Sulla scia del positivo andamento dell’anno precedente, il 2020 si era aperto all’insegna dell’ottimismo per il settore lattiero caseario, con una buona disponibilità di latte e una domanda mondiale molto vivace. Anche i temuti dazi USA, introdotti a partire dallo scorso mese di ottobre in risposta al caso Boeing-Airbus, sembrava avessero impattato non troppo gravemente sul settore, considerato che il 2019 si era chiuso per l’UE-28 con una perfomance molto positiva sul mercato a “stelle e strisce” soprattutto per le esportazioni di burro (+21% rispetto al 2018) e formaggi(+4%).

Con la diffusione del Covid-19, l’affermarsi dell’emergenza sanitaria e le conseguenti misure di contenimento dei contagi, lo scenario globale ha subito profondi mutamenti. Nonostante la resilienza dimostrata in altri contesti critici dal settore agroalimentare, la gravità attesa della recessione economica è destinata a incidere significativamente sulla domanda alimentare, in particolare per i prodotti ad alto valore aggiunto e quelli orientati all’esportazione, come appunto i formaggi.

Nel 2019 le consegne di latte dell’UE (incluso Regno Unito) hanno fatto registrare un incremento dello 0,6% rispetto al 2018, soprattutto grazie al contributo di Polonia (+1,9%), Irlanda (+5,3%), Spagna (+2%), Belgio (+2,6%), Ungheria (+2,1%) e Repubbliche Baltiche (+0,6%), che hanno compensato la stabilità registrata da Germania, Francia e Italia. Nei primi due mesi del 2020 risultava confermato il buon andamento della produzione lattiera, con un incremento in tutti i principali Paesi produttori, e la diffusione dell’epidemia di Covid-19 ha coinciso proprio con il picco di produzione primaverile nell’UE, aggravando la spinta verso il basso dei prezzi.

Le misure restrittive adottate nei diversi Stati Membri hanno portato, in molti casi, a una richiesta da parte dei caseifici di ridurre le consegne, con conseguente aumento delle macellazioni di capi a fine carriera (che hanno appesantito il mercato delle carni rosse, anch’esso in difficoltà per la chiusura del canale Horeca) e minori acquisti di mangimi.

Il crollo della domanda dell’Horeca, inoltre, potrebbe indirizzare più latte alla trasformazione di prodotti stoccabili, come il latte scremato in polvere la cui produzione UE (escluso UK), secondo le stime della Commissione Europea, potrebbe crescere del 2,5% nel 2020.

Sul fronte della domanda mondiale, nonostante il lockdown disposto per limitare la diffusione del Covid, le importazioni cinesi hanno subito solo una parziale interruzione anche per compensare il blocco della produzione interna.

Dopo i tassi di crescita a due cifre del 2019, registrati soprattutto per le polveri di latte (+11% per le grasse e + 23% per le magre rispetto al 2018), che avevano contribuito a mantenere alta la tensione sui prezzi mondiali delle commodity, nel primo trimestre 2020 la Cina ha continuato ad accrescere le proprie importazioni, in particolare per il burro, i formaggi e il siero in polvere(+71%, +26% e 10% rispetto ai primi tre mesi del 2019). In frenata, invece, le importazioni cinesi di latte scremato (-16% nei primi tre mesi del 2020), con ripercussioni importanti sul mercato europeo, considerando che la Cina era diventato lo scorso anno la principale destinazione per la produzione UE.

Nel 2019 le esportazioni UE sono risultate particolarmente dinamiche verso i Paesi Terzi. Uno slancio significativo ha interessato il burro, le cui esportazioni sono aumentate del 41% soprattutto grazie alla maggiore competitività rispetto al prodotto oceanico e alla robusta domanda di USA e Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda i formaggi, l’export UE è aumentato soprattutto grazie alle maggiori spedizioni verso gli Stati Uniti (+4% nonostante i superdazi) , Giappone (+7%) e Svizzera (+ 1%) e, sebbene si tratti di volumi ancora contenuti in termini assoluti, l’aumento più dinamico è stato registrato verso la Cina (+22%).

Esportazioni UE-28 di prodotti lattiero caseari verso Paesi terzi

Confermata la leadership dell’UE per le esportazioni di latte scremato in polvere, ulteriormente cresciute nel 2019 del 18% rispetto all’anno precedente, soprattutto grazie al trend registrato dalle spedizioni in Cina (+38%) e all’aumento delle spedizioni verso l’Indonesia che ha quasi del tutto compensato il crollo della domanda alegerina. Al contrario, nel 2019 le esportazioni comunitarie di latte intero in polvere hanno continuato a diminuire (-11%), anche in considerazione della pressione esercitata dal prodotto neozelandese.

Lo slancio dell’export UE ha perso vigore nei primi tre mesi del 2020, in parte per l’uscita del Regno Unito verso cui si sono registrate significative contrazioni dei volumi per tutti i principali prodotti (-18% per il burro, -37% per i formaggi e -31% per il latte intero in polvere rispetto al primo trimestre 2019) in parte per le difficoltà logistire e le restrizioni imposte contenere la diffusione dell’epidemia di Covid-19 in quasi tutti i principali mercati di destinazione. In particolare, le flessioni più consistenti delle esportazioni hanno riguardato il latte scremato in polvere (-24% rispetto a gennaio-marzo 2019) soprattutto a causa della minore domanda cinese e in generale di tutti i Paesi del Sud-Est asiatico, e i formaggi (-7%) sui cui ha impattato soprattutto la Brexit.

Il rallentamento degli scambi commerciali, che ha generato eccedenze proprio nel periodo di maggiore produzione dell’emisfero boreale (UE e USA), e i conseguenti effetti sui listini dei derivati non hanno tardato a riflettersi anche alla stalla. Sul mercato tedesco, ad aprile, si sono registrati cali dei prezzi nell’ordine del 18% e del 20% nel confronto con il mese precedente rispettivamente per il latte scremato in polvere e il latte intero in polvere. Meno intense, ma comunque importanti, le flessioni registrate nel mese di aprile per il burro e i formaggi (tipo edamer), in entrambi i casi di circa l’8% su base congiunturale. Il prezzo medio ponderato a livello UE del latte alla stalla è diminuito già a marzo 2020 (-2,2% rispetto a febbraio 2020), ma secondo le stime degli Stati membri, dovrebbe calare ulteriormente ad aprile arrivando a 34,23 euro/100 kg.

La durata dell’attuale crisi è difficile da prevedere, soprattutto in considerazione della sua distribuzione geografica; pertanto nell’immediato futuro saranno cruciali le strategie di uscita e lo stimolo economico attuati nell’UE e nel mondo, nonché la cooperazione internazionale per evitare misure restrittive degli scambi. Per contrastare il calo dei prezzi la Commissione Europea, con il Regolamento delegato n. 2020/591 pubblicato il 4 maggio sulla Gazzetta Ufficiale europea ha introdotto un regime eccezionale e temporaneo di aiuto all’ammasso privato dei formaggi e un analogo provvedimento (Regolamento UE n. 2020/597) è stato predisposto per il burro, in entrambi i casi con una scadenza per la presentazione delle domanda al 30 giugno 2020. Tali misure dovrebbero, almeno nell’immediato, contenere la pressione dell’offerta rinviando l’immissione sul mercato della produzione in una fase di maggiore stabilità dei prezzi.

Per quanto riguarda la filiera lattiero-casearia nazionale, dopo il significativo recupero registrato lo scorso anno dal mercato all’origine (+6,7% nel 2019 secondo l’indice Ismea), nel 2020 si sono evidenziati graduali segnali di cedimento che si sono via via accentuati con la diffusione dell’emergenza Covid-19.

Nel primo trimestre 2020, infatti, l’indice Ismea dei prezzi del settore lattiero-caseario ha mostrato un calo del 6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, principalmente a causa della progressiva flessione dei listini dei formaggi duri (-9%) e del latte alla stalla (-5%). In particolare, per le consegne di marzo 2020 gli allevatori italiani hanno mediamente percepito 37,6 euro/100 litri (iva esclusa, senza premi), pari a quasi 3 euro/100 litri in meno rispetto a quanto accadeva un anno fa. Le minori richieste dei caseifici, dovute in parte alla mancanza di addetti assenti per malattia o per limitazioni agli spostamenti, in parte alle difficoltà di collocamento dei prodotti soprattutto a seguito della chiusura del canale Horeca, hanno generato un’eccedenza di materia prima proprio nella fase di picco delle consegne. Di conseguenza, nel mercato dello spot le pressioni al ribasso sono state ancora più nette rispetto a quanto verificatosi nei contratti di medio-lunga durata, e i listini sulla piazza di Lodi sono scesi anche sotto i 30 euro/100 kg nel mese di aprile.

Scendendo nel dettaglio dei principali prodotti guida, i prezzi dei formaggi grana a denominazione dopo aver toccato il picco nel corso dell’estate 2019 hanno iniziato un progressivo ripiegamento, in parte a causa della crescita continua dell’offerta (+5,1% per il Grana Padano e +1,5% per il Parmigiano Reggiano nel 2019) in parte a causa di una brusca frenata delle esportazioni nei mesi di ottobre e novembre (rispettivamente -8% e -7% su base annua) conseguente all’introduzione dei superdazi USA.

Successivamente, nei primi quattro mesi del 2020, i listini del Parmigiano Reggiano hanno perso mediamente il 20% rispetto su base annua e, seppure più contenuta, una variazione negativa è stata osservata anche per i prezzi del Grana Padano (-11%). Con la diffusione dell’emergenza Coronavirus il mercato dei grana si è, infatti, ulteriormente appesantito, poiché la corsa all’accaparramento da parte delle famiglie verificatosi presso i punti vendita della GDO non è stata in grado di compensare la chiusura del canale Horeca da cui normalmente si realizza circa il 60% del valore dell’intera filiera nazionale ai prezzi finali. Situazione particolarmente critica anche per i prodotti freschi (soprattutto la mozzarella e latte fresco) e le materie grasse (burro e creme), che sono stati tra i prodotti più colpiti dalla chiusura di ristoranti, pizzerie, bar e pasticcerie.

Prezzi medi all’origine di latte e derivati (euro/kg, IVA esclusa)

Accanto alle misure emergenziali di sostegno, la chiave di volta del mercato nei prossimi mesi sarà rappresentata in particolar modo dalla tenuta delle vendite sui mercati esteri. Nel 2019 le esportazioni di formaggi e latticini italiani avevano ripreso a correre, facendo registrare il livello record di 3,1 miliardi di euro (+11,2% rispetto al 2018) a fronte di oltre 450 mila tonnellate inviate oltre i confini nazionali (+6,3% rispetto al 2018). In particolare, performance molto positive sui mercati esteri sono state realizzate da Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+14,4% in valore e +2,1% in quantità), formaggi freschi, (+6,9% in valore e +6,8% in quantità), formaggi grattugiati (+17,3% in valore e +8,9% in quantità) e Gorgonzola (+3,8% in valore e in quantità), con risultati entusiasmanti in tutti i principali mercati di sbocco e un recupero addirittura a due cifre in destinazioni cruciali come la Germania e gli Stati Uniti (rispettivamente +12% e +19% in volume).

E molto positivo è stato anche l’esordio del 2020 per le esportazioni di formaggi italiani (+11% in volume e +12 % in valore rispetto al bimestre gennaio-febbraio 2019), ma i risultati finali dell’annata potrebbero risultare fortemente compromessi dalle difficoltà logistiche e dal protrarsi della chiusura della ristorazione all’estero, cui sono prevalentemnete indirizzati i prodotti di alta gamma del made in italy caseario.

Esportazioni italiane di formaggi e latticini per paese di destinazione

Nel corso del 2019, la minore disponibilità di materia prima nazionale e la consistente richiesta da parte dell’industria di trasformazione hanno determinato un maggiore afflusso di latte in cisterna dall’estero (+11,7% pari a oltre 132 mila tonnellate in più rispetto al 2018) dopo diversi anni di contrazione delle importazioni.

Importazioni italiane di latte sfuso in cisterna per paese fornitore

La ripresa delle importazioni di latte in cisterna, verificatasi anche a fronte di prezzi in aumento, ha riguardato soprattutto la Germania, che si conferma primo fornitore di materia prima dell’industria nazionale, e la Francia (in entrambi i casi con +13% in volume rispetto al 2018), ma ha interessato anche i paesi dell’Est Europa, soprattutto Ungheria e Slovacchia (rispettivamente +48% e +36%). Dinamica confermata, seppure in misura molto più attenuata, anche nei primi due mesi del 2020 (+0,6% in volume).

In lieve aumento nel 2019 anche le importazioni di formaggi (+1,1% in volume e +4,5% in valore), anche in considerazione di un generalizzato rialzo dei prezzi a livello comunitario e di una domanda interna ancora poco vivace. Tale dinamica ha riguardato, in particolare, i similgrana (+5,4% e +16,9% in valore) e i semiduri (+ 1,4 in volume e +5,5% in valore), mentre per i freschi, che rappresentano oltre un terzo dei formaggi di importazione, si è registrata una flessione (-1,6% in volume e +4,2% in valore). In significativo calo, infine, le importazioni di yogurt (-3,8% in volume) e latte confezionato (-9,0% in volume).

La spesa dalle famiglie italiane per latte e derivati è rimasta sostanzialmente stabile nel corso del 2019, frutto del bilanciamento tra la diminuzione dei volumi acquistati e l’aumento dei prezzi, soprattutto per il segmento dei formaggi (duri in particolare) dovuto in parte a un trasferimento a valle degli incrementi registrati nella fase all’origine, in parte a un minore ricorso alle promozioni nei punti vendita della GDO. Nel primo trimestre 2020, sulla scia di quanto verificatosi per l’intero comparto alimentare a seguito del diffondersi dell’emergenza Covid, anche le vendite di lattiero caseari sono risultate in netto rimbalzo rispetto a quanto verificatosi lo scorso anno (+7% rispetto al primo trimestre 2019). La dinamica positiva ha interessato tutte le referenze, seppur con diverse intensità.

Predominanti in termini di fatturato i formaggi duri – che rappresentano quasi un quinto della spesa del comparto – e per i quali le vendite del primo trimestre sono cresciute di oltre l’8%. In crescita anche le vendite di formaggi freschi (+7,9%) e di quelli industriali (+9,5%), mentre meno marcati sono risultati gli incrementi per i formaggi semiduri (+1,7%).

Straordinaria crescita per i consumi di latte uht, che grazie all’impennata della domanda nel mese di marzo (si sono toccate punte settimanali del +36% su base annua) ha segnato un incremento complessivo della spesa trimestrale del 12,4% rispetto allo scorso anno. Grazie alla shelf life elevata, infatti, il latte uht è rientrato nel paniere di prodotti stoccabili che le famiglie hanno preferito durante l’emergenza Covid, soprattutto per ridurre il numero di visite al punto vendita. Ciò ha ulteriormente penalizzato il segmento del latte fresco – già fortemente compromesso dalla chiusura di bar, pasticcerie e gelaterie – sebbene nel primo trimestre sia stato registrato un +2% della spesa, probabilmente come conseguenza di una aumentata propensione alla colazione in
casa.

Un’inversione a breve termine di questa tendenza negativa del mercato del latte è difficile da ipotizzare. A livello globale l’equilibrio del mercato sarà influenzato in primo luogo dalla ripartenza della domanda, soprattutto da parte della Cina che negli ultimi anni ha rappresentato l’ago della bilancia per le dinamiche del settore lattiero caseario. Dopo la chiusura imposta dalla pandemia, la ripresa delle importazioni cinesi potrebbe, infatti, essere innescata da una maggiore richiesta di lattiero caseari dettata da un cambiamento delle abitudini alimentari raccomandata dalle autorità locali. La Commissione Europea, intanto, ha introdotto misure eccezionali per ridurre l’offerta comunitaria di lattiero caseari attraverso aiuti all’ammasso privato dei formaggi e del burro.

A livello nazionale, il calo degli ordini del primo trimestre, determinato soprattutto dalla chiusura dell’Horeca, e il conseguente aumento delle scorte hanno fortemente minato la fiducia degli operatori dell’industria lattiero casearia nazionale (Indice Ismea del Clima di Fiducia- ICF). Molto pessimistiche le attese per il secondo trimestre dell’anno sia con riferimento all’economia nazionale sia riguardo all’andamento delle vendite e della produzione, che potrebbe subire un rallentamento anche per il rispetto delle norme anticontagio.

Nelle ultime settimane diverse sono state le iniziative emergenziali su scala regionale finalizzate al sostegno degli operatori della filiera, come l’aumento del fondo indigenti per gli stock di latte uht, ma per la ripresa della filiera molto dipenderà dal rilancio dei consumi interni, con la graduale uscita dalla fase di lockdown, la progressiva riapertura delle attività di ristorazione e la sospirata ripresa dei flussi turistici. Fondamentale sarà anche il consolidamento delle posizioni acquisite sui mercati esteri, nonché l’apertura di nuovi sbocchi, non dimenticando che i formaggi italiani si collocano in una fascia alta di mercato, che potrebbe essere la più penalizzata dall’incombente crisi economica mondiale.

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Fonte: ISMEA