Ridurre l’impatto delle attività umane sul nostro pianeta è in cima alla lista delle priorità di buona parte dei politici, degli scienziati e della gente. Molte persone stanno cambiando il loro stile di vita e molte industrie stanno migliorando la sostenibilità delle loro produzioni e dei loro prodotti proprio per offrire ai consumatori la possibilità di fare loro stessi qualcosa di concreto attraverso le loro scelte.

Non deve demoralizzare ma solo fare indignare il falso eco frendlye il falso biologico. Di aziende non “serie” ce ne sono, ce ne sono state e ce ne saranno sempre.

Tutte le attività a difesa del pianeta attualmente in atto, seppur positive, daranno risultati troppo lentamente perché per risolvere l’emergenza climatica abbiamo davanti solo pochissimi anni.

Una volta la politica si riconosceva in ideologie ben chiare, poi si divideva in destra e sinistra o in conservatori e progressisti. Oggi i temi ecologici sembrano raggruppare trasversalmente gente di diverso livello di scolarizzazione, razza, nazione, genere e tenore di vita. Occuparsi di ambiente non è più una prerogativa della sola sinistra o dei progressisti.

Solo le frange negazioniste più radicali e quelli a cui non interessa il destino delle generazioni che verranno dopo di noi resistono a non volersi far coinvolgere dall’emergenza ambiente. A prescindere da dove metteranno la crocetta nella cabina elettorale.

E’ forse giunto il momento di smetterla di affidare tutta la voglia di fare qualcosa per il futuro della Terra alle campagne di sensibilizzazione, ma di fare qualcosa di rapido e concreto.

Si sta rapidamente diffondendo nel mondo una nuova traiettoria di sviluppo per l’antropocene che va sotto il nome di “Green New Deal”. E’ difficile datare la nascita di questa idea e attribuirla ad una persona. Con questa definizione si vuole intendere anche il colossale piano d’investimenti pubblici che ha un uguale solo in quello che Franklin D. Roosevelt mise in atto per risollevare gli Stati Uniti dopo la grande depressione del 1929. Alcuni attribuiscono la paternità del “Green New Deal” al giornalista americano Thomas Friedman ma in realtà a chiederlo a gran voce fu un rapporto dell’ONU del 2009.

Ma di cosa si tratta in pratica?

Questo movimento nato negli USA si sta rapidamente diffondendo in tutto il mondo occidentale ed ha come obiettivo quello di giungere rapidamente (entro 10 anni) al “carbon neutral”, ossia ad un bilancio uguale a zero tra la CO2 equivalente emessa e quella consumata, introducendo una forte tassazione sui combustibili fossili, incentivando la produzione energetica da fonti rinnovabili e la messa in sicurezza dei luoghi che corrono più rischi dai cambiamenti climatici. Il tema del “Green New Deal” è stato ovviamente ripreso dai partiti e movimenti verdi europei con spesso “l’aggiunta” del tema delle diseguaglianze sociali. L’economia verde è anche un importante occasione economica, perché questa imponente “sterzata” della produzione di cibo e merci e dello stile di vita necessariamente crea molti nuovi posti di lavoro che i sostenitori della “Green New Deal” quantificano in milioni.

Ma qual è l’atteggiamento dell’Europa?

Il neo eletto Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha messo la tutela dell’ambiente e l’economia verde in cima alla lista delle priorità dell’UE. La Leyen ha conferito la delega per occuparsi di una “Green New Deal” europea al suo vicepresidente Frans Timmermans. Sicuramente movimenti come il “Friday For Future” di Greta Thumberg e il “All In For Climate Action” stanno profondamente agendo sulle coscienze dei politici del mondo, evidenziando il sostanziale fallimento degli ormai periodici incontri tra i grandi della terra sul clima e l’ambiente.

E cosa succede in Italia?

Nel nostro paese i verdi hanno raccolto un insignificante 2.3% alle elezioni europee del 26 Maggio 2019, a differenza del 20% tedesco, 13 % francese e 9% irlandese. La certezza che esiste una perfetta coerenza tra la ricerca dell’obiettivo “carbon neutral”, il rispetto dei diritti degli animali d’allevamento, la lotta agli sprechi e l’occupazione e i profitti è letta da buona parte della popolazione italiana come un atteggiamento stravagante e naive, perché quello del no a prescindere e il “mai confrontarsi” è stato oggettivamente l’atteggiamento dei movimenti ambientalisti del nostro paese. Una declinazione italiana del “Green New Deal” può essere invece il formidabile motore per far ripartire l’economia e far tornare la voglia d’imprendere agli imprenditori italiani. Tutto questo ovviamente deve essere accompagnato con una politica fiscale più equa, una semplificazione burocratica “vera” e una più equa ridistribuzione della ricchezza. Quest’ultimo provvedimento dovrebbe ampliare il livello di benessere dei giovani e delle fasce meno agiate della popolazione come prerequisito per una migliore e serena coesione sociale.