dell’animale e la diagnosi di patologia da parte del personale di stalla è 3 giorni per la dislocazione dell’abomaso, 1.6 giorni per la chetosi, 0.8 giorni per la metrite e la mastite. Il valore di questi dati per la stima del valore genetico in relazione all’insorgenza di patologie deve ancora essere quantificato.
L’analisi di campioni di latte attraverso tecniche ad infrarossi permette di quantificare non solo percentuale in grasso, proteina, caseina, lattosio ed urea, ma anche la composizione in acidi grassi, in proteine, tendenza alla coagulazione, acidità, composizione minerale e presenza di corpi chetonici, sebbene per quest’ultima la stima non abbia precisione tale da permettere di utilizzare questa metodica come standard o come razionale per modifiche gestionali a livello del singolo animale. Ad ogni modo rimane valida per indagini di screening e quindi per incrementare i dati disponibili per la creazione di database fenotipici per le malattie metaboliche subcliniche. La maggior parte degli studi che hanno analizzato l’associazione genetica tra indicatori e chetosi clinica hanno impiegato il BHB (beta-idrossibutirrato). La correlazione tra BHB nel latte quantificato al primo test funzionale e chetosi clinica è circa 0.37-0.75 in uno studio su Holstein canadesi.
Per quanto riguarda la stima del bilancio energetico, sono stati proposti indicatori quali la variazione di BCS ed il rapporto grasso/proteina nel latte. La valutazione del BCS è soggettiva e l’avvento di sistemi automatizzati per la misurazione del peso vivo e della presenza di riserve corporee possono migliorare la stima del bilancio energetico. Nelle Holstein americane un BCS maggiore è correlato con una minore incidenza di patologie digestive (rg = -0.64) e con dislocazione abomasale (rg = -0.48). Per il rapporto grasso/proteina è stata stimata una correlazione rg = -0.62 con il bilancio energetico ad inizio lattazione, a significare che maggiore è il tenore in grasso, minore quello in proteina, più negativo è lo status energetico dell’animale. La correlazione tendeva a zero verso i 180 giorni di lattazione. Poiché gli studi sull’interazione tra rapporto grasso/proteina e insorgenza di malattie metaboliche sono scarsi, sono molto ampi gli errori sulle stime: in uno studio, infatti, è riportato un valore di 0.63 ± 0.91. In altri lavori condotti su Holstein canadesi è stata riportata una correlazione genetica rg = 0.30 – 0.38 per la chetosi clinica, rg = 0.26 per la dislocazione abomasale, rg = 0.18 per l’ipocalcemia.
Recentemente, anche le tecniche di analisi del latte tramite infrarossi possono essere utilizzate per stimare il bilancio energetico. Durante il catabolismo delle riserve adipose è incrementata la quota di acidi grassi C:18 presenti nel latte. Tuttavia, non sono ancora disponibili studi che abbiano quantificato con precisione il valore predittivo di tale test circa lo stato energetico dell’animale.
Invited review: opportunities for genetic improvement of metabolic diseases
Pryce J. E. et al.
- Dairy Sci. 99:6855-6873