1. Benessere animale: aspetti morali messi in pratica

La convivenza tra uomo ed alcune specie animali ha portato ad adottare leggi che tutelino gli animali stessi, intesi in alcuni Paesi come esseri senzienti. In accordo con le teorie di Bentham, poi applicate al mondo animale da Singer (1990), se gli animali sono essere senzienti, allora la loro felicità (intesa come benessere) e la loro sofferenza devono essere considerate quando l’uomo interagisce con essi. Il concetto secondo il quale gli animali possano provare emozioni e sentimenti ha ricevuto critiche discordanti ed alcuni scienziati, ad esempio, obiettano il fatto che i sentimenti non possano essere indagati secondo un criterio scientifico. Altri, come Fiorito (1986), sostengono che “se uno stimolo ritenuto doloroso per un essere umano è applicato ad un animale ed evoca una risposta di sottrazione e protezione dallo stesso stimolo, allora è ragionevole pensare che lo studio di queste risposte possa essere impiegato per indagare la percezione del dolore in specie non umane”. Bateson (1991) proponeva di “generalizzare i criteri impiegati per valutare lo stato di sofferenza di un uomo, anche alle specie animali”. Altri scienziati hanno proposto di non basare la nostra valutazione dello stato di coscienza di una specie animale solo sulla possibilità di percepire (e mostrare) dolore.

Sebbene permangano difficoltà metodologiche, gli studi basati sulla valutazione di quanto un animale sia disposto a “spendere” (energie/tempo/risorse) per ottenere una ricompensa/condizione sono essenziali per quantificare la motivazione di un soggetto; ciò può aiutarci a gettare luce su cosa sia necessario per assicurare il diritto al benessere degli animali. I bisogni non soddisfatti, infatti, sono causa di sofferenza o quanto meno di stress. Larrère (1999) sostiene che tra l’uomo e gli animali (per lo meno quelli allevati) esista un tacito contratto sociale. Secondo questa visione, il contratto impone all’uomo di trattare in modo appropriato gli animali domestici o che comunque si trovino sotto la sua responsabilità; ciò significherebbe assicurare protezione (dai predatori, dalle condizioni ambientali avverse, dalle malattie), provvedere all’alimentazione e salvaguardarne la riproduzione.

L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di analizzare come le scienze che indagano il benessere animale possano essere di aiuto nell’applicare concetti morali al trattamento riservato agli animali domestici.

  1. Le basi delle scienze del benessere animale: definizioni

Il benessere è considerato un “termine molto ampio che comprende sia aspetto fisici sia mentali” dell’animale. Hughes (1976) definiva il benessere come uno stato fisico e mentale nel quale l’animale è in armonia con il suo ambiente, dove per “fisico” si intendono la salute e la soddisfazione delle necessità biologiche, mentre con “mentale” si indicano le emozioni soggettive. Sebbene il senso comune attribuisca stati emozionali agli animali, alcuni scienziati rifiutano l’idea che gli animali possano sperimentare stati mentali e/o emozioni che non possano, però, essere studiati.

Nel tempo è stato quindi necessario definire il benessere da un punto di vista più scientifico:

  • L’animale si adatta al suo ambiente senza difficoltà; mentre stereotipie, modificazioni dell’attività delle ghiandole surrenali ecc., sono considerate segni di maladattamento.
  • L’animale riesce a soddisfare i propri bisogni, mentre lo stress è definito come lo stato in cui i feedback che l’animale mette in atto per adattarsi al proprio ambiente non sono sufficienti ad eliminare la causa dei feedback stessi.

Da un punto di vista applicativo, sono stati elaborati dei parametri integrativi per la valutazione del benessere, quali ad esempio la longevità. Altri Autori affermano che l’incremento prolungato nel tempo ed oltre il 40% rispetto all’attività basale delle concentrazioni ematiche di cortisolo possa segnalare uno scarso stato di benessere. Va poi considerato che il nostro giudizio su cosa sia più o meno importante per l’animale è basato su considerazioni morali che potrebbero non essere valide per l’animale stesso; ad esempio, uno stato pre-patologico potrebbe non essere importante per l’animale in quanto esso non è preoccupato di una malattia ancora non evidente, ma potrebbe essere di grande rilevanza da un punto di vista deontologico in quanto si attribuisce agli animali domestici il diritto di essere in buona salute.

Sebbene l’introduzione di parametri di controllo abbia permesso una valutazione più oggettiva del benessere, la connessione con gli aspetti morali è andata progressivamente perdendosi. Il dialogo tra la scienza e l’opinione pubblica, poi, è spesso difficile in quanto il linguaggio tecnico e l’impiego di indicatori biologici (cortisolo) può portare l’interlocutore a non comprendere il significato degli indicatori stessi o a credere che la scienza stia in qualche modo nascondendo la verità.

  1. Benessere animale e scienze comportamentali

All’interno delle scienze animali, il benessere è ampiamente indagato da coloro che si occupano di comportamento animale. Sebbene la salute sia una componente fondamentale del benessere animale, raramente chi si occupa di ricerca clinica parla di benessere quando pianifica i disegni sperimentali o quando interpreta i risultati dei test.

Non è possibile chiedere direttamente all’animale come stia interpretando una certa situazione o in che stato d’animo si trovi, come ad esempio nei questionari sulla qualità di vita per pazienti umani. Possiamo solamente osservare cambiamenti comportamentali e dedurre che l’animale possa provare stati emozionali positivi e negativi. Watson (1913) definiva il comportamento animale come la risposta di un organismo, generalmente dotato di sistema nervoso, in seguito a stimoli ambientali, osservabile oggettivamente. In base a ciò, lo studio che si poteva condurre sul comportamento animale consisteva nel porre soprattutto ratti da laboratorio in un ambiente totalmente controllato, fornendo degli input ed analizzando degli output (risposte). Ciò che accadeva nell’animale era considerato impossibile da valutare per cui non si faceva menzione della sfera affettiva. Sebbene questo tipo di approccio non permetteva di indagare le emozioni degli animali, ha comunque permesso di implementare un metodo sperimentale utile per valutare quali stimoli possono influenzare un animale oppure l’intensità della motivazione a raggiungere un certo stato.

Successivamente, gli zoologi portarono avanti un metodo parallelo di studio del comportamento animale, più tardi definito “etologia”. Tinbergen e Lorenz cominciarono ad osservare gli animali nel loro ambiente naturale o in ambienti nei quali erano comunque liberi di muoversi; essi si concentrarono sullo studio dei comportamenti innati e determinarono quattro obiettivi principali dello studio etologico. Questi consistevano nella definizione della funzione, evoluzione, causa e sviluppo di un dato comportamento. Lorenz affermava che i fenomeni esterni ed interni all’animale erano in grado di interagire e che alle volte questi fattori erano in grado di indurre comportamenti all’apparenza indipendenti da stimoli esterni. Di nuovo, la sfera affettiva e le emozioni non erano considerate, in quanto non scientificamente indagabili. Ad ogni modo, l’etologia ci permette di comprendere come gli animali vedano ed interpretino il mondo.

Tolman (1932) gettò le basi per la psicologia cognitiva e affermava che era possibile studiare i processi mentali tanto nell’uomo quanto negli animali. I principali argomenti di studio della psicologia cognitiva sono rappresentati da: categorizzazione, memoria, linguaggio, risoluzione dei problemi. Questo tipo di studi permise di andare oltre l’interpretazione “a scatola nera” (non indagabile) delle emozioni animali, rendendola una “scatola grigia”. Sfortunatamente, i problemi e le risoluzioni richieste agli animali sperimentali era disegnati secondo lo schema mentale umano e quindi erano poco rappresentativi di ciò che quella specie normalmente affrontava nella vita reale. Ad esempio lo studio dei suoni che alcuni pappagalli erano in grado di articolare, imitando il linguaggio umano, sebbene intellettualmente molto stimolante, non aveva nulla a che fare con lo studio di come quegli stessi pappagalli comunicassero tra loro in ambiente naturale.

Tra le varie scienze comportamentali, comunque, l’etologia sembra essere quella più vicina al benessere animale in quanto osserva gli animali ed i loro comportamenti spontanei. L’etologia cognitiva, nata dalla fusione di etologia e studio della cognitività animale, studia le abilità mentali animali in condizioni molto più naturali. Sebbene questa oggettività abbia permesso di compiere grandi passi in avanti verso la comprensione del comportamento animale, la disciplina si è concentrata su aspetti del comportamento animale che poco avevano a che fare con il benessere, per lo meno in maniera diretta.

In generale, le scienze che si occupano di studiare il benessere animale dovrebbero cercare di rispondere a queste domande:

  • Quanto profondamente gli animali allevati dall’uomo sono capaci di provare emozioni? In altre parole, che tipo di stati emotivi possono sperimentare?
  • Come percepisce l’ambiente circostante una precisa specie animale? Quali situazioni sono percepite come positive e quali come negative? Quali elementi di un ambiente sono graditi ad una specie e quali quelli sgraditi?
  • Come possiamo valutare il livello di benessere fisico e mentale in una certa situazione?
  • Che impatto ha il nostro modo di trattare gli animali durante la loro vita e durante l’abbattimento sul loro benessere?
  • Quali sono le raccomandazioni e le azioni correttive che possiamo implementare per migliorare il benessere animale?

Sono necessari approcci metodologici specifici per verificare la presenza di stati emozionali positivi e negativi negli animali, al fine di poter rispondere alle domande poste precedentemente.

 

The Nature of Animal Welfare Science

Veissier I. and Forkman B.

ARBS Annual Review of Biomedical Sciences 2008; 10:T15-T26

DOI: 10.5016/1806-8774.2008.v10pT15