Abbiamo voluto riportare un estratto di quanto scritto da un giornalista del famoso sito americano The Bullvine, in visita alla scorsa edizione della Fiera di Cremona, sulla produzione del latte in Italia.
La produzione lattiero-casearia italiana è tra le più efficienti in Europa ma i consumatori spingono per una produzione meno intensiva con un prodotto che fornisca nutrimento ma che garantisca anche il benessere degli animali. Gli allevatori saranno adeguatamente compensati?
Con i prezzi mondiali del latte stabili e con i produttori ora in grado di pagare i loro debiti e di ricavare anche un piccolo profitto, è giunto il momento di considerare dove potrebbe arrivare il settore da questo punto in poi.
In Italia si parla di sostenibilità e benessere degli animali, tema discusso costantemente in vari forum durante la recente Fiera di Cremona, in Lombardia.
La scelta della location per la fiera è stata calzante dal momento che il distretto in questione fornisce il 10% della produzione di latte in Italia e la regione Lombardia oltre il 40%.
Gli allevamenti in questa regione hanno una dimensione doppia rispetto alla grandezza media degli allevamenti italiani, circa 18 ettari, e maggiore di più di un quarto rispetto al resto dell’Europa.
Di conseguenza, molti degli espositori presenti alla fiera hanno promosso attrezzature per la gestione dei reflui di origine bovina – facendoli arrivare dai capannoni al terreno o convertendoli in energia sotto forma di metano “biogas”.
Altra questione importante è stata la gestione della razione, dal momento che il mais insilato e il fieno di erba medica sono una parte fondamentale della dieta bovina, insieme ai supplementi di soia.
La maggior parte delle aziende agricole non può coltivare tutto quello di cui ha bisogno, esiste quindi un mercato per le materie prime, con mais coltivato a rotazione con erba medica, soia, loiessa e sorgo.
Nonostante la grande diffusione del sistema intensivo, i paddock esterni su terreni non coltivati sono molto utilizzati. Questo approccio “biologico” è molto presente in altre regioni, come il Veneto e il Friuli.
Il solo settore agroindustriale della Lombardia vale 13,8 miliardi di euro (quasi il 17% del totale nazionale). Gli italiani amano sposare arte e scienza per creare ingegneria di qualità.
Stalle di ultima generazione
Il costruttore Rota Guido ha promosso il concetto di “Stalla Etica®“, in cui le vacche hanno a disposizione uno spazio per riposare al riparo dopo aver mangiato fino a sentirsi sazie. I ventilatori elettrici e gli spruzzi d’acqua le rinfrescano in estate, mentre in inverno il riscaldamento mantiene il calore. In un sistema ideale, un impianto di biogas trasforma i rifiuti in elettricità, anche se la domanda di materie prime per questi impianti talvolta compete direttamente con la produzione di latte.
Rota Guido si è impegnato nella promozione dei propri prodotti “zootecnici” a rappresentanti di India, Turchia, Bulgaria, Kazakistan e altri Paesi in via di sviluppo, con il direttore tecnico commerciale Guiseppe Volta che ha sottolineato che i progetti che coinvolgono questa “Stalla Etica®” in Kenya e Camerun, utilizzando sia fondi pubblici che privati, stavano fornendo un “ruolo sociale” nel promuovere l’autosufficienza nella produzione di latte.
Per molti dei delegati internazionali, che hanno a che fare con allevatori che mungono una piccola mandria su piccoli terreni, il concetto di questa tipologia di allevamento non era semplicemente fattibile.
Ma per gli italiani, che stanno cercando di abbracciare il cambiamento, si è parlato di una tecnologia digitale che aiuti a guidare la produzione utilizzando monitor per vacche che riportino i dati allo smartphone dell’allevatore.
Secondo il Financial Times, Telecom Italia è in trattativa con l’ente dell’industria che rappresenta i produttori di parmigiano, il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, per una migliore connettività e monitoraggio della salute delle vacche e della produzione di latte.
La gestione intensiva è, naturalmente, progettata per mantenere il potenziale genetico del bestiame che è composto in Italia prevalentemente da frisone che producono oltre 10.000 litri per lattazione al 4,5% di grassi e 3,6% di proteine. Altre razze tipicamente utilizzate nel settore includono le Jersey, per aumentare il grasso e le proteine insieme alle Holstein rosse, Braunvieh e Fleckvieh.
L’elefante della stanza
Nel frattempo, il consumatore continua a reclamare prodotti biologici con particolare attenzione al benessere degli animali e una maggiore presenza di nutrienti nei prodotti lattiero-caseari.
Con la produzione intensiva e la necessità stagionale che le vacche vivano al coperto, è necessario l’utilizzo di una stalla confortevole, ma le tipiche “unifeed” o razioni miste non riescono a creare un latte con gli stessi livelli di grassi Omega 3 di quello proveniente da allevamenti montani con le bovine alimentate a pascolo che vivono un’esistenza romantica nei paesi alpini al confine con Francia, Svizzera e Austria.
La Dott.ssa Milena Povolo del Consiglio Italiano per la Ricerca Agricola e l’Analisi dell’Economia Agricola (CREA) e il suo collega Fabio Abeni hanno raccontato al pubblico della Fiera di Cremona che il segreto per una migliore alimentazione e sapore nei prodotti lattiero-caseari non è necessariamente fornire mangimi biologici o prodotti biologicamente, ma piuttosto fornire una varietà di erbe da pascolo. Uno di questi esempi è una nuova varietà di trifoglio, Giga, sviluppata dai loro colleghi di CREA, in grado di competere anche con le migliori varietà quando è cresciuta accanto a festuche estive dominanti.
Altri scienziati del CREA stanno lavorando su legumi alternativi per fornire le proteine necessarie nella dieta unificata – nuove varietà di piselli da campo, ad esempio, che resistano al gelo per la semina autunnale e che siano più facili da raccogliere con una mietitrebbia convenzionale.
La chiave per una migliore presenza di nutrienti nel latte, dicono, è fornire un ampio spettro di acidi grassi. Naturalmente gli incentivi a muoversi in questo modo dipenderanno dal prezzo ricevuto dall’allevatore.
Un buon ritorno per l’allevatore?
Tutto ciò richiede una maggiore produttività grazie alla tecnologia e un’alta qualità attraverso la diversità, e ciò preoccupa coloro che cercano di vendere latte e formaggio. Fusar Poli, presidente della cooperativa lattiero-casearia Latteria Soresina, afferma che allevatori e consumatori sono separati dalla forte presenza della GDO, La Grande Distribuzione Organizzata, che sta creando un “collo di bottiglia” nel marketing, proprio come Woolworths e Coles in Australia e Walmart negli Stati Uniti.
“Chiediamo agli allevatori di promuovere la sostenibilità e migliorare la qualità, ma non possiamo offrire loro un aumento dei prezzi“, afferma. “L’industria deve cambiare, ma l’allevatore è bloccato allo stesso vecchio prezzo”.
Il direttore delle cooperative unite del latte, Confcooperative, concorda con Enrico De Corso nel dire che il consumatore vuole una produzione di latte sostenibile e potrebbe essere disposto a pagare per questo un prezzo maggiore se avesse ricevuto la giusta istruzione.
Fortunatamente per Confcoop, che gestisce il 60% della produzione lombarda, c’è una grande domanda di formaggio – Parmigiano Reggiano e Grana Taleggio – che consuma metà della loro produzione con un altro terzo esportato fuori dalla loro zona di produzione.
Certo, gli italiani amano la cultura del cibo e c’è molta richiesta di prodotti di nicchia creati per attrarre i consumatori più esigenti.
Piccoli allevatori come la famiglia Zanatta della storica Nervesa Della Battaglia, sui terreni alluvionali del fiume Piave vicino a Treviso, trovano un mercato pronto per il loro latte nel settore del formaggio spalmabile vendendo a Nonno Nanni.
La loro piccola mandria composta da 50 bovine su 6 ettari, 20 attualmente in lattazione, include una vasta gamma di razze tra cui Friesan, Jersey cross, Pezzata Rossa e Braunvieh, che producono una media di 9000 l/lattazione al 4,05% di grasso e 3,36% di proteine. Il numero di cellule è 280/1000. Una razione giornaliera individuale include 15 kg di insilato di mais e 4 kg di grano (mais e soia) prima della mungitura.
La mozzarella di bufala gode di un fiorente mercato sia a livello nazionale che internazionale. La famiglia Capovilla di Aviano ha 500 bufale che producono un latte con l’8% di grasso e il 4,6% di proteine, sebbene producano solo 15-17 litri al giorno per una lattazione di otto mesi, con una media di 2200 litri per vacca durante quel periodo. Le razioni di mangime sono in genere composte da 25 kg di insilato di mais più 4 kg di concentrati (soia e mais) ogni giorno.
La famiglia, che ha iniziato la sua attività nel 1990 con una donazione di 50 bufale del governo italiano, desideroso di spostare l’industria dalla sua roccaforte in Campania, feconda gli animali con l’inseminazione artificiale seguita da un toro. Con 120 ettari – un’allevamento molto grande per gli standard italiani – la famiglia Capovilla è in grado di coltivare tutta la materia prima che gli è necessaria.
Sicuramente la produzione di latte in Italia ha di fronte un futuro radioso, nonostante le fluttuazioni dei prezzi e in barba ai supermercati. Gli italiani amano il formaggio come fanno con il loro vino e tanti altri prodotti agricoli. La loro economia potrà essere su un terreno instabile, ma non è così per la loro cultura che considera il cibo il motore della sostenibilità.
Fonte: Bullvine