Il 2020 si era aperto all’insegna dell’entusiasmo per il Pecorino Romano e, grazie al buon recupero delle esportazioni realizzato nel 2019 (+29% in volume) e un alleggerimento delle scorte, i prezzi risultavano di oltre il 15% superiori al livello di un anno prima. Con la diffusione dell’epidemia da Covid-19 e l’introduzione delle misure restrittive si è verificato un rallentamento dei volumi esportati, in particolare nei mesi di febbraio e marzo, e un ulteriore calo dei consumi interni, che hanno di fatto bloccato i listini all’ingrosso. Salvo una lieve variazione registrata a marzo, infatti, i prezzi del Romano sono fermi ormai da diverse settimane sui 7,80 euro/kg (Iva esclusa). A determinare questa stagnazione delle quotazioni anche un incremento dell’offerta di Pecorino Romano rispetto alla precedente campagna, in parte determinato dal buon andamento della domanda estera – almeno fino a gennaio – in parte da un dirottamento della materia prima verso un prodotto a lunga stagionatura, considerando il blocco della domanda da parte del canale Horeca che ha penalizzato soprattutto i prodotti a shelf life ridotta. In dettaglio, a fine maggio 2020 risulta un aumento della produzione di Romano pari al 19% rispetto al periodo cumulato ottobre 2018 – maggio 2019.

624 milioni di euro il valore della produzione nazionale di latte e carne ovicaprina

Il settore ovicaprino rappresenta poco più dell’1% del valore della produzione agricola nazionale, attestandosi su un totale di circa 624 milioni di euro a prezzi correnti nel 2019, di cui 460 milioni generati dal segmento latte e 164 milioni da quello della carne. Un valore tuttavia che, risultando concentrato territorialmente, fa sì che il settore assuma un ruolo economicamente rilevante nelle aree in cui è diffuso, con particolare riferimento alla Sardegna dove ha un’incidenza pari a quasi un quinto del valore totale dell’agricoltura regionale.

Pur nelle sue piccole dimensioni sul fronte economico, la presenza degli allevamenti ovicaprini si conferma determinante per la funzione sociale e ambientale di mantenimento e presidio del territorio in aree in cui altrimenti molto spesso non sarebbero possibili altre attività produttive. Inoltre, l’allevamento ovicaprino da latte si caratterizza per il forte radicamento culturale e storico dell’area del Mediterraneo e, specificatamente per l’Italia, è alla base di numerose specialità gastronomiche.

La filiera ovicaprina nonostante si caratterizzi ancora per l’elevato numero di operatori nella fase agricola conferma un trend strutturale in costante diminuzione, a causa del progressivo abbandono dell’attività da parte di aziende di ridotte dimensioni e meno competitive.

Un modello produttivo in concentrazione ed evoluzione verso modelli più intensivi

Secondo il censimento annuale dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica, nel 2019 oltre l’80% dei capi in allevamento è orientato alla produzione di latte oppure ha un indirizzo produttivo misto, dove la produzione di carne rappresenta un prodotto secondario. Le aziende con orientamento produttivo latte e misto, sfioravano le 56 mila unità a fine 2019 con oltre 2.000 allevamenti specializzati in meno rispetto all’anno precedente, a fronte di una consistenza sostanzialmente stabile di 7,7 milioni di capi ovini e caprini. Tali dinamiche confermano il fenomeno di concentrazione in atto ormai da diversi anni e la tendenza a convertire gli allevamenti in sistemi intensivi o semintensivi, soprattutto nelle aree maggiormente vocate: attualmente gli allevamenti ovini di grandi dimensioni (>300 capi) incidono per circa il 9% del totale, ma rappresentano ben il 52% dei capi allevati.

In Sardegna si localizza quasi la metà del patrimonio ovino nazionale con il 17% del totale degli allevamenti. A seguire per importanza territoriale la Sicilia, con il 12% dei capi e il 10% delle aziende, poi Lazio e Toscana.

Il mercato nazionale: Italia primo produttore europeo di formaggi di pecora con 76 mila tonnellate

Dagli allevamenti nazionali si producono annualmente circa 463 mila tonnellate di latte ovino, la cui destinazione quasi esclusiva è rappresentata dalla caseificazione. Con 75,8 mila tonnellate prodotte, l’Italia detiene la leadership in ambito UE, essendo il primo produttore di formaggi di latte di pecora (non considerando quelli a latte misto); seguono Spagna e Francia, che sono i Paesi con cui principalmente i prodotti nazionali si trovano a competere sui mercati esteri.
L’equilibrio della filiera nazionale continua a essere fortemente influenzato dall’andamento del mercato del Pecorino Romano che, oltre a rappresentare ben l’84% della produzione di formaggi ovini DOP-IGP e l’82% del fatturato del segmento, è la principale destinazione del latte ovino prodotto in Sardegna.

Il 2020 si era aperto all’insegna dell’entusiasmo per il Pecorino Romano e, grazie al buon recupero delle esportazioni realizzato nel 2019 (+29% in volume) e un alleggerimento delle scorte, i prezzi risultavano di oltre il 15% superiori al livello di un anno prima.

La pandemia da Covid-19 rallenta le esportazioni e i consumi interni. E il mercato del Pecorino si ferma

Con la diffusione dell’epidemia da Covid-19 e l’introduzione delle misure restrittive si è verificato un rallentamento dei volumi esportati, in particolare nei mesi di febbraio e marzo, e un ulteriore calo dei consumi interni, che hanno di fatto bloccato i listini all’ingrosso. Salvo una lieve variazione registrata a marzo, infatti, i prezzi del Romano sono fermi ormai da diverse settimane sui 7,80 euro/kg (Iva esclusa).

Produzione di Pecorino Romano in aumento

A determinare questa stagnazione delle quotazioni anche un incremento dell’offerta di Pecorino Romano rispetto alla precedente campagna, in parte determinato dal buon andamento della domanda estera – almeno fino a gennaio – in parte da un dirottamento della materia prima verso un prodotto a lunga stagionatura, considerando il blocco della domanda da parte del canale Horeca che ha penalizzato soprattutto i prodotti a shelf life ridotta. In dettaglio, a fine maggio 2020 risulta un aumento della produzione di Romano pari al 19% rispetto al periodo cumulato ottobre 2018 – maggio 2019.

Interventi pubblici a sostegno della filiera

Con lo scopo di riequilibrare il mercato, riducendo l’abbondante offerta di pecorino, sono state stanziate risorse per l’acquisto di formaggio da distribuire agli indigenti, sia a livello nazionale con il cosiddetto “Decreto emergenze” sia a livello regionale anche con riferimento ai prodotti a bassa stagionatura della Sardegna. A tali risorse, si aggiunge il sostegno all’ammasso privato dei formaggi introdotto in via straordinaria dalla Commissione UE con il Reg. delegato n. 2020/591 a cui i produttori potranno accedere.

Qualche segnale positivo si sta intravedendo in Sardegna a monte della filiera: nelle prime tre settimane di giugno il prezzo del latte ovino ha sfiorato gli 80 euro/100 litri (Iva inclusa), facendo registrare un aumento dell’11% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (in linea con la variazione tendenziale registrata dal Romano nei mercati all’ingrosso).

Situazione meno variabile nelle altre aree produttive, con il latte mediamente pagato 85 euro/100 litri in Toscana e 97,50 euro/100 litri nel Lazio, poiché minori sono le implicazioni sui mercati di sbocco e meno impattanti sono le oscillazioni dei prezzi all’ingrosso dei formaggi cui la materia prima viene destinata.

L’export è una variabile strategica per la filiera, ma la specializzazione di prodotto e di mercato costituiscono un elemento di forte criticità

La produzione nazionale di formaggi ovini e caprini supera il fabbisogno interno, come evidenziato dal tasso di autoapprovvigionamento che si attesta intorno al 120%, e l’export costituisce una variabile strategica per l’equilibrio e la performance economica dell’intera filiera. Circa un terzo dei formaggi pecorini prodotti in Italia è, infatti, inviato all’estero con una netta prevalenza del Pecorino Romano, che rappresenta mediamente i due terzi delle esportazioni, e una spiccata predilezione per il mercato USA, che assorbe circa il 70% dei quantitativi esportati.

Dopo il drastico crollo del 2018 (quasi il 30% in meno rispetto all’anno precedente), nel 2019, le esportazioni di pecorino sono ritornate su livelli normali con circa 21 mila tonnellate vendute all’estero e un valore di 158 milioni di euro (+29% in volume e +24% in valore), grazie allo straordinario recupero realizzato negli Stati Uniti (+47% in volume e +45% in valore).

La performance del primo trimestre 2020 è stata compromessa dalle restrizioni sanitarie e logistiche del Covid-19, con le perdite registrate a febbraio e marzo che hanno fatto realizzare solo un timido +2,1% in volume rispetto al periodo gennaio-marzo dello scorso anno. Da sottolineare, tuttavia, la buona tenuta dei prezzi medi all’export nei primi tre mesi del 2020, che hanno determinato una crescita del valore delle vendite all’estero nella misura del +14,2% su base annua.

Il 2020 sembra aprire la strada a nuovi mercati dell’est Europa

Altro elemento, che lascia intravedere uno spiraglio positivo sul risultato di fine anno, è rappresentato dai buoni risultati raggiunti in ambito UE e nel Regno Unito, oltre che in “nuovi” paesi di destinazione come la Polonia che sta assorbendo una quota quasi sei volte superiore a quella di un anno fa (pari alla quota della Francia e superiore a quella del Regno Unito).

Tali andamenti andranno comunque opportunamente valutati in relazione ai dati dell’export del secondo trimestre 2020, considerato che nei mesi di aprile e maggio (in parte) sono proseguite le restrizioni sanitarie per il contenimento della pandemia da Covid-19, con particolare riferimento alla chiusura del canale Horeca estero.

Esportazioni di pecorino per Paese di destinazione (tonnellate)

Consumi domestici in ulteriore contrazione durante l’emergenza Covid

I pecorini sono una delle più importanti tipologie di formaggi italiani e si collocano nella Top 10 in termini di volume complessivo acquistato e di penetrazione, considerando che più di una famiglia su due effettua ogni anno almeno un acquisto di pecorino.

I consumi di pecorino hanno una spiccata connotazione territoriale, anche legata alla presenza significativa del patrimonio ovino in determinate aree. Una quota rilevante degli acquisti si concentra, infatti, nel Centro Italia (inclusa Sardegna), dove risiede il 23% delle famiglie italiane e dove si trova circa un terzo degli acquirenti e dei volumi complessivamente acquistati. Inoltre, nelle regioni del Centro il consumo è più intenso e le famiglie comprano in media 2,2 kg di pecorino all’anno, contro una media di 1,75 kg del totale Italia.

Negli ultimi due anni, tuttavia, l’andamento degli acquisti è progressivamente diminuito a livello nazionale, a fronte di prezzi medi al consumo rimasti sostanzialmente invariati.

Durante il lockdown, diversamente da altri formaggi stagionati, i pecorini sono stati complessivamente caratterizzati da una contrazione dei volumi acquistati a fronte di un lieve aumento della spesa e, quindi, di un rialzo dei prezzi medi al consumo (+5% nel periodo gennaio-maggio 2020) anche come conseguenza di un minore ricorso alla leva promozionale da parte delle insegne della GDO.

Pesa la chiusura dell’Horeca e l’assenza di turisti

Inoltre, la chiusura dei canali Horeca e l’assenza dei turisti nelle tipiche aree di produzione (Lazio, Toscana, Sardegna), conseguenti alla diffusione della pandemia Covid-19 è andata ad aggiungersi a questa debolezza di fondo degli acquisti domestici evidenziata nei primi cinque mesi dell’anno, facendo temere per l’accumulo di scorte nei prossimi mesi.

La ripresa del settore passa attraverso l’innovazione di prodotto e il raggiungimento di nuovi target

Con la riapertura della ristorazione e delle frontiere, si auspica una ripresa della domanda interna, soprattutto in considerazione delle potenzialità espresse dai formaggi pecorini e risultanti da un’indagine recentemente realizzata1. La ricerca ha evidenziato che l’immagine dei formaggi pecorini è per tutti molto positiva e centrata soprattutto sugli aspetti di tradizione e di provenienza da territori specifici.

L’insieme dei valori associati ai formaggi pecorini fa emergere una duplice dimensione, partendo dai concetti di “semplicità-rusticità-naturalezza-tradizione” per arrivare a una definizione di “ricercatezza-pregio-modernità”. Le associazioni «prodotto – valori» sono spesso di tipo emotivo e fondate sull’immaginario generato dal latte di pecora e sulla tipologia di allevamento. In generale, l’allevamento ovino rimanda a scenari fortemente naturali e bucolici, caratterizzati dall’idea che la produzione sia prevalentemente di carattere artigianale, saldamente ancorata alla tradizione e sostenibile dal punto di vista dell’ambiente. Oltre all’idea di semplicità e genuinità, i formaggi pecorini presentano una caratterizzazione molto ben definita sia rispetto alla consistenza che al sapore, tendenzialmente forte, deciso e comunque particolare, non adatto a tutti, ma a una platea di intenditori. E ancora la tradizione e l’origine antica si contrappongono a una modernità, che si esprime soprattutto in diverse e nuove modalità di consumo – come l’aperitivo o il tagliere – e un differente target di consumo rappresentato dai giovani.

Le prospettive future del settore sono molto legate alla possibilità di cogliere queste opportunità e alcuni cambiamenti sono già in atto ad esempio nella filiera del Pecorino Romano, con la modifica del disciplinare di produzione che prevede l’introduzione di tre nuove tipologie di prodotto (“ridotto contenuto di sale”, “di montagna” e “a lunga stagionatura”) e di un formato snack.

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Fonte: Ismea