Presentato l’ottavo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere
E’ stato presentato “GreenItaly 2017“, l’ottavo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e con il contributo di Ecopneus. Il rapporto “misura” la green economy nazionale.
Tra i dati del rapporto emerge che un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso sulla green economy, che in Italia significa piu’ ricerca, innovazione, design, qualita’ e bellezza. Sono infatti 355mila le aziende italiane, ossia il 27,1% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2011 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.
Una quota che sale al 33,8% nell’industria manifatturiera, dove l’orientamento green si conferma un driver strategico per il made in Italy, traducendosi in maggiore competitivita’, crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione.
Secondo l’analisi degli estensori del rapporto la green economy rappresenta un formidabile fattore di competitivita’ ed e’ stata in questi anni difficili la migliore risposta alla crisi. Ne è derivata una spinta per la qualità, la bellezza, la coesione sociale, naturali alleate dell’uso efficiente di energia e materia, dell’innovazione, dell’high-tech. Una evoluzione di sistema avviata ‘dal basso’, che si basa su investimenti e produce lavoro, sostiene la coesione delle comunita’ e si intreccia con il territorio.
Quest’anno si registra una vera e propria accelerazione della propensione delle imprese a investire green: ben 209 mila aziende hanno investito, o lo faranno entro l’anno, su sostenibilita’ ed efficienza, con una quota sul totale (15,9%) che ha superato di 1,6 punti percentuali i livelli del 2011.
Alla nostra green economy si devono gia’ 2milioni 972mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze ‘verdi’. Una cifra che corrisponde al 13,1% dell’occupazione complessiva nazionale, destinata a salire ancora entro dicembre. Dalla nostra economia ‘verde’ infatti arriveranno quest’anno 320 mila green jobs e considerando anche le assunzioni per le quali sono richieste competenze green si aggiungono altri 863 mila occupati. Insieme all’occupazione la green economy crea anche ricchezza: i quasi 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo.
Un salto competitivo dovuto anche al forte connubio “green-R&S“, perché, ad esempio, le medie imprese industriali che investiranno quest’anno in ricerca e sviluppo sono il 27% tra quelle che puntano sull’eco-efficienza e solo il 18% tra le altre.
Un dato che trova conferma nei numeri relativi ai green jobs (ingegneri energetici o agricoltori biologici, piuttosto che esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto, ecc.): nell’area aziendale della progettazione e della ricerca e sviluppo i green jobs rappresentano il 60% delle assunzioni previste per il 2017. Un tema che si collega a doppio filo con il Piano Nazionale Impresa 4.0, ovvero l’impegno pubblico del governo per sostenere la quarta rivoluzione industriale.
Molte delle tecnologie abilitanti richiamate nel Piano rispondono infatti a necessita’ delle imprese di ridurre impatti di tipo energetico e/o ambientale piuttosto che di rendere i processi piu’ efficienti (ad esempio riducendo sprechi e riutilizzando materiali). Non e’ un caso che le medie imprese industriali che investono nel green siano molto piu’ a conoscenza delle altre delle misure contenute nel Piano (due terzi contro neanche la meta’ delle non investitrici green).
La green economy e’ una efficace leva per lo sviluppo, un paradigma produttivo sempre piu’ forte e diffuso nel Paese. Il 69% delle medie imprese green si impegna in sostegno allo sviluppo del proprio territorio, mentre tra le imprese non green tale percentuale scende al 36%.
“Emerge con sempre maggiore forza, la necessita’ di un’economia piu’ sostenibile e a misura d’uomo e per questo più forte e competitiva. Lo si evince – afferma il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci – anche dal Nobel nuovamente dato ad un economista atipico che riflette sulle persone e sulle comunita’: quest’anno a Richard Thaler che, conle sue teorie, ha spiegato come i tratti umani incidono le decisioni individuali e gli esiti del mercato. La green economy e’ la frontiera piu’ avanzata per cogliere queste opportunità. E’ l’Italia che fa l’Italia, che non dimentica il passato ma che è insieme innovativa e promettente oltre i luoghi comuni, in grado di affrontare le sfide del futuro, un Paese di cui andare fieri e cui dare credito”.
La maggior parte delle imprese che hanno effettuato o effettueranno eco-investimenti si colloca in regioni del Nord: la Lombardia in primis è l’area con il più alto numero di imprese eco-investitrici 2011–2017 (oltre 63.000, 17,8% del totale nazionale). Seguono il Veneto (oltre 35.000 unità, 10,0%) e tre regioni con valori intorno a 30 mila imprese investitrici green: nell’ordine Lazio, Emilia-Romagna e Toscana.
Calenda
Nella Strategia energetica nazionale ci sara’ un elenco delle infrastrutture necessarie alla transizione energetica, da quelle relative alle fonti fossili piu’ inquinanti a quelle relative alle rinnovabili passando per quelle delle fonti fossili meno inquinanti come il gas, ritenuto fonte-ponte verso le energie pulite. Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, lo annuncia in occasione della presentazione del rapporto GreenItaly 2017, oggi al Mise. “Accanto agli obiettivi di uscita dal carbone e sulle rinnovabili, la Sen avra’ una lista delle infrastrutture e dei progetti che vanno realizzati”, spiega Calenda, perche’ “se vogliamo, ad esempio, anticipare l’uscita dal carbone, servono le infrastrutture per il gas” e, allo stesso modo, “non si puo’ dire ‘no al carbone’ ma anche ‘no al gas’, e ‘rinnovabili si’ ma non vicino casa mia perche’ sono brutte'”.
Quello che e’ necessario, sottolinea il titolare dello Sviluppo economico, e’ “essere consapevoli che servono infrastrutture per la transizione energetica”, quella che fa perno sul gas. Da questo punto di vista “abbiamo bisogno della collaborazione delle Regioni”, aggiunge Calenda, e la lista serve “perche’ sia chiaro che quando c’e’ la sindrome Nimby (Not in my backyard, non dalle mie parti, ndr) si sta ostacolando un obiettivo del Paese”. “Bisogna pero’ essere essere coscienti che per onorare gli impegni presi” a livello internazionale, come ad esempio gli Accordi di Parigi, “serve una consapevolezza diffusa”, prosegue Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, nel suo intervento alla presentazione del rapporto GreenItaly 2017, “dobbiamo andare al 2025 a una produzione elettrica senza carbone ma essere consapevoli che servono infrastrutture per l’energia di transizione, che e’ il gas”.
Pero’, argomenta Calenda, allo stesso modo “se vogliamo decarbonizzare e serve un’infrastruttura e non la vogliamo fare vuol dire che non siamo consapevoli”
Piano nazionale Impresa 4.0 – Risultati 2017 – Linee guida 2018
Documenti:
Slide di presentazione dr Tripoli
Fonte: Conferenza delle Regioni e delle Province autonome