Il consumo di latte promuove la comparsa o la progressione del cancro alla prostata mediante gli effetti sui fattori di crescita insulino-simili (IGF)? Una revisione sistematica e una meta-analisi
Sean Harrison1,2 · Rosie Lennon1 · Jeff Holly3 · Julian P. T. Higgins1,2 · Mike Gardner1,4 · Claire Perks3 ·
Tom Gaunt1,2 · Vanessa Tan1,2 · Cath Borwick1,5 · Pauline Emmet1 · Mona Jeffreys1 · Kate Northstone6 ·
Sabina Rinaldi7 · Stephen Thomas8 · Suzanne D. Turner9 · Anna Pease1 · Vicky Vilenchick1 ·
Richard M. Martin 1,2,10 · Sarah J. Lewis1,2
Ricevuto: 10 Maggio 2016 / Accettato: 10 Marzo 2017 / Pubblicato online: 30 Marzo 2017 © The Author(s) 2017. Questo articolo è pubblicato e ad accesso libero su Springerlink.com
Sean Harrison e Rosie Lennon hanno contribuito in egual misura a questo lavoro, come hanno fatto anche Richard M. Martin e Sarah J. Lewis.
Materiale supplementare. La versione on-line di questo articolo (doi:10.1007/s10552-017-0883-1) contiene ulteriore materiale, che è disponibile per gli utenti autorizzati.
Inviare le e-mail a Sarah J. Lewis: s.j.lewis@bristol.ac.uk
1 School of Social and Community Medicine, University of Bristol, Bristol, UK
2 MRC Integrative Epidemiology Unit (IEU), University of Bristol, Bristol, UK
3 IGFs & Metabolic Endocrinology Group, School of Clinical Sciences at North Bristol, Southmead Hospital, BS10 5NB Bristol, UK
4 Nuffield Department of Population Health, University of Oxford, Oxford, UK
5 Cardiff University, Cardiff, UK
6 CLAHRC West, University of Bristol, Bristol, UK
7 International Agency for Research on Cancer, Lyon, France
8 School of Oral and Dental Sciences,, University of Bristol, Bristol, UK
9 Department of Pathology, University of Cambridge, Cambridge, UK
10 National Institute for Health Research Biomedical Research Unit in Nutrition, Diet and Lifestyle, University Hospitals Bristol NHS Foundation Trust and the University of Bristol, BS2 8AE Bristol, UK
Abstract
Obiettivo
Stabilire se l’associazione tra il consumo di latte e la comparsa del tumore alla prostata sia correlata/legata alla via del fattore di crescita insulino-simile (IGF) (che comprende IGF-I, IGF-II, IGFBP-1, IGFBP-2 e IGFBP-3).
Metodi
Revisione sistematica, raccolta di dati da tutti gli studi considerati pertinenti poiché esaminavano le eventuali associazioni tra latte ed l’IGF e tra l’IGF e il rischio di comparsa e la progressione di un cancro alla prostata. I dati sono stati estrapolati da studi sperimentali e osservazionali condotti sia nell’uomo che negli animali e analizzati, laddove possibile, mediante una meta-analisi, con una sintesi dei dati esposta in maniera differente.
Risultati
172 studi soddisfacevano i criteri di inclusione: 31 esaminavano la correlazione tra latte e IGF; 132 esaminavano la correlazione, negli esseri umani, tra il carcinoma prostatico e l’IGF; e 10 studi condotti sugli animali esaminavano la correlazione tra il cancro alla prostata e l’IGF. C’erano prove moderate di come l’IGF-I e l’IGFBP-3 circolanti aumentassero con l’assunzione di latte (e di proteine derivate dai latticini) (una dimensione dell’effetto standardizzato stimata era di 0.10 SD per aumento di IGF-I e di 0.05 SD relativamente all’IGFBP-3 per 1 aumento di SD nel consumo di latte). C’erano prove moderate sul fatto che il rischio di cancro alla prostata aumentasse con l’IGF-I (meta-analisi ad effetto random OR (odds ratio) per aumento di SD in IGF-I 1.09; IC 95% 1.03, 1.16, n = 51 studi) e diminuisse con l’IGFBP-3 (OR 0.90; 0.83, 0.98; n = 39 studi), ma non c’erano associazioni con altri fattori di crescita. Il polimorfismo a singolo nucleotide IGFBP-3 -202A/C era positivamente associato al cancro della prostata (pool OR per A/C vs. AA = 1.22, IC 95% 0.84, 1.79; OR per C/C vs. AA = 1.51; 1.03, 2.21; n= 8 studi). Non sono state osservate associazioni significativamente forti tra l’IGF-II, l’IGFBP-1 o l’IGFBP-2 e l’assunzione di latte o il rischio di sviluppare un cancro alla prostata. C’era poca coerenza tra i dati raccolti dai pochi studi condotti sugli animali. Ulteriori prove ci suggeriscono come la soppressione dell’IGF-II possa ridurre le dimensioni del tumore e altre prove contrastanti circa l’effetto della soppressione dell’IGFBP-3 sulla progressione del tumore.
Conclusioni
L’IGF-I è il fattore che potenzialmente sta alla base della correlazione osservata tra l’assunzione di latte e il rischio di cancro alla prostata.
Parole chiave: cancro alla prostata, fattore di crescita insulino-simile, latte, meccanismo d’azione, review sistematica, meta-analisi.
Introduzione
Il consumo di latticini, in particolare di latte, è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del cancro alla prostata, sebbene i risultati siano discordanti. Il World Cancer Research Fund (WCRF)/American Institute for Cancer Research (AICR) ha concluso (nel suo rapporto del 2014 stilato da esperti) come ci siano poche prove sul fatto che il latte aumenti questo rischio [1]: i risultati sintetizzati provenienti da 15 dei 21 studi che prendevano in esame l’associazione esistente tra i prodotti lattiero-caseari e il rischio di cancro alla prostata, hanno mostrato un aumento del rischio del 7% per ogni 400 g di latticini consumati al giorno (RR 1.07, IC 95% 1.02-1.12). Tuttavia, gli studi osservazionali sono stati ostacolati dalla modalità di registrazione del consumo di latte che è risultata di tipo semi-quantitativo in alcuni studi, con grandi differenze anche tra individui presenti nello stesso gruppo e di conseguenza soggetta ad attenuazione degli effetti per errori di misurazione. Inoltre, le correlazioni tra il consumo di latte e il cancro alla prostata sono suscettibili di confondimento a causa di altri fattori come la dieta e lo stile di vita. Le prove a sostegno della causalità delle associazioni positive osservate per quanto concerne l’ assunzione di latte e la comparsa di cancro alla prostata, potrebbero provenire da studi sperimentali di base. Ad esempio, un recente studio [2] ha dimostrato che il latte stimola la crescita delle cellule tumorali della prostata in vitro. Inoltre, la messa in evidenza dei meccanismi attraverso i quali il latte provoca il cancro alla prostata, può far luce sulla verosimile attendibilità dei risultati ottenuti da studi osservazionali. Tuttavia, per evitare un’interpretazione selettiva delle prove, è necessario mettere a punto una metodica per raccogliere e sintetizzare in maniera sistematica i dati provenienti da fonti così disparate. In questo lavoro, il nostro obiettivo generale era quello di mettere insieme la letteratura mondiale (ottenuta da modelli sperimentali umani, animali e genetici), al fine di indagare se le eventuali associazioni tra il consumo di latte e l’inizio o la progressione del cancro alla prostata agiscano attraverso la via dell’IGF. La review è stata intrapresa come caso di studio a sostegno di un nuovo schema per la revisione degli studi meccanicistici su esposizioni e tumori; l’associazione tra il cancro alla prostata e il latte non è stata considerata visto che la WCRF aveva già sintetizzato questa letteratura. Questo schema è stato commissionato dal WCRF UK come un approfondimento del loro Continuous Update Report del 2007 [1]. Sono stati ipotizzati diversi meccanismi mediante i quali il latte potrebbe promuovere la comparsa di un cancro alla prostata. Per prima cosa, l’aumento dell’apporto di calcio nelle persone con un elevato consumo di latte può sopprimere la conversione di 25-idrossi-colecalciferolo in 1,25 diidrossi-colecalciferolo, che ha effetti anti-proliferativi sulle cellule tumorali prostatiche nell’uomo [3]. In secondo luogo, il latte è una fonte ricca di estrogeni [4], che sono associati alla comparsa di cancro alla prostata, anche se il meccanismo d’azione non è ben comprensibile [5]. Inoltre, la via di segnalazione del fattore di crescita insulino-simile (IGF) che viene regolata anche dal punto di vista nutrizionale (incluso mediante il consumo di latte [6]), in un certo numero di studi è stata chiamata in causa come uno dei fattori probabilmente coinvolti nell’iniziazione e nella progressione del cancro alla prostata (PCa) [7-9]. Gli studi meccanicistici più pertinenti frequentemente avranno come risultato, un fenotipo intermedio (in questo caso il sistema IGF) o l’esposizione (sempre come fenotipo intermedio) piuttosto che la comparsa di un cancro. Pertanto, abbiamo identificato separatamente gli studi che collegavano il fattore d’esposizione di nostro interesse (il latte) al fenotipo intermedio e studi che collegavano lo stesso fenotipo intermedio all’iniziazione o alla progressione del cancro alla prostata. I dati provenienti da ciascun insieme di prove (modelli umani, animali e genetici) sono stati valutati attentamente utilizzando degli specifici protocolli per il rischio di bias (RoB) e classificati utilizzando il Grading of Recommendations Assessment, Development, and Evaluation (GRADE). Combinando le prove ottenute da ciascun tipo di studio e utilizzando rigorosi protocolli RoB e GRADE per garantire l’inclusione solo di dati di alta qualità, il nostro obiettivo era quello di fornire una review accurata della correlazione che potrebbe intercorrere tra il latte e il PCa, concentrandoci sull’IGF come fenotipo intermedio specifico.
Materiali e metodi
Fonti dei dati
Abbiamo portato avanti due ricerche per identificare gli studi che esaminavano (i) le associazioni tra il consumo di latte e i livelli di IGF (latte-IGF); e (ii) le associazioni tra i livelli di IGF e il cancro alla prostata (PCa) (IGF-PCa). MEDLINE (1950-marzo 2014), EMBASE (1980-marzo 2014), BIOSIS (1969-marzo 2014) e CINAHL (1981-marzo 2014) sono stati ispezionati in maniera sistematica. Le ricerche sono state eseguite utilizzando parole chiave (BIOSIS) o una combinazione di parole chiave e intestazioni (MEDLINE, EMBASE e CINAHL). I termini di ricerca completi sono inclusi nei box supplementari 1-3.
Criteri di inclusione e di esclusione
Abbiamo incluso articoli originali pubblicati su riviste peer-review (compresi i supplementi e gli abstract dei meeting); sono stati escluse recensioni, libri, commentari e lettere. Abbiamo incluso studi randomizzati controllati (RCT), studi caso-controllo, di coorte, studi sperimentali non randomizzati e case-series condotti sugli esseri umani, così come tutti gli studi eseguiti su animali, ad eccezione di quelli che utilizzavano un cancerogeno noto per tutta la durata dell’esposizione. Questa decisione si basava sull’importanza dei tumori causati da cancerogeni, nel contesto di attribuire al latte l’eventuale capacità di poter provocare un’iniziale comparsa del cancro alla prostata o la sua eventuale progressione. Abbiamo incluso sia modelli animali transgenici che modelli di xenotrapianto; sebbene i modelli transgenici siano considerati più applicabili nel contesto umano, i modelli di xenotrapianto possono darci qualche conoscenza in più della plausibilità biologica del meccanismo d’azione. Gli studi sugli animali che presentavano solo dati sulle linee cellulari o che utilizzavano segni caratteristici del cancro come risultato [10] sono stati analizzati separatamente; quindi i risultati non sono presentati qui. Non c’erano restrizioni linguistiche.
Criteri specifici per il rapporto latte-IGF
Abbiamo incluso tutti i documenti che esaminavano le associazioni tra il consumo di latticini e latte con le IGF e le IGFBP. I risultati che più ci interessavano erano quelli relativi ai livelli sierici o plasmatici di IGF-I, IGF-II e alle proteine leganti l’IGF (IGFBP-1, -2 e -3). Le esposizioni che ci interessavano erano quelle al latte o ai prodotti lattiero-caseari, compresa l’assunzione di proteine derivate dal latte o dai latticini. Poiché le differenti tipologie di prodotti lattiero-caseari contengono quantità diverse di acqua e di altre sostanze, sono state considerate sia separatamente che insieme così da poter osservare le eventuali differenze tra le varie esposizioni. Abbiamo incluso sia studi randomizzati che studi osservazionali. L’esposizione che ci interessava maggiormente durante questa analisi è stata quella al latte bovino, come fattore nutrizionale ambientale in correlazione con il rischio di PCa; pertanto, abbiamo escluso studi in cui l’esposizione era rappresentata dal latte materno umano, dal colostro, dal latte di soia o dal latte artificiale.
Criteri specifici per il rapporto IGF-cancro alla prostata
Abbiamo incluso tutti i documenti che esaminavano l’associazione tra la via metabolica dell’IGF e gli esiti di un cancro alla prostata. Le esposizioni che ci interessavano erano i livelli sierici o plasmatici di IGFI, IGF-II e di proteine leganti l’IGF (IGFBP -1, -2 e -3); i livelli di espressione di IGF-I, IGF-II, IGFBP-1, -2 e -3; il recettore IGF-I (R), il gene IGF-IIR e qualsiasi altro gene (o specifici polimorfismi a singolo nucleotide [SNPs]) con il termine “IGF” come parte del nome e che facevano parte della via metabolica dell’IGF. I risultati più interessanti comprendevano l’incidenza o la prevalenza del cancro alla prostata, le misure della progressione (recidiva biochimica, metastasi locali o sistemiche) e la mortalità specifica per il tumore della prostata. Abbiamo incluso studi che utilizzavano come controllo soggetti sani o con iperplasia prostatica benigna (BPH). Abbiamo escluso gli articoli quando il PCa non era un risultato definito.
Estrazione dei dati
Dopo che gli articoli (su latte-IGF e su IGF-PCa) sono stati identificati e raccolti, i duplicati esatti sono stati eliminati dallo studio. Titoli, nomi di autori, numeri di pagina, anni di pubblicazione e citazioni dell’articolo sono stati analizzati per escludere eventuali duplicati rimanenti che potevano avere voci differenti in più database, a causa di errori tipografici o di stile di riferimento. Gli abstract di tutti i documenti rimanenti sono stati recuperati e controllati indipendentemente da due dei quattro possibili valutatori (SH, VV, AP, MG); dove non fosse disponibile alcun abstract, o se l’abstract forniva informazioni insufficienti per portare ad una decisione di valutazione, per la review veniva recuperato il testo integrale. Eventuali discrepanze insorte tra i due valutatori venivano risolte mediante l’aiuto di un terzo valutatore. I dati sono stati estratti in maniera indipendente e in doppia copia per ogni studio (SH, RL) e i disaccordi risolti grazie alla discussione. I dati estratti per tutti i tipi di studio includevano dettagli sul progetto o sul modello dello studio, sulla popolazione dello studio (localizzazione e dimensione del campione), sull’esposizione o sull’intervento, sull’esito, sulla misura statistica (compresi i dettagli di eventuali modelli di correzione) e sulle stime dell’effetto (inclusi valori medi, deviazione standard [SD], valori P e odds ratio [OR] con l’intervallo di confidenza del 95% [IC] come misura continua o per quantili). Per ogni tipologia di studio (studi sull’uomo [latte-IGF, IGF-PCa] o su modelli animali [IGF-PCa]), sono stati raccolti anche dati specifici (vedi box-1).
Box1 Differenze nell’estrazione dei dati per ogni tipologia di studio.
Studi sul rapporto IGF–cancro alla prostata
Per ridurre al minimo il rischio di causalità inversa (cioè gli effetti secondari del PCa sui livelli di IGF piuttosto che gli effetti dei livelli di IGF su PCa), abbiamo classificato in maniera pragmatica gli studi sull’uomo valutando l’IGF-PCa come prospettivi se intercorresse una media di 2 anni o più tra la raccolta dei campioni e la diagnosi; altrimenti sono stati classificati come retrospettivi. Quando il tempo intercorso tra la raccolta dei campioni e la diagnosi non era ben chiaro, abbiamo cautamente classificato gli studi come retrospettivi. Questa classificazione può differire da quella effettuata dagli autori nella pubblicazione originale. Per i documenti che presentavano i dati in maniera differente, l’ordine di scelta dei dati da sintetizzare è stato: (i) coefficienti riportati (log odds ratio [OR] o risk ratio per unità di aumento dell’esposizione); (ii) dati quantili (OR stratificati per quantili di IGF) e (iii) dati continui presentati come differenze di medie o di mediane. Abbiamo estratto i dati che erano completamente corretti, ma che non includevano, correzioni comuni per un fattore di crescita diverso (ad esempio, IGF-I corretto per IGFBP-3 e viceversa). Se più di una pubblicazione o di uno studio presentavano dati sullo stesso biomarcatore dell’IGF ottenuto dalla stessa coorte, abbiamo ricavato i dati dallo studio con la dimensione del campione più grande. Durante l’estrazione, abbiamo diviso gli studi umani sull’IGF-PCa in tre categorie che fornivano dati su (i) l’associazione tra i livelli circolanti di IGF o di IGFBP, studi sul “livello di IGF” ed esiti di cancro alla prostata; (ii) geni o SNPs per IGF o per IGFBP, studi “genetici”; e (iii) studi che non fornivano le tematiche di (i) o (ii), ma che presentavano dati rilevanti sulla correlazione tra la via metabolica dell’IGF e gli esiti di PCa, definiti come “prove a supporto“. Gli studi che esaminano i livelli di IGF libero, in opposizione a quelli che misurano i livelli di IGF totale, non erano suscettibili di meta-analisi in quanto non potevano essere combinati con i livelli di IGF totali e c’erano troppi pochi articoli per condurre una meta-analisi. Pertanto, gli studi che esaminavano i livelli di IGF liberi sono stati inclusi a sostegno delle prove.
Studi sul rapporto IGF-latte
Abbiamo estratto i p-value e le dimensioni del campione da tutti gli studi. Se non erano presenti i p-value, erano utilizzati gli IC al 95% e le stime degli effetti per definire il p-value. Preferibilmente sono stati raccolti dati relativi agli uomini piuttosto che relativi alle donne (perché il risultato finale che ci interessava era il cancro alla prostata), seguiti poi da dati collettivi e infine da dati solo femminili.
Analisi statistiche
Dati su latte-IGF
La principale difficoltà nel combinare tutti gli studi che esaminavano le correlazioni tra latte, prodotti lattiero-caseari e proteine derivate da essi con IGF e IGFBP, era il grado di eterogeneità tra questi studi. I progetti di studio spaziavano da studi randomizzati condotti nel corso di decenni fino a studi osservazionali a breve termine; le esposizioni (latte, latticini e proteine derivate da essi) erano differenti e misurate in maniera diversa nei vari studi; i partecipanti allo studio variavano per età, etnia e localizzazione. Inoltre, le stime degli effetti sono state fornite in maniera diversa, come aumenti percentuali o OR, spesso con informazioni insufficienti per riuscire a prevedere una stima dell’effetto standardizzata. Abbiamo generato albatros plot [11] per ciascun esito per poter interpretare al meglio i risultati. Un grafico albatros (albatros plot) è un diagramma a dispersione dello studio delle dimensioni del campione rispetto ai valori p bilaterali, con risultati separati in base alla direzione dell’effetto osservato. Il grafico albatros consente di interpretare i p-value nel contesto dello studio della dimensione del campione. Gli studi piccoli appaiono verso la parte bassa del grafico e quelli grandi verso la parte alta. Le diverse esposizioni sono disegnate utilizzando diversi marcatori per facilitare l’identificazione degli effetti del sottogruppo. I limiti dell’effetto sono sovrapposti nel grafico per fornire un’indicazione dell’entità dell’effetto sia per gli studi individuali che per l’associazione nel suo complesso. Per fornire ulteriori informazioni, è stata condotta una meta-analisi dei p value utilizzando il metodo di punteggio Z di Stouffer di combinazione dei valori di P [12]; il valore P a una coda per la più comune direzione dell’effetto tra gli studi per ogni IGF è stato utilizzato per calcolare il p value combinato a una coda tra gli studi per ogni IGF.
Dati su IGF-cancro alla prostata
Tipologie di dati utilizzati
Per confrontare i dati provenienti da molteplici studi che esaminavano le correlazioni esistenti tra i fattori di crescita e il cancro alla prostata, abbiamo calcolato il log OR per l’aumento di deviazione standard (SD) nell’esposizione, come descritto in precedenza da Rowlands et al. [8]. Il log OR per unità di incremento d’esposizione, per gli studi che presentano i risultati come una differenza delle medie tra casi e controlli, è stato calcolato utilizzando il metodo presentato da Chêne e Thompson [13]. Per gli studi che presentavano i risultati come quantili di esposizione, la media o la mediana dell’esposizione sono state utilizzate in ciascun quantile (se riportato) e il log OR per unità di incremento dell’esposizione, è stato calcolato utilizzando il metodo presentato da Greenland e Longnecker [14],tramite il comando “glst” in Stata [15]. Quando non veniva riportata la media o la mediana di ciascun quantile ma veniva invece riportato un intervallo di esposizione per ciascun gruppo, l’esposizione media è stata stimata in ciascun quantile utilizzando il metodo presentato da Chêne e Thompson [13] (ipotizzando una distribuzione normale dell’esposizione all’interno della popolazione). Quando non è stata riportata alcuna media, mediana o intervallo, si è ipotizzato una distribuzione normale basata sulla media e sulla DS del gruppo utilizzato per generare i quantili (di solito quello di controllo). Questa distribuzione è stata utilizzata per calcolare il range del quantile e quindi la media di ogni quantile. Se venivano presentate solo analisi di sottogruppo e non analisi di un caso nel complesso vs. analisi del gruppo di controllo, i sottogruppi venivano raggruppati statisticamente calcolando medie collettive e DS. I log OR per unità d’incremento e gli errori standard sono stati convertiti in un aumento di SD moltiplicandoli per la SD dell’esposizione. Per i dati in quantili, la SD è stata calcolata utilizzando il metodo presentato da Chêne e Thompson [13]. Come nella meta-analisi di Rowlands [8], è stata ipotizzata una correlazione lineare tra i fattori di crescita e il cancro alla prostata, che può risultare in una differente OR ad un’analisi dei quantili più alti o più bassi. Tuttavia, questo metodo ha permesso l’utilizzo dei quantili medi dei dati, aumentando la quantità di dati disponibili.
Meta analisi ad effetti random e ad effetti fissi
Abbiamo eseguito meta-analisi ad effetto random e ad effetto fisso su tutti i fattori di crescita per calcolare le stime complessive dell’OR, utilizzando il comando Stata “metan” [16]. Abbiamo calcolato l’I2 come misura quantitativa del grado di incongruenza tra gli studi [17]. Gli effetti di uno studio piccolo sono stati valutati mediante la verifica di funnel plot e il calcolo dei test di Egger e Begg [18, 19]. C’era una sostanziale discordanza tra gli studi nell’analisi del rapporto IGF-PCa (I2 > 65% per tutti i fattori di crescita). Pertanto, i nostri risultati primari derivano da modelli ad effetto random all’interno del documento; presentiamo anche i risultati ad effetti fissi per effettuare un confronto.
Analisi di sottogruppo
Per valutare se i fattori di crescita fossero associati a tumori della prostata in stadio avanzato, abbiamo condotto una meta-analisi separata utilizzando i dati degli studi che esaminavano questo risultato. La definizione di carcinoma prostatico avanzato variava tra gli studi; la definizione “avanzato” si estendeva quindi a tumori non localizzati, a tumori con punteggio di Gleason 7+, a tumori metastatici, a tumori con un “grade” elevato (la cui definizione variava tra gli studi) o a tumori considerati “aggressivi” (che rappresentavano una combinazione tra lo stadio avanzato e il grade elevato). Abbiamo generato forest plot per tutti i fattori di crescita e per le analisi degli esiti di cancro alla prostata (tutti i tipi e gli stadi avanzati); questi plot sono stati stratificati mediante studi prospettici e retrospettivi e da studi rilevati mediante PSA e clinicamente. La differenza tra le stime dei sottogruppi è stata esplorata utilizzando il metodo di Altman e Bland [20].
Dati genetici
Sebbene molti studi riportassero le associazioni tra i vari SNPs e il cancro alla prostata, solo due varianti genetiche sono state prese in esame in un numero adeguato di studi per poterci consentire di condurre delle meta-analisi: le ripetizioni CA IGF-I e i polimorfismi IGFBP-3 -202 A/C. Abbiamo incluso studi che presentavano i risultati in maniera combinabile: per le ripetizioni CA IGF-I, 19/X e X/X sono stati entrambi confrontati con le ripetizioni 19/19 mediante analisi separate, dove X era diverso da 19. Per il polimorfismo IGFBP-3 -202 A/C, A/C e C/C sono stati entrambi confrontati con A/A con analisi separate. Se i dati erano stati presentati nella direzione opposta, cioè A/C e A/A rispetto a C/C, abbiamo trasformato i risultati affinché questi potessero essere combinati con altri dati. Le meta-analisi di questi genotipi sono state condotte allo stesso modo degli studi su IGF-PCa con creazione di forest e funnel plots, ma non raggruppate dal punto di vista prospettivo/retrospettivo, in quanto i genotipi di una persona non cambiano nel tempo e quindi non dovrebbero essere suscettibili di causalità inversa.
Rischio di Bias (RoB) e valutazione del GRADE
A causa della varietà degli studi inclusi nella meta analisi e della necessità di sviluppare una valutazione coerente del rischio di bias, abbiamo sviluppato uno strumento per determinare il rischio complessivo di bias per ogni studio, utilizzando le categorie di valutazione provenienti da una versione dello strumento ROBINS-I [21 ], e le domande per aiutare a valutare il rischio di bias provenivano da questionari caso-controllo CASP e da questionari di coorte [22, 23]. La bias è stata valutata in sei categorie: confondimento, selezione dei partecipanti, dati mancanti, misurazione dei risultati, misurazione dell’esposizione e resoconto dei risultati. Ogni categoria prevedeva domande progettate per aiutare a valutare il rischio di bias; queste variavano a seconda del tipo di studio (ad es. animale, umano, genetico) e del progetto di studio (ad es., di coorte, RCT, caso-controllo) (riquadro supplementare 4). È stato assegnato un rischio di bias complessivo e specifico per categoria: o ridotto, moderato, serio, critico o non chiaro. Sulla base del fatto che i livelli di IGF circolanti aumentano con l’età a partire dalla nascita fino all’età adulta per poi gradualmente diminuire in età più avanzata, tutti gli studi che non confrontavano (per quanto riguarda questo parametro) i casi e i controlli o che sono stati corretti per quanto riguarda l’età durante l’analisi e che presentavano una differenza di 5 o più anni tra l’età media dei casi e dei controlli, sono stati classificati come a rischio di bias (RoB) critico, poiché potevano generare eventuali confondimenti ed quindi esclusi dall’analisi. Inoltre, tutti gli studi osservazionali che valutavano i livelli sierici di IGF in relazione al rischio di PCa hanno ricevuto come minimo un RoB moderato, poiché è improbabile che tutti i fattori di confondimento vengano pienamente controllati all’interno degli studi osservazionali. La maggior parte degli studi di coorte umani su IGF-PCa non ha fornito informazioni sui dati mancanti dei pazienti persi al follow-up, quindi questi documenti sono stati considerati avere un RoB almeno moderato, proprio a causa della mancanza di questi dati. Tutti gli studi su latte-IGF che hanno utilizzato questionari sulla frequenza alimentare o che hanno utilizzato valutazioni della dieta che comportano un questionario alimentare, hanno ricevuto un punteggio di RoB come minimo moderato a causa degli errori di misurazione che si possono avere quando i sondaggi su informazioni inerenti all’alimentazione vengono utilizzati come unica misura dell’ esposizione. Per quanto riguarda gli studi sul latte, se solo una sottocategoria di RoB risultava poco chiara, veniva preso in considerazione il livello di bias che la sottocategoria avrebbe potuto causare. Ad esempio, il confondimento potrebbe avere un grande impatto sul rischio di bias e pertanto un rischio non chiaro verrebbe considerato come un rischio di bias serio. Viceversa, il resoconto dei risultati ha un impatto relativamente minore sul rischio di bias e pertanto si presume che questo rischio definito non chiaro sia da considerare come un rischio di bias moderato. Il rischio di bias complessivo di uno studio era basato sulla sottocategoria con il maggior rischio di bias. Gli studi che sono stati identificati con l’avere un rischio di bias critico sono stati esclusi prima dell’analisi. Il punteggio GRADE per ogni accoppiata esposizione/esito è stato calcolato secondo il protocollo GRADE [24]. Il tipo di RoB di ciascun articolo è stato utilizzato per rendere nota il punteggio del GRADE per ogni insieme di documenti all’interno di una categoria di studio (ad esempio, IGF-PCa animale). Il punteggio generale GRADE è stato utilizzato per fornire una misura della qualità complessiva delle prove fornite dai risultati.
Risultati
Ricerche sistematiche in tutti e quattro i database online hanno portato all’identificazione di 7.239 articoli; sono stati rimossi 3.025 duplicati rinvenuti in database diversi, lasciando 4.214 documenti. Dopo lo screening dell’abstract, sono rimasti 728 documenti da sottoporre ad una review completa del testo, compreso un ulteriore articolo di Rowlands et al. [8] che non era stato identificato durante la ricerca originale [25]. Tra tutti questi articoli, 172 soddisfacevano i criteri di inclusione e sono stati portati avanti per l’estrazione dei dati (Fig. 1): 31 articoli (che rappresentavano 31 studi indipendenti) esaminavano la correlazione tra latte e IGF; 132 articoli (che rappresentavano 125 studi) esaminavano la correlazione tra carcinoma prostatico e IGF negli esseri umani; 10 articoli (che rappresentavano dieci studi) esaminavano la correlazione tra carcinoma prostatico e IGF negli animali. Uno studio mostrava dati rilevanti sia per le analisi del rapporto latte-IGF sia per quello IGF-PCa [26]. Nessuno dei 31 studi sul rapporto latte-IGF è stato escluso a causa del RoB e tutti sono stati inclusi in almeno un albatros plot e nella sintesi narrativa dei differenti IGF, ad eccezione di due studi [27, 28] che miravano ad esiti qualitativamente differenti e che quindi non sono stati inclusi negli albatros plot e considerati separatamente nella sintesi narrativa. Il numero totale degli studi per ciascun tipo di IGF era il seguente (i due studi esclusi dagli albatros plot sono riportati tra parentesi): IGF-I, n=28 (+2); IGF-II, n=2 (+1); IGFBP-1, n=2; IGFBP-2, n=2 (+1); IGFBP-3, n=15 (+2). Tre studi stratificavano i risultati per etnia; i sottogruppi di appartenenza etnica sono stati considerati come dati separati negli albatros plot [29-31]. Degli studi inclusi nell’analisi sul rapporto latte-IGF, due avevano un RoB serio (entrambi studi retrospettivi trasversali) [32, 33]; 18 avevano un RoB moderato (due studi prospettici di coorte, 16 studi trasversali retrospettivi) [27, 31, 34-49]; uno aveva un RoB basso (studio non randomizzato) [30] e nove avevano RoB non chiaro (quattro studi randomizzati, uno studio non randomizzato, tre studi prospettici di coorte e uno studio retrospettivo trasversale) [28, 29, 50-57]. Non sono stati inclusi gli studi animali sul rapporto latte-IGF, a causa di esposizioni irrilevanti o di risultati di scarso interesse; come parte dei progetti di studio la maggior parte degli animali è stata esposta al consumo di colostro durante i primi 6 mesi di vita.
FIG. 1 Diagramma di flusso che illustra il processo di inclusione e di esclusione durante la meta-analisi e il numero di articoli categorizzati all’interno di ogni tipologia di studio per quanto riguarda il rapporto latte-IGF e IGF-PCa
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Dei 132 studi umani sul rapporto IGF-PCa, 89 includevano dati disponibili sui livelli sierici di IGF utili per le meta analisi; i restanti 43 studi sono stati considerati come prove a supporto in quanto non contenevano dati utili per le meta-analisi [58-100]. Uno studio è stato considerato una prova a supporto dal momento che presentava dati sull’IGF-I libero(piuttosto che i livelli sierici totali di IGF-I) in relazione al rischio di PCa [75]. Degli 89 studi con dati utili per la meta-analisi, 16 avevano un RoB serio (tutti retrospettivi) [101-116], 47 avevano un RoB moderato (23 prospettici, 24 retrospettivi) [8, 26, 34, 117 160], 8 avevano un RoB basso (tutti studi solo genetici) [161-168] e 7 avevano un RoB non chiaro (cinque solo genetici, due retrospettivi) [25, 169-174]. Undici studi osservazionali sono stati esclusi dalla meta-analisi a causa di un RoB critico (uno prospettico, uno genetico e nove retrospettivi [175-185]). Sette studi sono stati esclusi dalla meta-analisi visto che presentavano dati provenienti dallo stesso gruppo di partecipanti con le stesse variabili di esposizione e di esito di altri studi inclusi che però contenevano più informazioni (ad esempio, più partecipanti) [34, 122,153, 156-160], rimanendo unicamente 71 studi utili per la meta-analisi; 58 studi esaminavano i livelli sierici di IGF (IGF-I: 51 studi, IGF-II: 10 studi, IGFBP-1: 4 studi, IGFBP-2: 6 studi, IGFBP-3: 39 studi, IGF-I e IGFBP-3 PCa stadio avanzato: 12 studi) e 18 esaminavano i dati genetici dell’IGF (IGF-I (CA)n di ripetizioni: 5 studi; IGFBP-3 -202 A/C SNP: 8 studi; altri SNP: 11 studi). Tre documenti non contenevano informazioni sufficienti per poter calcolare un OR [25, 151, 174], pertanto sono stati utilizzati i dati della precedente meta-analisi di Rowlands [8], visto che Rowlands, come parte del protocollo di estrazione dei dati, aveva contattato gli autori dello studio per ulteriori informazioni. Otto studi condotti sugli animali circa il rapporto IGF-PCa, sono stati inclusi all’interno dell’analisi riguardante gli animali [186-193] e due studi sugli animali sono stati inclusi nelle prove a supporto [194, 195]; questi studi non avevano abbastanza informazioni dalle quali poter estrarre una stima dell’effetto o un P value. Il rischio complessivo di bias in tutti gli studi sugli animali non era chiaro. Una infografica con i principali risultati degli studi sul latte umano e l’IGF e sull’IGF-PCa è presentata in Fig. 2, e mostra i valori P combinati per le correlazioni tra latte e IGF e tra IGF e il rischio di PCa (incluso il rischio di PCa ad uno stadio avanzato), la direzione dell’effetto e il numero totale di partecipanti provenienti da tutti gli studi.
Latte e IGF: studi nell’uomo
La tabella 1 mostra i dati estratti dagli studi che esaminavano l’associazione tra latte e IGF. In generale gli studi hanno valutato la quantità di latte o di latticini consumata, mediante l’utilizzo di un diario alimentare o di un questionario sulla frequenza alimentare e hanno valutato le porzioni/il peso di latte/latticini consumati al giorno/settimana come esposizione (sia categoricamente che ripetutamente). L’esito (cioè i livelli di IGF) è stato misurato mediante prelievi di sangue. La maggior parte degli studi erano trasversali; gli studi prospettici hanno avuto una durata del follow-up che andava da 1 settimana fino a 65 anni. Gli studi interventistici hanno generalmente integrato la dieta dei partecipanti, piuttosto che privare un gruppo di latte/latticini.
Tabella 1 Studi che analizzano le associazioni tra latte, latticini e proteine derivate da questi prodotti con l’IGF-I, stratificati per tipologia di studio e ordinati per anno di pubblicazione
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Il range di età dei partecipanti, quando è stato misurato il risultato, variava tra i 2 e gli 86 anni; la maggior parte degli studi si concentrava su soggetti di etnia caucasica. I dati estratti dai 31 studi su latte-IGF non erano adatti ai metodi standard di meta-analisi di combinazione della misura dell’effetto a causa degli elevati livelli di eterogeneità e delle differenze nelle tipologie di stima dell’effetto (tabelle 1, 2, 3). Gli studi hanno esaminato una serie di esposizioni (tra cui latte, bevande a base di latte, proteine del latte e latticini) quantificate mediante varie tipologie di misure (come la densità di assunzione [g/1.000 kcal/giorno], la percentuale di consumo d’energia e le porzioni e i grammi assunti al giorno). I diagrammi albatros sono stati utilizzati per integrare i dati e l’ispezione visiva è stata utilizzata per fornire una eventuale stima dell’effetto standardizzato e una gamma di possibili stime dell’effetto per ciascun risultato (tabella 4). Le stime degli effetti non sono precise e sono state intese solo come un’indicazione dell’entità della stima dell’effetto; una serie di possibili stime è fornita per sottolineare questo aspetto. Riportiamo tutte le stime degli effetti standardizzati per l’associazione latte-IGF come un aumento della deviazione standard (SD) nella proteina IGF per ogni singolo aumento della DS nella misura dell’esposizione. La DS del latte variava tra gli studi, soprattutto perché questi studi differivano nella tipologia di misurazione riguardante le di latte (ad esempio, grammi al giorno, millilitri al giorno, porzioni al giorno). Tuttavia, Hoppe [53] e Rogers [43] riportano che una SD è di circa 200 ml e Hrolfsdottir [54] riporta che una SD è di circa 370 ml, quindi sebbene non sia possibile determinare una quantità esatta di latte per SD, una stima che si avvicina tra i 200 e i 350 ml sembra appropriata. Due studi (Martin [27] e Ben-Shlomo [28]) hanno studiato gli effetti dell’apporto di latte durante l’infanzia e della presenza di IGF-I e IGFBP3 nell’età adulta e questi studi sono stati valutati separatamente. Lo studio Martin comprendeva anche IGF-II e IGFBP2, e anche i risultati di questi sono stati valutati separatamente.
Tabella 2 Studi che analizzano l’associazione tra latte, latticini e proteine derivate da essi e l’IGFBP-3
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Tabella 3 Studi che analizzano l’associazione tra latte, latticini e proteine derivate da essi e IGF-2, IGFBP-1 e IGFBP-2
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Tabella 4 Risultati per tutte le associazioni latte-IGF, incluse le analisi per sottogruppo
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Associazione tra latte e IGF-I
Dei 31 punti dati (da 28 studi) inclusi nell’analisi IGF-I principale, 29 mostravano associazioni positive tra il consumo di latte e latticini e i livelli di IGF-I, rispetto a due punti dati che invece mostravano associazioni negative o nulle. Osservando l’albatros plot, la dimensione stimata dell’effetto standardizzato era un aumento di 0,10 SD per l’IGF-I per ogni singolo aumento di SD di latte (intervallo stimato 0.05-0.25 SD)(Fig. 3a). Il valore p combinato per un’associazione positiva era 2.2 × 10–27. Tutti gli studi con soggetti di etnia non caucasica mostravano un’associazione positiva tra il consumo di latte e il rischio di PCa; in particolare due studi [30, 52] avevano, rispettivamente, p value di 0.0001 e 0.001ed entrambi avevano una dimensione del campione inferiore a 100. Quando si consideravano solo i caucasici, il disegno complessivo dell’albatros plot non cambiava; la stima dell’effetto era ancora considerata intorno a 0.10 DS. Dei 31 punti dati, 18 avevano una dimensione dell’effetto standardizzato stimato tra 0.05 e 0.25 SD e quattro avevano una dimensione dell’effetto superiore a 0.25 SD. Undici di questi punti di dati (61%) hanno utilizzato il latte come esposizione, compresi due che avevano una dimensione stimata dell’effetto standardizzato superiore a 0.25 DS [30, 53]. Considerando gli studi che hanno esaminato l’associazione tra latte e IGF-I, i 31 punti di dati (da 28 studi) hanno mostrato coerenza nella loro direzione dell’effetto, poiché tutte le associazioni, eccetto due, sono risultate positive. L’effetto maggiore è stato osservato nello studio di Rich-Edwards [30], nel quale 26 bambini Mongoli, che avevano un consumo di latte di base bassissimo, ricevevano delle integrazione; I livelli di IGF-I e IGFBP-3 sono stati confrontati prima e dopo l’integrazione di latte. Dopo un mese, i livelli medi di IGF-I erano saliti da 290.93 ng/ml (SD 93.98 ng/ml) a 358.34 ng/ml (SD 125.62 ng/ml), con un incremento del 23% (p < 0,0001). Poiché nessuno studio ha privato i partecipanti del latte e dei latticini , questo studio rappresenta la migliore stima della differenza tra i livelli di IGF-I e un consumo di latte molto basso e scarso, anche se il numero limitato di bambini limita la nostra capacità di trarre conclusioni definitive. Un maggior effetto è stato evidenziato anche nello studio Hoppe [53], in cui 24 bambini di 8 anni sono stati suddivisi in due gruppi di uguali dimensioni; al primo gruppo è stato chiesto di bere 1,5 l di latte scremato al giorno, al secondo gruppo di mangiare 250 g di carne magra al giorno, insieme alla restante dieta abituale fino alla scelta. Dopo 7 giorni, il livello di IGF-I dei bambini del gruppo latte è aumentato da 209.3 ng/ml (DS 54.9 ng/ml) a 249.0 ng/ml (DS 66.8 ng/ml), con un incremento del 19% (p <0.001 ), mentre il livello di IGF-I dei bambini del gruppo carne non è cambiato. Sebbene entrambi questi studi siano stati condotti su di un piccolo numero di bambini, entrambi mostrano che i aumenti elevati nell’assunzione di latte possono incrementare, anche in un breve periodo di tempo, i livelli di IGF-I. Gli RCT di Cadogan e Zhu [50, 52] integravano entrambi la dieta dei bambini con il latte, con una durata del follow-up molto più lunga (tra i 18 e 24 mesi), ed entrambi hanno dimostrato come il latte aumenti l’IGF-I per periodi molto lunghi, anche se con un effetto della dimensione minore. Il RCT di Heaney [51] ha dimostrato che un’integrazione supplementare di latte per 12 settimane nelle persone anziane (età media 65 anni) aumenta i livelli di IGF-I. Gli studi prospettici di coorte e quelli retrospettivi in generale hanno mostrato un effetto nullo o positivo, in linea con quello, anche se generalmente più debole, riscontrato negli studi randomizzati (RCT) e negli studi sperimentali non randomizzati. Per quanto riguarda gli studi trasversali, sembra esserci poca differenza tra gli studi condotti sui bambini e sugli adulti. Le due associazioni negative, osservate negli studi di Ben-Shlomo e Martin, erano relativamente forti con valori p di 0.01 e 0.06, rispettivamente, e dimensioni della stima dell’effetto tra 0.05 e 0.10 DS [27, 28]. Questi studi non sono stati inclusi nell’analisi principale su IGF-I, poiché avevano un follow-up differente dal punto di vista qualitativo, nel quale l’esposizione (avvenuta durante l’infanzia) era molto lontana nel tempo dal momento dell’esito (comparso in età adulta). Questo è un obiettivo di ricerca differente, che guarda probabilmente alla configurazione dell’asse IGF-I piuttosto che all’effetto diretto dell’assunzione di latte sui livelli di IGF [196]. Nello studio Ben-Shlomo, le donne incinte sono state randomizzate durante il periodo 1972-1974, alcune hanno ricevuto dei voucher per ottenere latte gratis fino a che il loro bambino non avesse raggiunto i 5 anni di età, altre invece non ne hanno ricevuti, e in questi bambini i livelli sierici di IGF sono stati misurati quando hanno raggiunto un’età media di 50 anni. Nel documento Martin, nel periodo 1937-1939, sono state condotte indagini sul tipo di diete e sulla salute fisica su bambini di età compresa tra gli 0 e i 19 anni (età media 7 anni) e questi bambini sono stati poi rintracciati e invitati ad un follow-up nel 2002-2003, durante il quale gli sono stati misurati i livelli di IGF.
Associazione tra latte e IGFBP-3
In totale, 15 studi presentavano dati sull’IGFBP-3e in uno di questi i dati si riferivano a due sottogruppi etnici. Tutti gli studi evidenziavano la presenza di un’associazione positiva tra l’assunzione di latte e i livelli di IGFBP-3. La dimensione della stima dell’effetto standardizzato era un aumento di 0.05 SD di IGFBP3 per ogni singola DS di aumento di latte (intervallo stimato tra 0.00 a 0.10 SD, Fig. 3b). Il p value combinato era 4.3 × 10-15. Analogamente all’IGF-I, i tre studi che avevano avuto le stime dell’effetto maggiori e i valori P più piccoli, utilizzavano come esposizione il latte piuttosto che i latticini o le proteine derivanti da essi [36, 45, 53]. Per quanto riguarda l’IGFBP-3, non sono stati condotti molti studi su soggetti non-caucasici, quindi la stima per i caucasici non è cambiata. Tra gli studi che avevano esaminato l’effetto del latte su IGFBP-3, i 16 punti dati (provenienti da 16 studi) avevano tutti una dimensione dell’effetto positivo, centrata su una dimensione dell’effetto di circa 0.05 DS. Quasi tutti gli studi su latte-IGFBP-3 erano prospettici di coorte o studi trasversali con dimensioni dell’effetto ragionevolmente simili, indipendentemente dall’età o dall’etnia. Hoppe ha effettuato studi sia sull’IGF-I che sull’IGFBP-3 e ha trovato un’associazione positiva (più piccola rispetto a quella per IGF-I) con un aumento dell’IGFBP-3 del 5% nei bambini del gruppo che consumava latte (p <0.05) [53]. Anche Ben-Shlomo e Martin hanno studiato sia IGFBP-3 che IGF-I [27, 28]; come per l’IGF-I, anche questi studi non sono stati inclusi nell’albatros plot a causa di differenze nella progettazione dello studio. Entrambi gli studi hanno evidenziato associazioni leggermente negative (p = 0.55, p = 0.5, rispettivamente), in contrasto con gli altri studi che hanno tutti individuato associazioni positive.
Fig 3 Albatros plot per ogni esito: a IGF-I e b IGFBP-3, stratificati per esposizione. Ogni punto rappresenta un singolo studio inserito nella meta-analisi, con l’effetto stimato (rappresentato come p value), tracciato sul numero dei soggetti inclusi in ogni studio. Gli effetti stimati sono coefficienti beta standardizzati. Dove i p value erano presentati come < 0.05, sono stati tracciati come stime conservative 0.05.
Associazione tra latte ed altre proteine IGF
Due studi hanno esaminato l’associazione tra il consumo di proteine derivate dal latte e dai latticini e l’IGF-II; uno studio più vasto sull’assunzione di latte condotto su uomini giapponesi anziani (p = 0.001) [47] e uno studio più piccolo sull’assunzione di proteine del latte condotto su uomini caucasici (p = 0.28) [48]. Gli studi hanno evidenziato un’associazione positiva molto debole tra l’assunzione di latte e di proteine derivate da esso e i livelli di IGF-II (stima dell’effetto: <0.05 DS, intervallo 0.00-0.05 DS, Fig. 1A supplementare); il p value combinato era 0.001. Non vi era alcuna indicazione di un’associazione tra latte, prodotti lattiero-caseario o assunzione di proteine derivate da essi e i livelli sierici di IGFBP-1 (stima dell’effetto: 0.00 SD, nessun intervallo, Figura 1B supplementare), poiché i due studi inclusi avevano un p value di 0.39 e 0.83, rispettivamente, e le stime dell’effetto in direzioni opposte [46, 49]. Il P value combinato era 0.32. I due studi, che esaminavano l’associazione tra il latte e le proteine derivate da esso e l’IGFBP-2, suggerivano entrambi che il consumo di questi prodotti potesse portare ad una lieve diminuzione dei livelli sierici di IGFBP-2 (stima dell’effetto tra -0.10 e -0.05 SD Fig. 1C supplementare); il p value combinato era 0.00021. Lo studio di Martin [27] ha esaminato anche IGF-II e IGFBP-2, ed entrambi hanno mostrato una lieve associazione negativa con p value di, rispettivamente, 0.5 e 0.3.
Cancro alla prostata e IGF: studi nell’uomo
Livelli circolanti di IGF e rischio di cancro alla prostata
In totale, 59 studi sono stati inclusi in questa meta-analisi, rappresentati da 18 studi prospettici e 41 studi retrospettivi. Nove studi che non erano stati inclusi nel documento di Rowlands del 2012 [129, 133, 134, 142, 147, 148, 152-154] e otto studi che erano invece stati inclusi nell’analisi di Rowlands del 2012, sono stati eliminati a causa di un RoB critico [175-178, 180-183]. I dati sono stati estratti per tutti e cinque i peptidi IGF e IGFBP. Tutti i risultati presentati sono derivati da meta-analisi ad effetti random, mentre i risultati sugli effetti fissi sono stati commentati solo se necessario. I valori OR (IC 95%) per SD di aumento dell’esposizione sui valori combinati retrospettivi e prospettici erano i seguenti (Tabella 5): IGF-I, n studi = 51, OR 1.09 (IC 95% 1.03, 1.16) (Fig. 4) ; IGF-II, n = 10, OR 1.07 (0.97, 1.18); IGFBP-1, n = 4, OR 1.02 (0.77, 1.34); IGFBP-2, n = 6, OR 1.07 (0.91, 1.25); e IGFBP-3, n = 39, OR 0.90 (0.83, 0.98) (Fig. 5). Nel complesso, si è osservato un grado di incongruenza tra gli studi medio/alto riguardo tutti e cinque i peptidi IGF e IGFBP (I2 66-88%; Figura 2 supplementare) e l’incongruenza nei dati retrospettivi è stata costantemente maggiore rispetto a quella degli studi prospettici. A causa di anomalie eccessive, il risultato per l’IGFBP-3 delle meta-analisi ad effetti fissi mostra un’associazione positiva molto piccola circa il rischio di PCa, mentre il risultato di quelle ad effetti random mostra una piccola associazione negativa (OR per effetto fisso 1.02 [1.00, 1.04]; OR per effetto random 0.90 [0.83, 0.98]). Analogamente, ci sono alcune prove dell’eventualità di piccoli effetti dello studio negli studi sull’IGFBP-3, che potrebbero indicare una bias di pubblicazione; Il test di Egger p = 0.02, con grafici ad imbuto che mostrano come gli studi retrospettivi siano responsabili di un maggior grado di eterogeneità e di effetti più estremi (Figura complementare 3). Gli studi condotti su l’IGF-I hanno dimostrato anche che gli studi retrospettivi erano contraddittori, ma il test di Egger non ha evidenziato prove di piccoli effetti dello studio, p = 0.44. Nessun’altra tipologia di esposizione ha evidenziato la presenza di bias di pubblicazione o di piccoli effetti dello studio nei fumaioli o nei test di Egger. Non c’era alcuna associazione tra la dimensione del campione e l’OR durante l’esecuzione di meta-regressione su studi prospettici condotti sull’IGF-I (p = 0.68) o sull’IGFBP-3 (p = 0.99).
Analisi per sottogruppo
Rischio avanzato di cancro alla prostata
I dati sul rischio di PCa avanzato e la correlazione con IGF-I e IGFBP-3 erano presenti in 12 studi ciascuno. I valori OR (IC 95%) per deviazione standard dell’aumento dell’esposizione, per studi retrospettivi e prospettici combinati, sono stati i seguenti: IGF-I, n = 12, OR 1.04 (0.94, 1.14) e IGFBP-3, n = 12, O 0.95 ( 0.87, 1.03) (Figura supplementare 4). I test di Egger e i grafici a imbuto hanno mostrato effetti dello studio e bias di pubblicazione piccoli per l’IGFBP-3 (p = 0.006), ma non per l’IGF-I (p = 0.55). Le stime per il rischio di PCa avanzato e per tutti i tipi di rischio di PCa non differivano sostanzialmente tra IGF-I o IGFBP-3 (rispettivamente, p = 0.41 e p = 0.37).
Studi prospettici versus studi retrospettivi
La discrepanza era molto maggiore tra gli studi retrospettivi rispetto agli studi prospettici in tutte le analisi dei sottogruppi e nel complesso. I valori OR erano costantemente più alti in tutte le analisi retrospettive per tutti e cinque i peptidi IGF o IGFBP, ad eccezione di IGFBP-3, dove l’OR era leggermente inferiore (per IGFBP-3: retrospettivo OR 0.84 [0.71, 0.99]; prospettivo O 1.02 (0.99, 1,05), p = 0.01 per la differenza tra studi prospettici e retrospettivi) (vedi Tabella 5).
Screening del PSA versus identificazione clinica
In totale, ci sono stati molti meno studi che hanno utilizzato lo screening del PSA come metodica per rilevare i casi (n = 6) rispetto a quei studi nei quali i casi sono stati identificati clinicamente (n = 59). Nel complesso non vi era alcuna tendenza percepibile nell’effetto del rilevamento del PCa sui livelli di IGF e sul rischio di PCa (Tabella 5). L’unica differenza netta nei valori OR tra questi due sottogruppi riguardava l’IGFBP-3, dove l’OR del PCa rilevato mediante il PSA era 1.06 (0.94, 1.19), superiore all’OR del PCa identificato clinicamente 0.87 (0.79, 0.97), p = 0.02 .
Tabella 5 Risultati per tutte le associazioni tra IGF e PCa, comprese le analisi di sottogruppo
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Fig 4. Forest plot per tutti gli studi che presentano dati sui livelli circolanti di IGF-I in relazione al rischio di PCa, stratificati per progetto di studio (prospettico vs. retrospettivo) e casi di PCa identificati mediante l’analisi del PSA
Dati genetici
In totale, 18 studi presentavano dati relativi a geni o SNP nei limiti della via dell’IGF, in relazione al rischio di PCa. Di questi, avevamo dati relativi soltanto a due polimorfismi: IGF-I (CA)n ripetizioni e IGFBP-3 SNP-202A/C, erano presenti in tre o più studi, consentendoci la realizzazione di meta-analisi. Altri 46 SNP o geni sono stati identificati durante la review; tuttavia, soltanto una serie di dati era disponibile per 42 degli SNP e due serie di dati per quattro degli SNP (tabella supplementare 2). Ancora una volta, tutti i risultati presentati derivano dalla meta-analisi ad effetti casuali. I valori OR (IC 95%) per i due polimorfismi meta-analizzabili erano i seguenti: IGF-I (CA)n (n = 5 studi) se confrontati con una ripetizione 19/19, in cui X è qualsiasi cosa diversa da 19, la ripetizione X/X aveva un OR di 0.98 (0.56, 1.73) e la ripetizione X/19 aveva un OR di 0.99 (0.63, 1.55). Per l’IGFBP-3-202A/C SNP (n = 8 studi), confrontato con l’allele A/A, l’allele A/C aveva un OR di 1.22 (0.84, 1.79) e l’allele C/C aveva un OR di 1.51 (1.03, 2.21) (Fig. 5).
FIGURA 5. Forest plot per tutti gli studi che presentano dati sui livelli circolanti di IGFBP-3 in relazione al rischio di PCa, stratificati per progetto di studio (prospettico vs. retrospettivo) e casi di PCa identificati mediante l’analisi del PSA
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IGF e cancro alla prostata: modelli animali
Dei 10 studi sugli animali inclusi nell’analisi (Tabella 6), 8 fornivano dati sulla via dell’IGF, in relazione al rischio o alla progressione del PCa. Quattro di questi studi erano condotti su modelli di topi transgenici, che sovra esprimevano [186] o l’IGFBP-3 knock-out [189], o l’IGF-IR knock-out [187] o IGF-I [188]. I 4 studi rimanenti erano basati su modelli di xenotrapianto che utilizzavano anticorpi per legarsi ai peptidi IGF [190, 193] o all’IGF-IR [191] o all’IGFBP-3 [192]. Sette degli otto studi hanno evidenziato differenze statisticamente significative tra i modelli sperimentali e quelli di controllo, con un piccolo livello di concordanza tra i risultati (Tabella 6). Due studi hanno messo in evidenza un’associazione positiva tra la progressione del tumore e la soppressione, o la carenza, dell’IGFBP-3 [189, 192], mentre un altro ha trovato che le dimensioni del tumore risultavano essere più piccole nei topi che sovra esprimevano l’IGFBP-3 [186]. Inoltre, entrambi gli studi che hanno fornito dati su IGF-II, hanno scoperto che i topi con soppressione dell’IGF-II, presentavano tumori significativamente più piccoli [190, 193]. Due studi hanno avuto risultati contraddittori per quanto riguarda i recettori IGF (IGF-IR): in uno studio l’eliminazione dell’IGF-IR, accelerava la comparsa di PCa aggressivo [187], mentre in un altro studio, sempre nei topi soppressi IGF-IR, le dimensioni dei tumori risultavano più piccole [191 ]. Uno studio sugli animali analizzava l’associazione tra la perdita di imprinting nella predisposizione tra IGF-II e PCa [195]. Il documento era una comunicazione breve e non forniva dati sufficienti per poter essere incluso nell’analisi principale; tuttavia, è stato incluso come prova a sostegno. Gli studi rimanenti presentavano dati solo sulle caratteristiche del cancro come esiti e pertanto sono stati inclusi anche questi solo come prove a sostegno [194].
Prove a sostegno
In totale, nella categoria delle prove a supporto sono stati inclusi 49 studi; 16 di questi studi analizzavano l’associazione tra i livelli circolanti di IGF-I (n = 14), IGF-II (n = 2), IGFBP-2 (n = 2) o IGFBP-3 (n = 8) e il rischio di cancro alla prostata o gli esiti di un cancro della prostata valutando il punteggio di Gleason, la stadiazione TNM o la sopravvivenza in soggetti che non manifestavano una progressione del PSA. Diciotto studi analizzavano l’associazione tra l’espressione tissutale di IGF-I (n = 5), IGF-II (n = 4), IGF-IR (n = 7), IGFBP-2 (n = 7), IGFBP-3 (n = 6) e il rischio di cancro alla prostata o gli esiti di cancro alla prostata valutando il punteggio di Gleason o il TNM. Quindici studi esaminavano se variazioni genetiche o epigenetiche a carico dei geni IGF-I (n = 5), IGF-II (n = 7), IGFBP-2 (n = 2) o IGFBP-3 (n = 3) fossero associate al rischio di cancro alla prostata o ad un esito di cancro valutando il punteggio di Gleason, la stadiazione TNM, la recidiva del PSA o la sopravvivenza. I risultati degli studi individuali non erano generalmente coerenti tra di loro e quindi non hanno influenzato le nostre conclusioni generali. I risultati sono presentati nelle Tabelle complementari 3, 4 e 5.
Tabella 6 Caratteristiche degli studi animali su IGF-PCa, ordinati per tipologia di studio (modelli transgenici o xenotrapianti) e anno di pubblicazione
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Rischio di bias e GRADE
Generalmente c’era un RoB moderato nella maggior parte delle tipologie di studio, ad eccezione dei modelli animali in cui il RoB era di solito “poco chiaro” a causa della mancanza d’informazioni nei documenti per riuscire a generare un certo numero di sottocategorie di RoB. Solo 11 studi osservazionali umani sono stati classificati come aventi un RoB critico e quindi, in base a questo, esclusi dalla meta-analisi. Solo ad uno dei RCT umani sull’analisi IGF-latte, è stato assegnato un valore di RoB “non chiaro”, a causa della mancanza di dati utili a determinate le sottocategorie di RoB. Le valutazioni GRADE complessive hanno rilevato che vi erano prove moderate ottenute da studi sull’uomo sul fatto che l’assunzione di latte aumentava i livelli di IGF-I e ci sono prove di scarso livello che il latte riduca i livelli di IGFBP-3. Abbiamo ricavato prove moderate anche da studi sull’uomo riguardanti il fatto che l’aumento dei livelli di IGF-I aumenti il rischio di un cancro alla prostata e di un cancro alla prostata avanzato, e prove di scarso tenore riguardanti l’esistenza di qualche effetto dei livelli di IGFBP-3 sul cancro alla prostata e sul rischio di cancro alla prostata avanzato. Va notato che sebbene esista una forte evidenza di un’associazione tra IGF-I e cancro alla prostata, gli studi osservazionali non possono di per sé offrire prove importanti circa le associazioni causali; quindi c’è solo una moderata evidenza che i livelli di IGF-I aumentino il rischio di cancro alla prostata. Per le associazioni tra tutti gli altri biomarcatori IGF, vi erano prove di livello molto basso di eventuali effetti. Motivi comuni per il declassamento sono stati l’imprecisione (in particolare per i biomarker IGF che hanno avuto un numero ristretto di studi) e le bias di pubblicazione. Per i dettagli completi sulle valutazioni GRADE, vedere Tabelle supplementari 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18. Gli studi sugli animali sono stati considerati nel complesso come prove di livello molto basso per quanto riguarda il fatto che l’IGF fosse correlato al rischio di sviluppare un cancro alla prostata. Le ragioni di ciò sono le seguenti: (1) sebbene fossero tutti studi sperimentali, avevano un rischio di bias poco chiaro, a causa della mancanza di informazioni sulle variabili chiave; (2) non siamo stati in grado di considerare la coerenza tra gli studi poiché ogni studio era molto diverso dall’altro; (3) abbiamo declassato gli studi sugli animali per la mancanza di trasparenza, poiché in questi studi, i componenti della via dell’IGF risultavano sovra espressi (a livelli molto elevati) o mancanti, il che non rispecchia le variazioni del range normale nell’uomo. Inoltre, gli studi sugli animali hanno misurato gli esiti in termini di peso o di volume del tumore piuttosto che in termini d’incidenza; il livello di imprecisione era generalmente elevato a causa del numero limitato di animali presenti in ciascun esperimento e dell’incapacità di raggruppare studi molto diversi. Alla fine abbiamo ritenuto che ci fossero probabilmente delle sostanziali bias di pubblicazione. Va notato, tuttavia, che le valutazioni GRADE sono state progettate per l’uso in studi sull’uomo piuttosto che in studi sugli animali.
Discussione
IGF del latte
Sulla base della sintesi complessiva dei dati, vi erano prove moderate del fatto che il consumo di latte fosse associato positivamente ad un aumento dei livelli di IGF-I e di IGFBP-3. Questa tendenza sembra essere maggiore negli studi che comprendono soggetti di etnia non-caucasica (in particolare per quanto concerne l’IGF-I) e sostiene i risultati dei precedenti studi che dimostrano come l’etnia potrebbe essere un fattore che contribuisce ad aumentare i livelli di IGF circolante. In questa review non è stato possibile chiarire se l’etnia, o le normali differenze nel consumo di latte, abbiano causato questa diversità. Tuttavia, sebbene possa esistere una vera differenza tra le etnie, è più probabile che un consumo minore di latte nelle etnie non caucasiche causi maggiori effetti sull’IGF, sia nelle sperimentazioni in cui il latte è aggiunto alla dieta sia negli studi osservazionali dove i range di consumo di latte risultano molto più ampi. Tra tutte le analisi effettuate, sia per IGF-I che per IGFBP-3, l’effetto più grande sui livelli di IGF si è osservato quando è stato utilizzata come esposizione il latte, piuttosto che le proteine del latte o i suoi derivati. Gli studi nell’analisi dell’IGFBP-3, che utilizzavano come esposizioni proteine derivate dai latticini o prodotti lattiero-caseari, non sono stati considerati in grado di contribuire all’associazione positiva complessiva; piuttosto questa associazione positiva è stata osservata solo in quegli studi che utilizzavano il latte come unica esposizione. Sebbene i termini di ricerca originali per questa analisi siano stati progettati per includere anche proteine del latte e prodotti lattiero-caseari come ulteriori esposizioni (per garantire un’ampia copertura delle tipologie di esposizione che potrebbero includere latte), i risultati complessivi suggeriscono che le categorie di esposizione “diluite” potrebbero non essere adatte a chiarire la vera associazione tra il latte e i livelli di IGF. L’analisi dell’IGFBP-2 in questo ramo di indagini avveniva in soli due studi, che categorizzavano entrambi le esposizioni come “proteine derivate dal latte” e “prodotti lattiero-caseari”. Nonostante il numero ridotto di studi e le tipologie d’esposizione “diluite”, l’analisi ha prodotto prove insufficienti in grado di suggerire che i livelli di IGFBP-2 diminuiscono con queste tipologie di esposizioni. Presumibilmente potrebbero essere utili ulteriori studi che utilizzano soltanto il latte come esposizione, per accertare se esista un’associazione negativa più forte tra l’IGFBP-2 e il consumo di latte, rispetto ai risultati in questa analisi che potrebbero essere sottostimati. Inoltre, un’osservazione simile potrebbe essere fatta per l’associazione debolmente positiva che è stata trovata tra l’IGF-II, il latte e le proteine derivate dai latticini, in quanto solo due studi hanno fornito dati su questo fattore di crescita. L’IGFBP-1 era l’unica proteina a presentare un’associazione nulla con il latte, i latticini e le proteine derivate da essi; tuttavia, vi erano solo due studi disponibili per questa analisi, che utilizzavano come esposizione entrambi prodotti caseari o le proteine. Complessivamente, le analisi del numero limitato di studi disponibili effettuati su IGF-II, IGFBP-1 e IGFBP-2 presentano una stima più prudente dell’effetto del latte sui livelli di queste proteine e necessitano di ulteriori dati per confermare la presenza o l’assenza di qualsiasi associazione. Nel complesso c’era una grande quantità di dati sull’analisi latte-IGF, tuttavia c’era una notevole incongruenza nella progettazione dello studio che rendeva difficile l’integrazione dei risultati in modo tale da riuscire produrre una statistica che rappresentasse le associazioni presenti in tutti gli studi. Come parte dell’analisi, siamo stati in grado di spiegare l’etnicità andando a diversificare questi gruppi di dati con i grafici albatros, ma altri aspetti della progettazione dello studio sono risultati più difficili da spiegare. Una delle principali discrepanze tra le tipologie di studio riguardava il follow-up: c’erano studi che eseguivano gli interventi per settimane o mesi e quelli che li eseguivano dopo un certo numero di anni; essenzialmente fornivano dati sulle conseguenze a breve e a lungo termine degli interventi sul latte. Studi con progettazioni differenti, che valutavano l’esposizione al latte durante l’infanzia e i livelli di IGF in età adulta, sono stati esaminati separatamente poiché potrebbero riflettere effetti legati alla progettazione, piuttosto che effetti diretti. Un’eventualità per giustificare l’evidente passaggio da un’associazione positiva tra latte e IGF-I a breve termine, ad un’associazione negativa a lungo termine, potrebbe riguardare la programmazione dell’asse IGF durante l’infanzia [196]. La teoria sviluppata con questo studio è che l’elevato consumo di latte durante l’infanzia aumenti i livelli di IGF-I nel breve termine; questo porta ad un feedback e alla programmazione dell’asse IGF, che modula la quantità di IGF-I nel corpo, portando ad una diminuzione della quantità di IGF-I in età adulta.
Cancro alla prostata-IGF
I risultati provenienti dalla nostra analisi IGF-PCa riflettono quelli della precedente meta-analisi [8]; tuttavia, la forza delle associazioni viste nel presente documento sembra essere più piccola; In questo studio i valori di OR per tutte le tipologie di molecole IGF erano tra lo 0.90 (IGFBP-3) e l’1.09 (IGF-I), rispetto ai valori compresi tra lo 0.88 (IGFBP-3) e l’1.21 (IGF-I) evidenziati nel precedente studio di Rowlands [7]. Tuttavia, le direzioni dell’effetto per tutte le IGF erano coerenti tra questo studio e quello di Rowlands, e tutti i risultati avevano p value superiori a 0.05 quando testati sulle differenze tra le stime [20], pertanto non vi sono prove che suggeriscano che i risultati siano incoerenti. Gli errori standard delle stime dello studio attuale erano tutti inferiori rispetto a quelli dello studio di Rowlands, indicando così una maggiore precisione. Queste differenze nelle stime e nella precisione possono in parte essere dovute a più rigorosi protocolli messi in atto per il rischio di bias, che hanno garantito una qualità elevata dei dati qui presentati e la presa in considerazione dei fattori di confondimento (con particolare attenzione circa l’età). Otto documenti, rappresentanti 941 casi di PCa, sono stati inclusi nell’analisi di Rowlands e sono stati esclusi in questo studio, a causa della mancata considerazione dell’età durante la progettazione o l’analisi degli studi. Ciò può spiegare alcune delle differenze di risultati intercorse tra lo studio attuale e il precedente studio di Rowlands [8]. Anche l’aggiunta di studi pubblicati dopo il 2012 potrebbe aver influenzato i risultati. Inoltre, una valutazione delle meta-analisi riguardanti le associazioni dei biomarcatori con rischio di cancro [197] ha sottolineato che potrebbe essere presente una bias specificamente nelle meta-analisi dell’IGF con rischio di cancro, la meta-analisi di Rowlands era una tra queste; rimuovendo studi con il più alto rischio di bias, è possibile che alcuni errori vengano eliminati. Questo studio fornisce quindi una valutazione definita e aggiornata della precedente associazione IGF-PCa. Sia lo studio attuale che lo studio di Rowlands hanno evidenziato una sostanziale differenza tra la qualità degli studi retrospettivi e prospettici, sia in termini di eterogeneità che di possibili bias di pubblicazione; in generale, gli studi retrospettivi avevano una maggiore quantità di incongruenze e mostravano una maggiore asimmetria nei grafici ad imbuto. Tutti gli otto studi esclusi da questo studio, ma inclusi in quello di Rowlands, erano retrospettivi; questo potrebbe aver contribuito alla relativa imprecisione dei suoi risultati, oltre a renderli più estremi. Nel nostro studio attuale, sono insorte poche differenze tra i risultati degli studi sul PCa individuato mediante dosaggio del PSA o rilevato clinicamente (Tabella 5); mentre potrebbero esserci poche differenze tra IGF e PSA o IGF e PCa rilevato clinicamente, è più probabile che la mancanza di differenze sia dovuta alla difficoltà nell’accertamento del metodo con cui i casi di PCa vengono individuati e reclutati per lo studio, e questo può riflettere l’ubiquità dello screening mediante PSA per l’individuazione di un PCa nella popolazione generale. Poiché il dosaggio del PSA è diventato la normale metodica di screening per il cancro alla prostata negli Stati Uniti e in molti altri paesi del mondo, i casi di cancro alla prostata vengono scoperti precocemente e con malattia più indolente. Pertanto, gli studi più recenti hanno probabilmente un diverso mix di casi rispetto a quelli precedenti, con una percentuale maggiore di tumori precoci e indolenti. Se l’azione dell’IGF sul cancro alla prostata influisce sulla progressione come (o al contrario) sull’incidenza, allora la stima dell’effetto complessivo dell’influenza dell’IGF sul cancro alla prostata sarà ridotta da un cambiamento nell’insieme dei casi che andrà a favorire la comparsa di tumori indolenti. È possibile che alcune delle differenze tra questo studio e lo studio di Rowlands siano il risultato del cambiamento del mix di casi dopo l’esclusione di studi precedenti, che potrebbero aver avuto più casi clinici (con rischio critico di bias), e con l’inclusione di studi più recenti, che potrebbe essere caratterizzati da più casi rilevati per mezzo del PSA. Tuttavia, questo è bilanciato dalla nostra scoperta che mostra come il rischio di cancro alla prostata avanzato non risulti più associato a IGF-I e IGFBP-3, rispetto al rischio di cancro alla prostata nel suo complesso; se l’IGF fosse associato alla progressione, sarebbe stato probabilmente individuato quando veniva esaminato il rischio di cancro alla prostata avanzato. Tuttavia, il carcinoma prostatico avanzato è stato definito in maniera differente tra gli studi e potrebbe non essere rappresentativo di quei tumori che hanno “progredito”, soprattutto perché i tumori in fase avanzata potrebbero essere stati individuati precocemente mediante il test del PSA. All’interno della sezione relativa alla componente genetica dell’analisi su IGF-PCa, il genotipo C/C, dell’IGFBP-3 SNP-202A/C, ha mostrato una forte associazione positiva con il rischio di PCa (OR 1.51), insieme ad un’associazione moderata con il genotipo A/C dello stesso SNP (OR 1.22). Questo genotipo è associato ad un livello più alto di IGF-I rispetto al genotipo A/A [198], e quindi la scoperta supporta l’ipotesi che l’IGF-I sia associato positivamente al rischio di PCa. Le ripetizioni di (CA) non hanno fornito prove dell’esistenza di una qualche associazione tra IGF-I e rischio di PCa, ma sono stati inclusi solo 5 studi, il che ha dato risultati molto discordanti; Schildkraut [170] ha stimato un odds ratio di 3.33 (1.26-8.82) per le ripetizioni 19/19 rispetto a ripetizioni non -19/non-19, mentre Tsuchiya [165] ha stimato un odds ratio di 0.30 (0.12-0.77). Ciò potrebbe essere dovuto a differenze presenti nelle popolazioni dello studio: Schildkraut ha reclutato uomini negli Stati Uniti, con una prevalenza del 27% per l’allele 19/19; Tsuchiya ha reclutato uomini in Giappone, con una prevalenza soltanto del 6% per l’allele 19/19. Sebbene un numero maggiore di studi abbia fornito dati idonei per l’analisi genetica, solo due alleli avevano dati sufficienti per essere meta-analizzati. Nel complesso, vi è una mancanza netta di dati riguardo a molti altri geni e SNP all’interno della via dell’IGF, e la maggior parte degli SNP sono stati analizzati solo all’interno di una popolazione durante uno studio. Un recente studio di randomizzazione mendeliana sulla via dell’IGF e sul cancro alla prostata [199] ha concluso che questa via può essere associata alla comparsa di un cancro alla prostata, ma a causa della potenziale pleiotropia, nessuna singola proteina IGF potrebbe essere identificata come avente un’associazione specifica. Quando abbiamo sottoposto le prove alle valutazioni GRADE, abbiamo scoperto che nella migliore delle ipotesi c’erano prove moderate di un’associazione riguardo latte-IGF-I e latte-IGFBP-3, ma per la maggior parte delle altre, le prove erano di livello basso o molto basso. Il GRADE tiene conto della totalità delle prove per determinare la forza complessiva di un’associazione segnalata e il suo potenziale di essere influenzato da bias. La maggior parte delle prove su latte-IGF, e su IGF-PCa era di tipo osservazionale e c’era un elevato potenziale di bias. Inoltre, per alcuni biomarcatori (IGF-II, IGFBP-1 e IGFBP-2), il numero limitato di studi effettuati ha comportato un livello elevato di imprecisione. Questi risultati indicano che anche per l’associazione tra cancro alla prostata e IGF-I (per la quale sono stati precedentemente condotti molti studi), la prova che l’IGF-I aumenti il rischio di cancro alla prostata non è così forte, e vi è la necessità di ulteriori studi di alta qualità che siano liberi da bias per poter rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda. Secondo la nostra conoscenza, il GRADE non è stato precedentemente applicato agli studi sugli animali in questa maniera. Le ragioni principali per cui questi studi hanno ottenuto punteggi così bassi in questa valutazione sono legate ad alla mancanza di informazioni sui metodi sperimentali, alla mancanza di studi simili per valutare la coerenza e il potenziale della bias di pubblicazione. Come già notato, tuttavia, il GRADE è stato sviluppato per l’utilizzo in studi sull’uomo e potrebbe non essere appropriato per l’applicazione a studi sugli animali, che hanno metodiche molto diverse. Inoltre, mentre gli studi sugli animali potrebbero non essere adatti per valutare la forza delle prove sottostanti i meccanismi d’azione, potrebbero essere estremamente utili per individuare e mettere in evidenza i meccanismi che potrebbero essere testati negli studi sull’uomo.
Combinazione dei risultati provenienti da analisi su latte-IGF e su IGF-cancro alla prostata
Quando si esaminano i risultati complessivi dei dati su latte-IGF e IGF-PCa, IGF-I e IGFBP-3 risultano essere dei possibili mediatori dell’associazione tra il consumo di latte e il PCa. In linea di massima, i dati di questo studio supportano l’ipotesi che un maggior consumo di latte possa andare ad aumentare i livelli circolanti di IGF-I, che a sua volta può aumentare il rischio di PCa. Ci sono prove che suggeriscono che anche i livelli di IGBP-3 circolante possono aumentare con il consumo di latte; tuttavia, questa proteina legante sembra avere un effetto protettivo nei confronti del rischio di PCa (Figura 5). Questo risultato è stato evidenziato solo in studi retrospettivi; come tale, dovrebbe essere interpretato con la dovuta cautela poiché gli studi prospettici sono generalmente più forti. Queste associazioni sono mediate da fattori chiave all’interno di entrambe le braccia dello studio, soprattutto, la durata del follow-up su entrambe le tipologie di braccia, il consumo di base di latte e latticini e l’etnia all’interno degli studi su IGF-PCa e l’età nei limiti degli studi su IGF-PCa. All’interno di questa meta-analisi, la metodica è stata progettata per tenere conto di questi fattori al fine di garantire che non influenzassero il risultato complessivo. Tuttavia, la combinazione degli effetti di popolazioni differenti può mascherare le associazioni più forti o più deboli tra queste popolazioni intese come entità individuali e, per questo, i risultati dovrebbero essere interpretati attentamente. I risultati per IGF-II, IGFBP-1 e IGFBP-2 su entrambe le braccia dello studio suggeriscono la mancanza di un percorso completo per poter collegare il consumo di latte al rischio di PCa, mediante questi IGF; questo è dovuto in gran parte alla scarsità di studi che hanno esaminato questi biomarcatori, infatti ulteriori studi futuri potrebbero aiutarci a comprendere meglio. Va notato che sebbene i risultati supportino il fatto che il consumo di latte a breve termine sia associato ad un aumento di IGF-I, quelle a lungo termine possono essere complicate dalla programmazione dell’asse IGF. Pertanto, bere latte durante l’infanzia potrebbe non essere associato al rischio di sviluppare un cancro alla prostata in futuro, mentre berlo in età adulta potrebbe essere più rischioso; questo potrebbe essere legato ad una base biologica, visto che il latte è un alimento destinato ai neonati piuttosto che agli adulti.
Prove a supporto e studi sugli animali
I modelli animali possono fornire prove a sostegno dei percorsi meccanicistici che collegano l’IGF come fenotipo intermedio tra il consumo di latte e il rischio di PCa; tuttavia, l’applicazione di questi ad una reviw sull’uomo richiede cautela. I dati ricavati dagli studi sugli animali e dai risultati degli studi su prove a supporto erano altamente eterogenei, comprendevano una grande varietà di progetti di studio, risultati ed esposizioni relative a IGF e rischio di PCa; in quanto tale, non è stato possibile effettuare meta-analisi dettagliate per questi dati. Quando i livelli di IGF-I sono stati ridotti dalla produzione di anticorpi anti IGF-I [190], il volume del tumore si è ridotto rispetto ai soggetti di controllo, mentre il volume del tumore era maggiore negli animali knockout IGFBP-3 [189]. Questi studi supportano quindi le associazioni riscontrate nelle indagini su IGF-PCa condotte negli umani. Quando si integravano i dati provenienti da tutti gli studi con prove a supporto, i risultati erano contrastanti. Gli studi hanno esaminato: l’effetto del trattamento contro il cancro sui livelli di IGF, il cambiamento nel tempo dei livelli di IGF in pazienti con cancro alla prostata, l’associazione tra i livelli di IGF e le lesioni precancerose, l’espressione di IGF nel tessuto del carcinoma prostatico rispetto ad una prostata sana e ad altri tessuti, gli aplotipi in IGF-I e il rischio di cancro alla prostata, SNPs nella via dell’IGF e la sopravvivenza al cancro, la perdita dell’imprinting di IGF-II e rischio di cancro e la metilazione di geni IGF. Questi dati hanno fornito prove per la presenza di associazioni positive, negative e nulle tra le esposizioni ad IGF e il rischio di PCa, e le associazioni positive sono risultate tra le più diffuse.
Limitazioni
Un’importante limitazione di questo lavoro è che gli studi che esaminano l’associazione tra latte e IGF non includevano dati sufficienti per eseguire una meta-analisi, e quindi non è stato possibile calcolare una stima dell’effetto combinato. Tuttavia, i grafici albatros hanno permesso un esame approssimativo dell’entità dell’effetto in termini di differenze medie standardizzate, consentendo di trarre conclusioni sulla probabile dimensione della correlazione tra latte e IGF differenti. Riconosciamo che la ricerca bibliografica è stata completata nel marzo 2014 e pertanto studi più recenti potrebbero essere stati ignorati. Tuttavia, uno dei punti di forza di questo studio è l’inclusione di molte tipologie di dati differenti e l’applicazione ai dati di strumenti di valutazione come il Rischio di bias e il GRADE che consentono di trarre conclusioni più determinanti.
Conclusione
La diversità degli studi ha dato origine ad una complessa meta-analisi, che ha richiesto rigidi criteri di inclusione/esclusione per consentire la meta-analisi dei dati in una serie di tipologie di studio. Complessivamente, le prove congiunte provenienti da studi osservazionali, sperimentali e genetici su animali e umani forniscono prove a sostegno del ruolo della via dell’IGF, in particolare dell’IGF-I, nella s correlazione tra latte e cancro alla prostata.
Ringraziamenti
A Giota Mitrou, Martin Wiseman, Rachel Thompson del World Cancer Research Fund (WCRF) International e Pierre Hainaut dell’Institute for Advanced Biosciences, Grenoble per aver contribuito alla discussione sulla metodologia e sui risultati presentati in questo articolo.
Finanziamenti
Finanziato dal World Cancer Research Fund (grant number: RFA 2012/620). SH è uno studente del Wellcome Trust Funded PhD con Grant code 102432/Z/13/Z. Ulteriormente supportato da fondi provenienti dal MRC Integrative Epidemiology Unit dell’Università di Bristol (MC_UU_12013/1, MC_UU_12013/2) e dal Cancer Research UK (C18281/A19169) Programme Grant (l’Integrative Cancer Epidemiology Programme). RMM è supportato dal National Institute for Health Research (NIHR) Bristol Nutritional Biomedical Research Unit basato sull’University Hospitals Bristol NHS Foundation Trust e sull’Università di Bristol.
Accesso libero
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