Una risposta lapidaria sarebbe “no”, ma sarebbe troppo semplice senza le dovute premesse. Molti allevatori hanno ricevuto in questi giorni delle lettere da parte dell’industria lattiero-casearia e quant’altro che li esortano a ridurre la produzione di latte in quanto la chiusura dei ristoranti e dei bar ha fatto diminuire drasticamente la domanda di latte in un momento che coincide con una grande “generosità” delle bovine nel produrlo. Questa richiesta dell’industria sembra legittima anche se dovrebbe essere supportata da qualche dato. Dalle informazioni in nostro possesso, si evidenzia che circa il 72% dei prodotti del latte viene distribuito dalla GDO, o meglio dal retail, mentre il canale Ho.Re.Ca, ossia quello dei bar, dei ristoranti e di pub, pesa per il 21%. Il resto viene esportato.
Tra le tante o poche fragilità del nostro paese c’è l’assenza di un grande impianto di polverizzazione del latte, magari pubblico, dove trasformare il latte in polvere di latte. Questo prodotto è facilmente stoccabile e può essere utilizzato per infiniti impieghi. Si fa fatica a capire perché questo prezioso ammortizzatore delle eccedenze di latte non sia ancora stato realizzato in Italia.
In Italia si sta contestualmente invocando una minore utilizzazione di latte straniero in modo da salvaguardare i nostri allevamenti. Per questo poco possono fare i politici mentre molto può essere fatto dall’industria del latte e dai consumatori. Con l’obbligatorietà di dichiarare sulle confezioni la provenienza del latte, un consumatore consapevole e informato può contribuire in maniera sostanziale alla riduzione delle importazioni di latte, orientando i suoi acquisti verso prodotti fatti con il latte italiano. Lo stesso potrebbe fare la GDO, senza infrangere alcuna legge. Chiudere le frontiere al latte straniero in un momento di “nervi tesi” come questo potrebbe però scatenare ritorsioni nell’importazione dei formaggi italiani da parte degli altri stati europei, creando un danno economico ben superiore a quello derivante da un calo della domanda nel canale Ho.Re.Ca. Riportiamo qualche numero su cui riflettere: nel 2013 il nostro paese ha importato dall’estero 1.654.000 tonnellate di latte e nel 2017 tale quantità è scesa a 1.138.000 di tonnellate.
Una riduzione della domanda di latte è di per sé un danno economico per gli allevatori e per l’industria del latte, ma anche per chi produce beni e servizi per la zootecnia. A meno d’interventi pubblici, questi mancati ricavi sono inevitabilmente e integralmente a carico di tutti gli attori della filiera. Ognuno per la sua parte. Mi ha francamente fatto rabbrividire, specialmente in momento come questo, caratterizzato da un comportamento dignitoso dei politici e da “gare” di solidarietà tra cittadini, leggere su qualche lettera arrivata agli allevatori di probabili riduzioni del prezzo del latte alla stalla. E perché? Cosa centra? Deve essere ben chiaro che una riduzione del prezzo del latte alla stalla ha come unica e esclusiva finalità l’addossare agli allevamenti le perdite di profitti dell’industria lattiero-casearia che decide di fare questa scelta. Chi ha questa mentalità, e speriamo siano veramente pochi, si giustifica affermando che comprare latte straniero invece che latte italiano è più economico. E’ bene sempre ricordare che, almeno per il momento, è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza del latte e che utilizzare latte straniero dichiarando che è italiano è un reato penalmente perseguibile. Ci auguriamo che le autorità competenti vigilino su questi comportamenti esecrabili per una società civile ed equiparabili a chi ha indebitamente speculato sui prezzi delle mascherine chirurgiche e dei guanti in momento così grave per l’umanità.