Consumi delle carni e miracolo economico italiano
Nei primi novant’anni postunitari i consumi alimentari degli italiani sono quelli di un Paese povero e arretrato, condannato ad una dieta pressoché vegetariana, povera di grassi e di proteine. Soltanto con il miracolo economico del secondo dopoguerra si apre un’epoca nuova e senza precedenti, di crescita costante e intensa, nella quale l’alimentazione italiana raggiunge i livelli e gli standard dei Paesi avanzati del mondo occidentale. Fino ai primi decenni del secolo scorso, solo una parte dei 16 chilogrammi di carne consumata dagli italiani è bovina, e questa è in gran parte costituita da carni di buoi e vacche da lavoro giunte a fine carriera, carni di scarso pregio e destinate ai bolliti delle feste e di qualche domenica del popolo. Solo una piccola parte della carne bovina è di giovani animali, destinati alle mense di una classe borghese che ha i mezzi per acquistarla; è il tempo del proverbio “chi legge cartello (dei prezzi) non mangia vitello”. Alla fine del XX secolo gli italiani giungono a consumare 25 chilogrammi di carne bovina per persona per anno, quantità che ha un transitorio calo solo in coincidenza dell’incidente della BSE e della Mucca Pazza ma che sembra essere una solida acquisizione. Ma così non è perché dal 2007-2008, gli italiani, pur non diminuendo il consumo di carne in generale, diminuiscono progressivamente quello di carne bovina, arrivando ad una quantità compresa tra i 19 e i 18 chilogrammi per persona per anno, con un calo che ha molte cause che rientrano nei mutamenti in atto considerati dall’antropologia alimentare.
Antropologia delle carni bovine
Per spiegare il calo dei consumi di carne bovina sono indubbiamente importanti la crisi economica che colpisce l’Italia dal 2007-2008 diminuendo il potere d’acquisto delle famiglie, la continua e quasi martellante diffusione di notizie distorte sulla carne e su quella bovina in particolare e la progressiva perdita di tradizioni alimentari sostituite dalle mode del vegetarianesimo e del veganismo. Non sono da sottovalutare neanche le altre condizioni del cambiamento antropologico che ha subito il consumo di carne bovina, che meritano qualche considerazione anche in relazione al futuro di questo alimento nella dieta degli italiani. La carne bovina, dall’antichità fin quasi ai giorni nostri, è stata ritenuta la carne per eccellenza, destinata alle più alte categorie sociali. I bovini non sono soltanto gli animali destinati ai più importanti sacrifici, come la consacrazione del nuovo tempio di Gerusalemme o il romano suovetaurilia, ma il vitello grasso è anche il cibo della grande festa per il ritorno de figliol prodigo. Anche in tempi a noi più vicini la carne bovina e dei grandi ruminanti rimane il cibo dei potenti, tanto che la sua astinenza diviene il simbolo di esclusione e punizione dei vinti, senza dimenticare – anche se è soltanto un aneddoto – la denominazione di mangiatori di bistecche, Beefeaters, data alle Guardie del Palazzo Reale di Sua Maestà e della fortezza della Torre di Londra, il cui salario includeva una razione di carne di manzo (beef) in modo che questi guardiani potessero mangiare carne bovina a volontà dalla tavola imbandita del sovrano. Quando gli italiani escono dalla povertà ed entrano nel periodo di miracolo economico del secondo dopoguerra vogliono mangiare più carne, secondo la regola che a ogni passaggio dalla povertà alla ricchezza, reale o percepita che sia, è la carne bovina che la popolazione vuole, e non quella di vecchie vacche o di buoi da lavoro ma del vitello di biblica memoria. In questo periodo però la richiesta di carne di vitello o di vitellone non può essere immediatamente soddisfatta, scatenando una produzione di carne di non alta qualità da giovani animali alimentati con latti artificiali, ma anche con l’uso di mezzi fraudolenti e illeciti.
Carni bovine, consumi in calo
Nel secolo presente non vi è più ricordo di tempi di fame, si preconizza una decrescita felice e quasi scomparsa è la generazione del miracolo economico. Nell’immaginario alimentare delle generazioni di questo secolo la carne bovina perde la connotazione di cibo dei ricchi e dei potenti, che ora sfoggiano stili alimentari ben diversi da quelli del passato, spesso indirizzati più al pesce e ai vegetali che alla carne. La carne proveniente dalle bovine da latte a fine carriera (scomparsi i buoi da lavoro) trova un nuovo posizionamento alimentare negli hamburger e, scomparsi i lessi e gli stracotti e altre preparazioni culinarie di lunga cottura, le bistecche di manzo sembrano essere diventate un cibo quasi etnico, come dimostra il sorgere di ristoranti specializzati. Inoltre, con il nuovo secolo la carne bovina subisce una concorrenza sempre più agguerrita da parte di altre carni che sono entrate nell’immaginario alimentare delle nuove generazioni, come le carni bianche del pollame e le nuove carni rosee del suino leggero. E’ a queste ultime carni che gli chef dedicano particolare attenzione in quanto di facile manipolazione, tanto da essere denominate “carni camaleonte”, e perchè meglio si avvicinano, per caratteri visivi e di consistenza, al cibo in grande ascesa: il pesce. Le carni rosse di bovino e di selvaggina non hanno più il successo che passa invece alle carni bianche, leggere, di minor prezzo e ben manipolabili, e che si prestano bene all’estro immaginativo dei più spericolati chef e più convengono ai gusti emergenti di una popolazione che sempre più tende al vegetale.
Futuro delle carni bovine di alta gamma
Le carni bovine continueranno il loro declino fin quasi scomparire con la morte del loro mito? Assolutamente no perché i miti non muoiono ma cambiano e risorgono sotto nuove forme e, come disse Giuseppe Verdi, il progresso passa anche attraverso un intelligente ricupero del passato. Come ci insegna l’errore del secolo scorso di aver tentato di distruggere il mito della carne bovina con il vitello a carne bianca e di dare una Bistecca alla Fiorentina a tutti, bisogna accettare che la carne delle bovine da latte a fine carriera e di prezzo contenuto sia trasformata in hamburger per tutti e che sempre per tutti vi possa essere una possibile, futura carne da cellule muscolari bovine coltivate. Non bisogna però pensare che la carne bovina di qualità o d’alta gamma possa scomparire, non per tutti ma per gli intenditori del passato.
Come è avvenuto nei vini e in molti altri alimenti, per i non moltissimi ma importanti partecipanti alla categoria dei Beefeaters bisogna produrre carni di bovini di razze pregiate, dalla nostrana Chianina alle altre razze autoctone o d’importazione, che i nostri allevatori – con il forte aiuto dei centri di ricerca – hanno imparato ad allevare nel modo più appropriato per produrre una carne d’alta gamma e di prezzo adeguato agli alti costi di produzione. Questi bovini possono essere prevalentemente allevati in ambienti naturali e terreni marginali, al pascolo e in condizioni di benessere, contribuendo anche al ricupero di aree svantaggiate alto-collinari o di montagna e in allevamenti che contribuiscono alla salvaguardia ambientale. Queste carni bovine d’alta gamma sono necessariamente di produzione limitata e per questo non possono essere vendute in modo anonimo, ma singolarmente identificate in modo preciso non solo come taglio di carne ma indicando la razza dell’animale e il sistema di produzione, e indicando inoltre il produttore come per i vini di qualità. Come sta avvenendo per altri alimenti, non ultimi i vini di qualità appena citati, queste carni d’alta gamma sono destinate ad un uso gastronomico per gli intenditori e gli chef di ristoranti.
Le carni bovine d’alta gamma sono un mercato di nicchia di valore trascurabile? Non tanto, basta vedere quel che è avvenuto per i vini dove al forte calo della produzione e dei consumi (dai 70 litri del 1980 siamo ora arrivati sotto ai 40 litri annui pro capite) si è associato l’aumento delle produzioni vinicole d’alta gamma, con un importante sviluppo di un mercato nel quale l’Italia, da produttrice di vini da taglio di bassa qualità, è divenuta leader di un’enologia di qualità fonte di notevole reddito. Un’ipotesi irrealistica per la carne bovina? Non si direbbe, considerando che oggi questo alimento (consumi apparenti) copre meno del 20% della carne consumata dagli italiani e che le carni bovine d’alta gamma potrebbero riguardare il 10% dei consumi apparenti arrivando ad alcuni chilogrammi pro capite annui, una quantità solo apparentemente piccola perché riguarderebbe produzioni di oltre duecentomila tonnellate annue in un mercato della carne bovina d’alta gamma che attende di essere sviluppato anche in Italia.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.