La mastite dei ruminanti da latte e il surriscaldamento del pianeta dovuto ai gas serra (GHG) sono due argomenti che apparentemente non hanno nulla in comune, ma non è così.
L’allevamento degli animali che producono cibo per l’uomo è accusato da molti di tante nefandezze, tra cui quella d’impiegare grandi quantità di antibiotici per prevenire e curare malattie infettive sicuramente agevolate dalle cattive condizioni igieniche e dal sovraffollamento. Una volta alcuni antibiotici venivano utilizzati come promotori di crescita ma in Europa già dal 1997 alcuni si essi furono vietati, per arrivare al bando totale nel 2006. Secondo quanto riportato nell’ultima relazione della European Medicines Agency (EMA), dal titolo “Sales of veterinary antimicrobial agents in 31 european countries”, il nostro paese, dopo Cipro ma avanti rispetto alla Spagna, utilizza 273.8 mg/PCU (milligrammi di principio attivo per peso stimato) di antibiotici negli animali da reddito. Per fare i dovuti confronti, l’impiego degli antibiotici a Cipro è di 423.1 mg/PCU, in Italia di 272.8 mg/PCU e in Spagna di 230 mg/PCU. Per avere un metro di paragone, in Norvegia e in Svezia tale impiego scende, rispettivamente, a 3.1 e 11.8 mg/PCU. L’affidabilità dei dati dell’EMA è però contestata da molti in Italia. La ricetta elettronica entrata in vigore nel nostro paese il 16 Aprile 2019 permetterà di chiarire molto i dati su questi argomenti.
Leggendo però i dati contenuti in questo report si evidenzia come il consumo di pomate antibiotiche endomammarie, utilizzate per la mastite essenzialmente bovina, rappresenti solo lo 0.5% del totale degli antibiotici utilizzati negli animali da reddito e quelli impiegati per le infezioni uterine una percentuale ancora più bassa. Il 9.9% del totale degli antibiotici destinati ai “food animal” viene utilizzato per le preparazioni iniettabili ma non è noto il dettaglio di consumo per specie animale.
Il fenomeno globale dell’antibiotico-resistenza sta preoccupando tutti: si prevede infatti che nel 2050 causerà 10 milioni di decessi nell’uomo. Il 27 e il 28 gennaio 2019 sono stati pubblicati due regolamenti comunitari, rispettivamente, il 2019/4 e il 2019/6, che regolamentano con maggiore dettaglio l’impiego dei farmaci e dei mangimi medicati e che entreranno in vigore il 28 Gennaio 2022. Uno dei principi fondamentali di questi due regolamenti comunitari è che il medico veterinario diventerà ancor più responsabile dell’impiego degli antibiotici, molti dei quali dovranno essere prescritti solo dopo una diagnosi oggettiva. Pertanto, anche se l’impiego degli antibiotici nella terapia delle mastiti nei ruminanti da latte è molto basso, e considerando che molti degli antibiotici antimastitici vengono impiegati per la messa in asciutta, ci si sta rapidamente spostando dalla terapia sistematica in asciutta (BDCT) alla terapia selettiva (SDCT).
Il principio che ha ispirato questa scelta complessa e per certi versi rischiosa è che anche se l’impiego degli antibiotici per il controllo delle mastiti è veramente esiguo è un dovere razionalizzarlo. Principio ampiamente condivisibile perché si dice che “il mare è fatto di gocce”.
Altra accusa continuamente rivolta all’allevamento intensivo, in particolare dei ruminanti, è quella di essere il principale responsabile del surriscaldamento del pianeta a causa dell’enorme produzione di GHG come l’anidride carbonica, il metano e il protossido d’azoto. Il 21 aprile 2020 l’ISPRA, ossia l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in una videoconferenza dal titolo “Le emissioni in atmosfera in Italia” ha presentato i dati essenziali contenuti nel corposo (610 pagine) documento “Italian Emission Inventory 1990-2018” (rapporto 318/2020) sulle emissioni di GHG e ammoniaca in Italia. Da questo rapporto alcuni dati essenziali:
- L’agricoltura produce il 7% delle emissioni italiane di gas serra.
- Il 47% di queste emissioni è dovuto alle fermentazioni enteriche e il 18.8% deriva dalla gestione delle deiezioni.
- Il 79% delle emissioni derivanti dall’agricoltura (5.5%) è dovuto all’allevamento degli animali.
- Le bovine da latte sono responsabili, in senso assoluto, per il 2% del totale delle emissioni.
- I dati riportati da ISPRA sono coerenti con quanto pubblicato nella Invited Review dal titolo “Emission and mitigation of greenhouse gases from dairy farms: The cow, the manure and the field” (M.A. Wattiaux and al. (2019) Applied Animal Science 35:238-254).
L’agricoltura ha invece un peso rilevante (94%) nelle emissioni di ammoniaca, sempre secondo ISPRA. L’ammoniaca ha una serie di effetti negativi sulla salute dell’uomo e dell’ambiente: può causare eutrofizzazione delle acque superficiali, acidificazione dei suoli e, reagendo nell’aria con i nitrati e i solfiti,contribuire alla formazione di particolato sottile (PM2.5).
Quali conclusioni si possono trarre dal confronto tra mastiti e gas serra?
Una su tutti è che, tanto o poco che sia, ognuno deve dare il suo contributo per mantenere e migliorare la salute dell’uomo e quella del pianeta, anche perché sarebbe oggettivamente impossibile stabilire a quale percentuale del problema debba scattare l’interesse per un argomento. Alla luce di questi fatti, gli scontri ormai quasi quotidiani tra allevatori e animalisti e tra organizzazioni di categoria e media non sono di fatto utili. Il giornalismo d’inchiesta ha sicuramente la capacità di raggiungere e influenzare un elevatissimo numero di consumatori rispetto alle indignazioni di allevatori e organizzazioni varie. Ruminantia, il cui payoff è “Libero confronto d’idee”, circa tre anni ha proposto un progetto dal nome “Stalla etica” con il quale è possibile rispondere concretamente a ciò che la gente chiede all’allevamento intensivo e misurare se l’homo sapiens, quando diventa homo consumens, è disposto a pagare di più un cibo (latte etico) prodotto in stalle dove vengono rispetti i diritti delle bovine di fare una vita degna di essere vissuta, dove le emissioni di GHG e ammoniaca sono minime, dove c’è un basso ricorso alle risorse idriche e ai farmaci e dove si produce energia per il pianeta.