Passata la prima fase, in cui il sistema agroalimentare è stato relativamente meno colpito di altri settori dagli effetti del lock-down conseguente al Covid-19, è emersa con chiarezza la portata di alcuni fattori che, invece, lo hanno penalizzato in misura significativa. Tra questi, la chiusura pressoché totale del canale della ristorazione ha assunto un ruolo di particolare rilevanza. L’altro elemento molto importante, sul quale tuttavia è troppo presto per elaborare stime affidabili, riguarda i contraccolpi sui flussi di esportazione.

Sul fronte del consumo alimentare extradomestico, la spesa delle famiglie, nel 2019, ha sfiorato gli 86 miliardi di euro, con un incremento reale sull’anno precedente dell’1,6%. A fronte di tale andamento decisamente positivo, le prospettive dei consumi extra-domestici per tutto il 2020 sono tutt’altro che incoraggianti: in base a ipotesi non particolarmente pessimistiche, si può stimare per il canale Horeca un calo di poco inferiore al 40%, per un ammontare che si aggirerebbe attorno ai 34 miliardi di euro.

D’altro canto, parte di questi consumi sono compensati dalla crescita delle vendite al dettaglio, che autorizzano a prevedere, per il complesso del 2020, un aumento dei consumi domestici del 6% circa rispetto al 2019.

Date queste ipotesi, l’impatto complessivo sul totale della spesa agroalimentare domestica ed extradomestica consisterebbe in una riduzione attorno al 10% per il 2020, pari a un valore di circa 24 miliardi di euro. Considerando che questo valore incorpora una serie di margini (di servizio, commercializzazione e trasporto) che non riguardano direttamente il settore agroalimentare, una prima stima provvisoria valuta che lo shock della domanda di prodotti agroalimentari, a parità di tutte le altre variabili1, potrebbe determinare una riduzione del valore aggiunto della produzione agricola dello 0,9% e una riduzione dell’1,4% di quello dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco; il comparto che risentirebbe più dello shock è quello della pesca e dell’acquacoltura, con una flessione del 7,1% sul valore di riferimento. L’impatto della riduzione della domanda si scarica in parte sui prodotti importati, riducendo la gravità degli effetti sul settore agroalimentare nazionale e sul settore della pesca.

Esistono, ovviamente, altri fattori che potrebbero ulteriormente aggravare tale scenario, primo fra tutti l’impatto sulla capacità di spesa delle famiglie da parte della crisi economica, i cui effetti peggiori sono attesi a partire
dall’autunno.

L’altro elemento dal quale dipenderanno le sorti del settore agroalimentare è l’export. Anche in questo caso, la crisi si è andata a innestare su un trend particolarmente positivo a guardare i dati disponibili e relativi ai primi mesi dell’anno. Analogamente, l’impatto sarà estremamente differenziato, concentrandosi soprattutto sulle imprese e i settori più dipendenti dallo sbocco estero: definendo la propensione all’export in termini di quota del fatturato esportato sul totale, i comparti dove essa supera la media del settore agroalimentare (pari al 18% circa) sono trasformazione ortofrutticola, olio di pressione, il riso, prodotti da forno, pasta, caffè, cioccolato, condimenti e spezie, piatti pronti e, naturalmente, vino e spumante.

Mentre le recenti riaperture stanno consentendo ai canali della ristorazione extradomestica di riorganizzarsi, pur nei limiti del rispetto delle norme sanitarie, le vendite al dettaglio si mantengono sostenute anche nella prima metà del mese di maggio. Nella settimana dall’11 al 17 maggio, ossia quella in cui i decreti hanno permesso le prime riaperture e un minor contenimento degli spostamenti, l’incremento della spesa per gli alimenti confezionati su base annua segna ancora una crescita del +11% come media nazionale.

Si tratta di una crescita caratterizzata da una significativa eterogeneità territoriale, che dal +14% del Nord-Est scende al + 8% del Mezzogiorno, con una differenza di ben 6 punti percentuali, mai riscontrata in nessun periodo della crisi precedentemente analizzato.

A una crescita ancora molto sostenuta si accompagna alcuni segnali di un graduale ritorno alle abitudini precedenti l’emergenza Covid-19. Tra questi, la minore preoccupazione per gli aspetti sanitari e i maggiori margini di spostamento, hanno riportato nuovamente l’attenzione sull’aspetto economico e del risparmio, con un forte ritorno al canale Discount (+18% nella settimana dall’11 al 17 maggio rispetto all’anno precedente). Permane, tuttavia, l’incremento delle vendite presso i liberi servizi, ovvero i più piccoli negozi di vicinato, che possa può far pensare al consolidamento di un nuovo rapporto di fiducia tra gli abitanti di una zona e la rete commerciale locale. In ogni caso, i supermercati si confermano il principale canale commerciale con una quota di vendite pari al 42% del totale.

Nel merito dell’andamento delle vendite dei prodotti nella prima settimana di riapertura, il trend generale è quello di un ridimensionamento dei picchi incrementali delle settimane di lock-down per la generalità dei prodotti che fanno comunque ancora segnare livelli importanti di crescita rispetto alla normalità del corrispondente periodo del 2019.

Sono un paio le categorie merceologiche il cui tasso di crescita nella settimana di metà maggio ha segnato un’ulteriore accelerazione nel confronto con il periodo di lockdown: l’olio e il vino e gli spumanti, spiegabile anche come recupero successivo alla scarsa dinamica fatta segnare durante quasi tutto il periodo di chiusura.

Venendo alle principali filiere produttive, gli elementi più rilevanti sono i seguenti:

  • Per i lattiero-caseari la situazione permane critica, con la conferma della pesante erosione dei listini dei grana, determinata dal combinato disposto di una produzione in crescita, dal rallentamento delle vendite nel complesso e dalle incertezze sugli andamenti dell’export. Naturalmente, anche il prezzo della materia prima mostra evidenti cedimenti con la prospettiva, tuttavia, che il sistema stia trovando quanto meno un assestamento. In questo senso, va osservato con interesse il recente incremento del prezzo della merce spot che anticiperebbe gli spiragli positivi evidenziati dal mercato internazionale.
  • Sul fonte del prodotto da latte ovino, preoccupano particolarmente la crescita della produzione del Pecorino Romano (+24%) e il rallentamento delle esportazioni, (-14% in volume rispetto a febbraio 2019) fattori per i quali è difficile ipotizzare significative inversioni di rotta nei mesi successivi.
  • Il mercato delle carni bovine è ancora caratterizzato da una domanda domestica cauta e selettiva che favorisce il vitellone e penalizza il vitello. Migliore, seppure su livelli non ancora soddisfacenti, l’interesse per i capi adulti, favoriti dalle graduali riaperture delle hamburgherie. Sul fronte dei prezzi, l’offerta eccedentaria rispetto alle ridotte richieste ha comportato un loro lieve ridimensionamento per tutte le categorie.

Filiera lattiero-casearia

Mercato dei grana in crisi e affonda anche il prezzo alla stalla

La situazione del mercato lattiero-caseario nazionale continua a essere particolarmente critica. Prosegue l’erosione dei listini per i formaggi grana a denominazione, anche in considerazione della maggiore produzione realizzata nel primo quadrimestre 2020 (+5,1% per il Reggiano e +4,8% per il Padano rispetto a gennaio-aprile dello scorso anno) e delle scorte accumulate a seguito dell’azzeramento delle vendite nel canale Horeca nei mesi di marzo e aprile.

Infatti, nel mese di maggio è aumentata la variazione negativa dei prezzi rispetto allo scorso anno (-29% Parmigiano Reggiano 12 mesi e -20% per Grana Padano 4-12 mesi) e si è più che dimezzata la forbice tra i due grana Dop (attualmente pari a 1,58 euro/kg). Le ripercussioni sul prezzo del latte alla stalla sono state proporzionali: in Lombardia per le consegne effettuate nel mese di maggio, gli allevatori percepiranno circa 35 euro/100 litri, ovvero 7 euro in meno rispetto a un anno fa (-17% su base annua).

Accanto alle misure emergenziali di sostegno previste dalla Commissione UE per l’ammasso dei formaggi, la chiave di volta del mercato nei prossimi mesi sarà rappresentata in particolar modo dalla tenuta delle vendite sui mercati esteri. L’esordio del 2020 per le esportazioni di formaggi italiani era stato molto positivo (+11% in volume e +12% in valore rispetto al bimestre gennaio-febbraio 2019), ma i risultati finali dell’annata potrebbero essere fortemente compromessi dalle difficoltà logistiche, dal protrarsi della chiusura della ristorazione all’estero, cui è prevalentemente indirizzato il made in italy agroalimentare, e dalla gravità della crisi economica che andrà a impattare soprattutto sui prodotti a elevato valore aggiunto, come i formaggi.

Situazione molto difficile anche per il latte fresco

Forti criticità si confermano anche per il latte fresco, i cui consumi sono significativamente calati, in parte a causa dello spostamento delle preferenze delle famiglie verso l’UHT – che difficilmente saranno recuperate – in parte per la mancanza di turisti negli alberghi e nei bar.

La riapertura, seppure ridimensionata, del canale Horeca ha determinato un lieve miglioramento sul fronte degli altri prodotti freschi (mozzarella, ricotta, ecc.) e delle materie grasse (burro e panna) e il leggero incremento delle richieste di materia prima ha riportato su terreno positivo anche le variazioni del prezzo del latte spot. Nell’ultima settimana di maggio le quotazioni dello spot sulla piazza di Lodi hanno raggiunto la media di 34 euro/100 kg, facendo registrare +18% rispetto a inizio mese, quando era stato toccato il minimo dall’esordio della pandemia. A favorire questo andamento sono state soprattutto le dinamiche osservate a livello internazionale, dove si intravede qualche segnale positivo.

La tenuta della domanda cinese arresta la caduta dei prezzi dei caseari

Nonostante il lockdown, la Cina ha continuato, infatti, ad accrescere le proprie importazioni di prodotti lattiero caseari nel primo trimestre 2020, in particolare burro, formaggi e siero in polvere (+71%, +26% e +10% rispetto ai primi tre mesi del 2019). Sono in frenata, invece, le importazioni cinesi di latte scremato (-16% nei primi tre mesi del 2020) e ciò ha contribuito a innescare forti ribassi dei listini sul mercato europeo (su base congiunturale -8% e -17% nei mesi di marzo e aprile), considerando che lo scorso anno la Cina era diventata la principale destinazione per la produzione UE. Ma, a partire dal mese di maggio, con l’introduzione delle misure straordinarie di sostegno all’ammasso privato che, oltre i formaggi, riguardano anche il burro e il latte scremato in polvere, la flessione dei prezzi sembra essersi arrestata a livello comunitario.

Nei prossimi mesi molto dipenderà anche dall’andamento delle consegne di latte nell’UE (+2,8% nel periodo gennaio-marzo 2020), che proprio nel secondo trimestre dell’anno vedono il picco stagionale.

Filiera ovina da carne e da latte

Mercato fermo per il Pecorino Romano

Pur registrando un differenziale positivo rispetto al mese di maggio dello scorso anno (+11%), i prezzi del Pecorino Romano sono fermi sui 7,80 euro/kg ormai da diverse settimane.

La crisi Covid-19 ha determinato, infatti, un rallentamento delle esportazioni, intensificando le difficoltà che si erano presentate già nel mese di febbraio (-14% in volume rispetto a febbraio 2019). Sul mercato interno, inoltre, con la chiusura del canale Horeca disposta per limitare la diffusione dell’epidemia sono stati colpiti soprattutto i prodotti freschi, inducendo i caseifici a dirottare molto più latte verso i formaggi stagionati. A fine aprile risultava, infatti, un incremento della produzione di Romano di circa il 24% rispetto al dato cumulato della precedente campagna.

Con lo scopo di riequilibrare il mercato, riducendo l’eccesso di offerta, sono state stanziate risorse per l’acquisto di pecorino da distribuire agli indigenti, sia a livello nazionale con il cosiddetto “Decreto emergenze” sia a livello regionale anche con riferimento ai formaggi a bassa stagionatura prodotti in Sardegna. A tali risorse, si aggiunge il sostegno all’ammasso privato dei formaggi introdotto in via straordinaria dalla Commissione UE con il Reg. delegato n. 2020/591.

Dopo il fallimento della Pasqua, misure di emergenza a sostegno del settore della carne ovicaprina

Dopo il flop del periodo pasquale che comprometterà il risultato economico dell’intera annata, il mercato della carne ovina, è stato caratterizzato da una fase stagnante, con i prezzi degli agnelli assestati nel mese di maggio sul livello di 3,58 euro/kg di peso vivo.

Al fine di sostenere il comparto, con il Regolamento (UE) n. 2020/595, la Commissione Europea ha introdotto a fine aprile un regime eccezionale e temporaneo di ammasso per le carni ovine e caprine per un quantitativo minimo ammissibile di 5 tonnellate per ogni domanda e tre diversi livelli di aiuto in funzione del periodo di stock (866 euro/tonnellata per 90 giorni, 890 euro per 120 giorni e 915 euro nell’ipotesi dei 150 giorni di ammasso). Tale sostegno va ad aggiungersi al premio accoppiato del primo pilastro della PAC e alle risorse nazionali del “Decreto competitività” che ha previsto il pagamento aggiuntivo di 9 euro/capo per gli agnelli macellati nei mesi di marzo e aprile 2020.

Filiera carne bovina

L’attività di macellazione è rallentata per la domanda debole

Prosegue il rallentamento dell’attività di macellazione dei bovini da carne a fronte della debolezza della domanda già in atto da diverse settimane e che comincia a risentire anche dei primi effetti della crisi economica, riportando flessioni più accentuate nell’ultima settimana di maggio.

In flessione anche le attività di ristallo a causa della scarsa offerta di qualità e per la poca disponibilità degli ingrassatori a investire in un momento di particolare incertezza.

Come anticipato, il mercato delle carni bovine nelle ultime settimane di maggio è ancora caratterizzato da una domanda domestica cauta e selettiva che favorisce il vitellone e penalizza il vitello. Migliore, seppure su livelli non ancora soddisfacenti, l’interesse per i capi adulti favoriti dalle graduali riaperture delle hamburgherie.

Prezzi in ridimensionamento pur con performance migliori che nel resto d’Europa

Sul fronte dei prezzi, l’offerta eccedentaria rispetto alle ridotte richieste ha comportato un lieve ridimensionamento dei corsi per tutte le categorie. In particolare, per i vitelli gli attuali livelli sono al di sotto degli analoghi dello scorso anno (-4,4%). Per le vacche, malgrado la debolezza delle scorse settimane, in questa prima fase di riapertura si registra un lieve recupero e l’attuale livello dei prezzi è anche leggermente superiore a quello dello scorso anno (+4,5%). Per i vitelloni i listini hanno mostrato una buona tenuta per i primi due mesi di lockdown, per poi cedere in parte in queste ultime settimane, pur restando comunque su livelli superiori a quelli dei due anni precedenti.

I prezzi per il vitellone nazionale, in lieve ridimensionamento, dovrebbero favorire l’assorbimento completo della merce italiana. Preoccupa, tuttavia, anche per questi la pressante concorrenza del prodotto estero che eccedente in quasi tutti i Paesi sta vedendo ovunque ribassi delle quotazioni.

Misure di sostegno forse non efficaci per il mercato italiano

A sostegno della filiera sono state attivate a livello comunitario misure di per gestire le momentanee eccedenze, in particolare per le carni bovine sono stati concessi aiuti all’ammasso privato. Ad essere interessate al provvedimento sono però solo le carni degli animali di età non inferiore a otto mesi, restano quindi non compresi i vitelli che al momento sembra essere la categoria più in sofferenza.

1È stato simulato con l’ausilio delle tavole SUT dell’Istat uno shock nel quale varia solo la domanda domestica ed extra-domestica per i prodotti agroalimentari (prodotti delle coltivazioni, prodotti della pesca e acquacoltura, prodotti alimentari, bevande e tabacco), come descritto nel testo. Non sono stati considerati gli effetti del lockdown in tutti gli altri settori.

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Fonte: ISMEA