Popolazione, alimenti d’origine animale e impatto ambientale

La popolazione mondiale nel 2050 potrebbe raggiungere i dieci miliardi, con una crescita soprattutto nelle aree urbane ed un aumento del reddito che porterebbe ad una domanda di alimenti d’origine animale che si stima sarà superiore del 35% rispetto a quella del 2016 in gran parte nei paesi attualmente in via di sviluppo. Ora, e a livello globale, gli allevamenti di animali contribuiscono per circa un terzo del valore lordo della produzione agricola, dando reddito agli agricoltori e fornendo loro potenza di trazione per l’aratura nei sistemi di produzione agricola dei piccoli proprietari, mentre gli alimenti di origine animale forniscono circa il 12,9% delle calorie e il 27,9% delle proteine consumate a livello globale. Quanto ora schematizzato, a meno che non vengano messe in atto politiche mirate ai sistemi di produzione e alle tendenze di consumi alimentari, porterà ad una crescita del settore zootecnico, con un’ulteriore pressione su risorse naturali già sottoposte a stress come l’acqua dolce e la terra, e aggravando il degrado del suolo, l’inquinamento idrico e le emissioni di gas serra. Vari studi dimostrano infatti gli aumenti degli impatti ambientali del settore zootecnico, inclusi il consumo di acqua, l’inquinamento e il cambiamento climatico. Per questo oggi si riconosce la necessità di migliorare la produttività e le prestazioni ambientali del settore zootecnico, al fine di minimizzare i suoi impatti ambientali e aumentare la sostenibilità della produzione alimentare globale. Si ritiene anche che il miglioramento della produttività del bestiame, dell’efficienza nell’uso dei mangimi e dei raccolti dei foraggi, e un approvvigionamento corretto degli alimenti, possano ridurre la domanda di nuove terre e di maggiori consumi di acqua e, unitamente alla riduzione degli sprechi alimentare, potrebbero mitigare drasticamente gli impatti ambientali della produzione alimentare, e in particolare di quella degli alimenti d’origine animale.

Alimenti d’origine animale e produttività idrica

La FAO ritiene che un fattore chiave per il futuro sia determinare se la scarsità d’acqua sarà un importante freno alla produzione di alimenti. Molti pretendono di conoscere la risposta: sostengono che la quantità di risorse idriche mondiali rinnovabili sia invariabile e che non possa essere aumentata. Di conseguenza, la diminuzione della quota d’acqua pro capite è direttamente proporzionale alla crescita ed alle aspirazioni di sviluppo della popolazione. Inoltre, si ritiene che gran parte delle risorse idriche sia mal usata o sprecata per un uso inefficiente, facendo anche affidamento ad un prelievo delle risorse sotterranee talmente elevato da non essere sostenibile. Da qui la necessità di miglioramenti nell’uso dell’acqua e quindi della sua produttività nei diversi comparti e settori dell’alimentazione, produzione agricola e allevamento del bestiame.

Per evitare che le carenze idriche compromettano la produzione alimentare, il mondo deve fare uno sforzo per accrescere la disponibilità di acqua simile a quello che nella seconda metà del XX secolo fece triplicare la produttività dei suoli. Mille tonnellate di acqua sono necessarie per produrre una tonnellata di cereali, il 70% dell’acqua utilizzata nel mondo è destinata ad usi irrigui e molta acqua è necessaria per l’allevamento del bestiame. Per questo già oggi, ma soprattutto nel futuro, sarà necessario aumentare l’efficienza dell’uso dell’acqua e quindi la produttività idrica.

Una scarsa produttività idrica è spesso conseguenza di tariffe troppo basse. In molti paesi i sussidi portano a tariffe troppo basse che creano la percezione di un’abbondanza di risorse idriche che invece scarseggiano. Se l’acqua è scarsa, le tariffe devono salire di conseguenza: è quindi necessario un nuovo modo di pensare agli usi idrici. Per esempio, orientarsi verso colture che richiedano meno acqua, laddove possibile, incrementa fortemente la produttività idrica. Per quanto riguarda gli allevamenti di bestiame, una riduzione dei consumi di carne, latte e uova può ridurre l’utilizzo di acqua, ma risultati analoghi si possono ottenere con un migliore e più efficiente uso dell’acqua in tutta la filiera produttiva, iniziando dalle coltivazioni destinate all’alimentazione zootecnica, agli allevamenti stessi e ai trattamenti degli alimenti, fino alla loro distribuzione ai consumatori. Infatti, la riduzione mondiale del consumo idrico a livelli sostenibili, rispetto alle risorse delle falde acquifere e dei fiumi, è da attuarsi mediante molteplici misure che riguardano non solo l’agricoltura ma tutta l’economia.

Allevamenti e produttività idrica

Secondo Mesfin M. Mekonnena e collaboratori, la produttività idrica di tutti i prodotti animali negli Stati Uniti negli ultimi decenni è migliorata. Infatti, rispetto al 1960, nel 2016 la necessità di acqua per unità di prodotto animale è diminuita di circa la metà per la carne bovina e di un quarto per il latte (Mesfin M. Mekonnena, Christopher M. U. Nealea, Chittaranjan Ray, Galen E. Ericksonc, Arjen Y.Hoekstra – Water productivity in meat and milk production in the US from 1960 to 2016 – Environment International Volume 132, November 2019). Questo miglioramento deriva da una combinazione di diversi fattori: maggiore produzione di bestiame pro capite, minore fabbisogno di mangime pro capite e migliori rese delle colture foraggere. L’aumento della resa delle colture contribuisce a diminuire le necessità di acqua per gli alimenti zootecnici, riducendo così l’acqua richiesta per unità di mangime consumata dagli animali.

Negli allevamenti si usano ancora grandi quantità di acqua. Sono quindi possibili, se non necessari, ulteriori miglioramenti nella produttività idrica che può essere incrementata con un’ottimizzazione della conversione dei mangimi in carne, latte e uova, e con una migliore gestione degli allevamenti e degli animali. I rapporti di conversione del mangime possono essere incrementati scegliendo razze diverse o con manovre di selezione o genetiche. Nei mangimi, la produttività idrica può essere migliorata aumentando l’uso di residui colturali e di sottoprodotti delle colture prodotte con limitate quantità d’acqua e acquistando mangimi da luoghi in cui vi è un minore uso di acqua, riducendo così le estrazioni di acqua da falde acquifere e fiumi.

In termini di mangime totale consumato, gli animali monogastrici (pollame e suini) hanno un fabbisogno di mangime inferiore per unità di produzione rispetto ai bovini e agli altri ruminanti. Gli animali monogastrici dipendono in gran parte o completamente da mangimi concentrati come mais, soia e altre colture che potrebbero essere utilizzate per il consumo umano. Inoltre, questi mangimi sono soprattutto prodotti da un’agricoltura intensiva che richiede grandi quantità di nutrienti e acqua di irrigazione, mettendo così sotto pressione le risorse di acqua dolce in termini di consumo e inquinamento. I ruminanti, e tra questi i bovini da carne e latte, hanno bisogno di una minore quantità di alimenti utilizzabili anche in alimentazione umana e possono impiegare foraggi prodotti con limitate quantità di acqua – come per esempio avviene nelle aree aride e semiaride – o con prodotti alimentari secondari (per esempio cruscami di cerali usati in alimentazione umana), il cui contributo di acqua deve essere attribuito al consumo primario.

A differenza del pollame e dei suini, i bovini consumano una quota significativa dell’energia metabolizzabile richiesta per il mantenimento, rendendo la produzione complessiva di carne meno efficiente in termini di conversione del mangime in prodotto finale. Pertanto, una selezione di animali da macello con alta precocità può aumentare l’efficienza complessiva del sistema di produzione della carne bovina e ridurre il fabbisogno di acqua.

Produttività idrica di filiera

Necessaria è oggi la tutela della risorsa idrica, mettendo in equilibrio i diversi interessi nell’uso dell’acqua (ambiente, agricoltura, sviluppo produttivo) nel contesto dei cambiamenti climatici in corso. L’aumento della produttività idrica degli alimenti di origine animale è nelle mani degli allevatori che scelgono le razze e determinano la composizione e l’approvvigionamento dei mangimi, ma anche degli agricoltori che possono produrre foraggi applicando migliori pratiche agricole con rese più elevate a parità di un minore consumo di acqua. I governi possono svolgere un ruolo fornendo incentivi o regolamenti per stimolare determinate scelte e pratiche e scoraggiarne altre, ma soprattutto promuovendo l’uso di residui colturali e sottoprodotti come alimenti zootecnici piuttosto che colture primarie. Da non sottovalutare, infine, il ruolo degli altri componenti delle filiere degli alimenti di origine animale (mattatoi, laboratori carne, caseifici) e dei consumatori stessi con le loro scelte degli alimenti.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.