Se il prezzo del latte alla stalla seguisse le dinamiche del libero mercato, potrebbe rimanere stabile o potrebbe addirittura aumentare, almeno fino alla fine del 2017.
Gli ultimi dati relativi al primo semestre 2017, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, riportano un grande incremento dell’esportazione dei prodotti del latte pari ad un + 7.7% (in volume) e al 9.5% (in valore).
Si sa che dopo l’estate, ossia in autunno e inizio inverno, la produzione di latte è nettamente inferiore rispetto a quella che si verifica alla fine dell’inverno e rispetto anche alla produzione nei Paesi a Nord dell’Equatore nella stagione primaverile (USA, Europa, Russia e Cina). A Sud dell’equatore avviene invece l’opposto.
L’ultimo dato della Commissione Europea riporta che a Settembre 2017 il prezzo medio del latte (EU28) è stato di 35.85 Euro/q.le, ossia superiore di 8.03 Euro/q.le rispetto al livello di Settembre 2016. Per trovare un prezzo analogo si deve tornare a Novembre 2014 (34.49 Euro/q.le).
Per svariate ragioni, riconducibili anche a scelte etiche e salutistiche dei consumatori, ampiamente illustrate nella sezione che Ruminantia ha dedicato alla Stalla Etica®, si osserva in Italia un forte calo dei consumi dei prodotti del latte. Nel 2016, rispetto al 2015, abbiamo assistito ad un calo complessivo del 2.1%, equamente distribuito tra latte fresco, UHT e formaggi, che si somma a quello già osservato negli anni precedenti. Nel primo semestre del 2017 la situazione ha continuato a peggiorare.
L’industria lattiero-casearia ed il Mipaaf nel frattempo stanno cercando di “rassicurare” i consumatori con improbabili pubblicità naif di vacche al pascolo e con campagne pubblicitarie stile anni 80.
L’industria lattiero-casearia avrà sicuramente gravi perdite di fatturato da alcune referenze, che potranno però essere compensate con la diversificazione delle produzioni verso altre referenze non a base di latte.
L’unica cosa che ci aspettiamo faccia, per far “quadrare” i conti dell’ultimo trimestre e quelli del prossimo anno, sarà tentare di ridurre il suo maggiore centro di costo, vale a dire la materia prima latte, utilizzando direttamente o indirettamente argomenti e numeri spesso fantasiosi dato che non è più possibile utilizzare la scusa dell’embargo Russo (agosto 2014) e della fine del regime quote latte (aprile 2015).
E’ facile ed economico fare impresa in questo modo dato che non servono grandi manager per far quadrare i conti riducendo o non aumentando il prezzo alla stalla, pur sapendo quanto sia debole il potere contrattuale degli allevatori. Alle ansie della gente bisognerebbe invece reagire con argomenti solidi e investimenti, rassicurandola sul fatto che dietro al latte non c’è la sofferenza degli animali e dell’ambiente e sul fatto che il latte non fa poi così male. Anzi!
D’altronde si dice che il “diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. Sono proprio gli allevatori, nella loro cronica invisibilità e solitudine, che si stanno organizzando per ristrutturare gli allevamenti e per renderli “rassicuranti” e “visitabili” dalla gente, realizzando caseifici aziendali dove produrre formaggi di altissimo livello e vedendo direttamente ai consumatori: facendo cioè intelligente tesoro di quello che è successo nel vino. Di conseguenza, molti e sempre di più, stanno saltando due anelli della della filiera ossia industria lattiero-casearia e GDO. Chi ha avuto modo di visitare Cheese 2017 a Bra (Cuneo), e di essere quindi tra i 300.000 visitatori che la hanno visitata, ha ben chiare queste osservazioni. Se l’industria lattiero-casearia fosse stata più lungimirante e capace di strategie di medio-lungo termine questo ulteriore onere di lavoro a carico degli allevatori non sarebbe stato necessario, d’altronde “la necessità aguzza l’ingegno”.