Nella maggior parte delle aziende da latte i vitelli sono separati alla nascita dalle loro madri e allevati artificialmente. Questi vitelli sono particolarmente a rischio per morbilità e mortalità, specialmente durante il periodo di alimentazione lattea e a ridosso dello svezzamento (USDA, 2009). Molti allevatori svezzano le vitelle precocemente per ridurre i costi associati alla somministrazione di latte o sostituti; non bisogna dimenticare che questi animali nascono con un rumine immaturo e i loro fabbisogni nutrizionali devono essere soddisfatti interamente dal latte. La possibilità di adattamento allo svezzamento richiede lo sviluppo sia fisico sia metabolico non solo del rumine, ma anche di ghiandole salivari, intestino, fegato, tessuti periferici e non ultimo, del comportamento ruminativo (Khan et al., 2011).
La natura dell’alimento solido e la quantità consumata giornalmente possono influenzare lo sviluppo del rumine: alimenti molto appetibili (“starter”) contenenti carboidrati facilmente fermentescibili sono considerati efficaci nello stimolare l’adattamento ruminale allo svezzamento, con cambiamenti strutturali e funzionali dell’epitelio dei prestomaci (Baldwin et al., 2004; Drackley , 2008).
Ruolo di concentrati e foraggi nell’attivazione delle fermentazioni ruminali
I giovani ruminanti, alla nascita, sono privi di flora microbica anaerobia nel proprio rumine. Nelle prime ore di vita quest’ultimo è colonizzato da una popolazione batterica diversificata: in poco tempo nella frazione liquida del contenuto ruminale si possono rinvenire fino a 109 cellule/mL. La popolazione batterica vira verso l’anaerobiosi stretta a partire dal secondo giorno di vita (Fonty et al., 1989), ma lo sviluppo di un complesso ecosistema microbico è tuttavia un lungo processo.
In condizioni naturali i giovani ruminanti acquisiscono la popolazione microbica anaerobia dalla madre, dagli animali più anziani e dall’ambiente. Nelle vitelle alimentate artificialmente l’affermazione di un ecosistema ruminale è influenzata dalle caratteristiche del cibo offerto, dal tipo di ricovero destinato agli animali e dalle pratiche di gestione (Fonty et al., 19888; Beharka et al., 1998). E’ stato dimostrato che nelle prime fasi di vita predominano all’interno del rumine popolazioni di anaerobi acidofili, coliformi, lattobacilli, fermentatori del lattosio e una ristretta percentuale di aerobi. Con il tempo si realizza una lenta transizione verso la flora tipica degli animali adulti. Già nelle prime settimane di vita si possono individuare gruppi microbici funzionali tra cui batteri cellulosolitici, solfato-riduttori, metanogenici e altri utilizzatori degli idrogenioni.
Li et al. (2012a) hanno caratterizzato il microbiota di vitelle preruminanti alimentate con sostituti del latte attraverso la metagenomica: i soggetti di 14 giorni possedevano una flora eterogenea e composta di un maggior numero di generi e specie batteriche rispetto ai corrispettivi di 42 giorni. Malmuthuge et al. (2014) hanno individuato 47 generi ,inclusi 16 generi specifici del rumine, all’interno dell’intero tratto gastro enterico di vitelle di 21 giorni non svezzate.
Sebbene il rumine di bovini da carne adulti alimentati con diete a base di cereali contenga batteri del genere Prevotella spp. in percentuali maggiori rispetto a Bacteroides spp. (Li et al., 2012b), nelle giovani vitelle alimentate con latte o sostituti è maggiormente presente il genere Bacteroides spp. (Li et al., 2012a; Jami et al., 2013). Memuthuge et al. (2014) riportano livelli simili di Prevotella spp. e di Bacteroides spp. in vitelli da latte di 21 giorni e suggeriscono che gli alimenti starter contribuiscono allo sviluppo del microbioma ruminale necessario alla fermentazione dei polisaccaridi vegetali negli animali adulti. Gli stessi Autori precisano che gli studi che intendono valutare la composizione della flora microbica prestomacale nei giovani ruminanti dovrebbero considerare non solo la composizione della frazione liquida, ma anche la popolazione adesa alla parete.
Nella maggior parte delle realtà aziendali lo svezzamento è realizzato prima che la popolazione ruminale abbia raggiunto la piena colonizzazione e sviluppo. Il lento incremento della popolazione anaerobia nelle vitelle svezzate precocemente è da attribuire al consumo di alimenti starter e di amido secondo Anderson et al. (1987). Beharka et al. (1998) riportano maggiore presenza di batteri amilolitici nelle vitelle cui era somministrato alimento macinato finemente (1mm) rispetto a quelle cui erano offerti foraggio di 0.64 cm di lunghezza e cereali fioccati. La diminuita attività cellulosolitica nelle vitelle alimentate con prodotti macinati e ad alto contenuto di amido potrebbe essere attribuita al minore pH ruminale.
Studi recenti evidenziano come l’ingestione di alimenti solidi può essere favorita da pratiche gestionali come l’offerta di foraggio, lo svezzamento graduale, l’allevamento in gruppo con conseguente apprendimento e facilitazione sociale e (Khan et al., 2011b; de Paula Viera et al., 2012; Costa et al., 2015). La somministrazione di fieno d’erba tagliato incrementa l’ingestione durante lo svezzamento e stabilizza il pH ruminale nelle giovani vitelle (Khan et al., 2011b; Castells et al., 2012, 2013). Nell’allevamento in gruppo sono stati osservati maggiore consumo di cibi solidi e minore diffidenza verso alimenti nuovi allo svezzamento (Costa et al., 2014). Probabilmente i fattori che influenzano le preferenze alimentari sono in grado di modificare anche il microbioma ruminale.
Alcuni studi Europei (Yanez-Ruiz et al., 2010; Abecia et al., 2014) condotti su capretti e agnelli hanno indagato l’influenza dell’alimentazione e delle pratiche di svezzamento sulla colonizzazione e sull’avvio delle fermentazioni ruminali nelle prime 4 settimane di vita. Gli Autori riportano che la somministrazione di foraggio o di concentrato nel periodo adiacente allo svezzamento modifica la popolazione batterica ruminale e che l’effetto persiste per più di 4 mesi. Jami e Mizrahi (2012) e Petri et al. (2012) hanno dimostrato che nei bovini adulti esiste un “nucleo” nel microbioma ruminale, variabile tra i diversi animali, che tende a rimanere stabile nonostante differenze genetiche, alimentari o ambientali (es.: induzione di acidosi).
Per quanto riguarda l’acquisizione di una flora anaerobia protozoaria e fungina, gli studi condotti su giovani ruminanti sono scarsi o assenti. Minato et al. (1992) affermano che la colonizzazione protozoaria si realizza nei vitelli attorno alle 8 settimane e che la variabilità della popolazione protozoaria è maggiore rispetto a quella batterica. I protozoi ciliati non riescono a colonizzare l’ambiente ruminale fintantoché la popolazione batterica non si è stabilizzata. Anderson et al. (1987) riportano l’assenza di protozoi nel contenuto ruminale di vitelle allevate singolarmente. Una scarsa capacità di colonizzazione del rumine può essere attribuita anche all’ambiente acido conseguente alla somministrazione di concentrati in assenza di foraggio (Minato et al., 1992; Franzolin and Dehority, 1996; Beharka et al., 1998).
Prodotti delle fermentazioni ruminali e pH
I prodotti delle fermentazioni ruminali possono essere individuati nel rumine di vitelle di due settimane di vita (Beharka et al., 1998). Suarez et al (2006b) hanno identificato, in vitelle alimentate con concentrati, quantità di VFA (acidi grassi volatili) simili a quelle osservate nei ruminanti adulti (120-160 mM). Le diete ricche di concentrati favoriscono la popolazione amilolitica con incremento di butirrato e propionato; l’ingestione di foraggio risulta nell’aumento di acetato (Terré et al., 2013). Non è chiaro se le maggiori concentrazioni molari di acetato siano da ascrivere all’effetto diretto del foraggio sulla microflora o se siano dovute all’aumento del pH all’interno del rumine.
L’accumulo dei prodotti delle fermentazioni aumenta l’osmolalità, causa morte di alcune popolazioni batteriche e inibisce l’ingestione di alimento (Carter e Grovum, 1990). Di conseguenza, fornire alle vitelle una dieta che induce intense fermentazioni (es.: carboidrati ad alta fermentescibilità) può compromettere l’ingestione ed in ultima analisi la performance.
Nelle vitelle alimentate artificialmente il pH ruminale è molto variabile e ciò influenza alcune popolazioni dell’ecosistema microbico e la motilità del prestomaco (Krause e Oetzel, 2005; Penner e Oba, 2009; Laarman e Oba, 2011). L’acidosi ruminale può essere responsabile di danni permanenti alla parete e della formazione di ascessi epatici nei vitelli (Bull et al., 1965; Kay et al., 1969). Le conoscenze circa l’acidosi ruminale subclinica (pH <5.8 per 3 ore/giorno) sono numerose nei bovini da carne e da latte, ma non lo sono altrettanto nel vitello. Si stima che la condizione di acidosi sia molto frequente nel giovane ruminante a causa della scarsa produzione di saliva e della dieta ricca di concentrati (Williams et al., 1987; Laarman e Oba, 2011). Sfortunatamente quasi tutti gli studi sull’acidosi ruminale nei vitelli prevedevano un solo prelievo effettuato tra 1 e 12 ore dopo il pasto; questo approccio non è sufficiente per lo studio della variazione diurna o della durata della condizione di acidosi. Laarman e Oba (2011) hanno monitorato costantemente il pH a livello prestomacale tramite sonde elettroniche e hanno riportato che il pH ruminale era inferiore a 5.8 approssimativamente per 4 ore/giorno nelle vitelle alimentate con latte e con mangime starter. L’ingestione di carboidrati facilmente fermentescibili può indurre acidosi del rumine e liberazione di antigeni quali il LPS (lipopolisaccaride), con alterazione dell’epitelio dell’organo. Le attuali conoscenze sembrano quindi indicare che le pratiche di svezzamento che prevedono il consumo di concentrati o alimenti facilmente fermentescibili prima dello svezzamento possono predisporre le vitelle all’acidosi ruminale e alla patologie correlate.
L’inclusione nella dieta di alimenti meno fermentescibili (es.: buccette di soia) possono avere effetto positivo nell’innalzare e stabilizzare il pH ruminale. Laarman e Oba (2011) hanno riportato la correlazione negativa tra l’ingestione di fieno e la gravità della SARA (acidosi ruminale sub-acuta) con un cut-off di 0.080 kg/giorno, suggerendo che il consumo anche minimo di fieno può mitigare la condizione di acidosi nei giovani ruminanti. Castells et al. (2011) hanno osservato l’aumento dell’espressione della proteina trasportatrice dei VFA (trasportatore 1 del mono-carbossilato) nell’epitelio ruminale di vitelle alimentate con latte che avevano anche accesso al foraggio, in confronto a quelle cui era somministrato mangime starter pellettato. L’aumento dell’assorbimento dei VFA può contribuire a stabilizzare il pH ruminale (Graham et al., 2007). Inoltre, la salivazione è un importante elemento che regola l’acidità dell’ambiente prestomacale ma nel vitello la produzione parotidea è insufficiente a tale scopo almeno fino alle 4 settimane di vita (Kay, 1960). Infine, nelle diete per giovani ruminanti non è nota la percentuale di NDF richiesta per sviluppare e stimolare l’attività ruminativa o per stabilizzare il pH all’interno dell’organo.
Invited review. Transitioning from milk to solid feed in dairy heifers
Khan M.A. et al.
J Dairy Sci. 99:885-902
Doi: http://dx.doi.org/10.3168/jds.2015-9975