Leggende metropolitane sulla carne
“Un amico mi ha detto che un suo conoscente una volta è stato in un ristorante di Milano con il suo cane. Durante la cena ha dato un pezzo della carne che aveva nel piatto al proprio cane che, dopo averla fiutata, non ha voluto mangiare. Il padrone, insospettito, ha preso la carne rifiutata dal cane, l’ha fatta analizzare e ha scoperto che era carne di cane. Il ristorante è stato chiuso.“
Questa è una classica leggenda metropolitana nella quale compare il solito amico con il suo altrettanto immancabile conoscente, che dovrebbero attestare la veridicità di un racconto costruito su una serie di improbabilità, come quella di un cane capace di conoscere l’origine di una carne, peraltro cotta e condita, di un proprietario che trova un’analista che compie l’analisi del genoma capace di stabilire la natura della carne, e soprattutto di un ristoratore che usa la carne di cane con il rischio di dover chiudere, come poi chiude il racconto della leggenda stessa.
Questa leggenda metropolitana, facilmente individuabile come falsa, è solo una delle tante fake news, in italiano notizie false, o articoli redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, resi pubblici con il deliberato intento talvolta di divertire ma soprattutto di disinformare o diffondere bufale attraverso i mezzi d’informazione tradizionali o via Internet (principalmente per mezzo dei social media), e riguardanti argomenti d’interesse generale o sensibili, tra cui la carne.
Da quando è divenuta abbondante, attorno alla carne si sono sviluppate delle paure, a volte con una base di verità ed altre invece inconsce, e sono state costruite e propagate leggende metropolitane; queste ultime favorite anche dalla diffusa ignoranza, da parte della maggioranza dei cittadini, circa le pratiche agricole e l’allevamento degli animali. Talvolta si è anche associata un’inconscia paura dell’ignoto e soprattutto del nuovo. Una paura psicologicamente importante soprattutto per un alimento ricco di valori tradizionali, come la carne.
Le paure sulla carne oggi possono essere tranquillamente ridimensionate ed in gran parte sfatate, come le leggende metropolitane. Queste ultime derivano spesso da fraintendimenti o eccessive semplificazioni di problemi più o meno complessi; ma a volte sono il risultato di una impropria ricerca scandalistica o della diffusione di notizie imprecise, quando non vi è stato il preciso intendimento di criminalizzare un alimento, la carne, per motivi ideologici o anche a vantaggio di altri interessi di mercato o di uno scandalismo alimentare verso il quale sogliono indulgere alcuni giornali.
Molte delle paure o delle leggende metropolitane riguardano inoltre la parte più nobile e prestigiosa della carne, la bistecca, ma anche gli altri tipi di carne. Lo stesso avviene infatti per il vitello, spesso preso per emblema di tutte le specie animali.
Bistecca agli antibiotici, carni imbottite di farmaci
Una delle più diffuse leggende metropolitane che suscitano paure è quella delle carni prodotte da animali, soprattutto da vitelli, che sarebbero ingrassati a furia di antibiotici o con l’uso di farmaci in genere e che per questo sarebbero acquose, senza nutrimento e per di più piene di antibiotici.
Un misto di verità e falsità, e di una semplificazione che travisa completamente la realtà. Schematicamente è vero quanto segue. La carne magra, soprattutto di animali giovani, ha una maggiore quantità di acqua rispetto alla carne grassa e ad animali più o meno anziani. La quantità di proteine comunque (che è la parte nutritiva che ci interessa) si aggira sempre sul 20%.
Gli antibiotici ed altri farmaci sono usati nella cura degli animali ammalati per assicurare loro il benessere della salute e non lasciarli morire di malattia. Inoltre, veterinari ed allevatori che curano gli animali cercano di usare la minima quantità possibile di antibiotici e farmaci, che hanno un costo sensibile e non sono regalati da nessun ente statale (AUSL, ecc.). È poi ovvio che un animale colpito da malattia cronica non cresce come quando è guarito con l’uso degli antibiotici ed altri farmaci.
Quando un animale è stato curato con antibiotici o farmaci non può essere macellato (d’altra parte è anche un animale ammalato): si lascia infatti passare un certo periodo di tempo (noto come tempo di sospensione), durante il quale elimina completamente il farmaco ed ogni suo residuo, in modo che le carni tornino ad essere pulite. I tempi di sospensione sono indicati su ciascuna confezione di farmaco, vengono controllati dalle autorità sanitarie e sono sottoposti a precise normative, tra le quali autodichiarazioni degli allevatori che, in caso di inadempienza, rischiano pesanti pene.
Da circa cinquanta anni ci si è accorti che piccole quantità di particolari antibiotici aggiunti alla dieta degli animali permettono di prevenire infezioni ed al tempo stesso migliorano l’utilizzazione degli alimenti. Questi effetti sono completamente naturali ed ampiamente sfruttati dall’uomo che a tale fine utilizza molti vegetali freschi, e soprattutto piante aromatiche e spezie (ad esempio l’aglio, la cipolla, il prezzemolo, per citare soltanto piante aromatiche nostrane hanno sostenute attività antibiotiche). Negli animali allevati nell’Unione Europea (quindi anche in Italia) oggi non sono più permessi antibiotici aggiunti agli alimenti al fine di migliorarne l’efficacia nutrizionale. L’assenza di significative quantità di antibiotici e farmaci nelle carni è accuratamente controllata dalle autorità pubbliche. Le carni prodotte da grandi complessi agro-industriali (carne di marca o vendute con un marchio) sono inoltre auto-controllate dai produttori, fortemente interessati a non incorrere in incidenti e quindi in scandali che comunque potrebbero ledere la propria immagine.
Bistecca piena di additivi
Altra leggenda metropolitana è quella delle carni tritate piene di additivi, un’opinione che deriva dal fatto che la carne, esposta all’ossigeno dell’aria, cambia di colore virando verso il marrone.
Per questo nel passato è avvenuto che alcuni dettaglianti con pochi scrupoli abbiano aggiunto alle carni tritate degli antiossidanti per mantenere il colore rosso, compiendo una frode commerciale. L’uso di ogni additivo è assolutamente vietato nelle carni fresche ed in proposito vi sono precisi controlli.
Bistecca con i pori
Secondo una recente leggenda metropolitana, la carne va cotta prima ad alte temperature per chiudere i pori e preservare i succhi, e poi a temperature più basse. Secondo questa credenza, esporre la superficie di una bistecca ad alte temperature, prima di completare la cottura, la sigilla e la mantiene più succosa.
Per questo si usa anche il termine inglese searing (più o meno cauterizzazione), dimenticando che la bistecca non ha pori e che ricerche sperimentali dimostrano che dopo la cottura, la bistecca cauterizzata ha perso il 19% del suo peso mentre quella non cauterizzata ne perde solo il 13%. Una differenza che sconfessa la leggenda dei pori della bistecca.
Hamburger immortale
“Che vi sia ognun lo dice / Dove sia nessun lo sa”: così si affermava per l’araba fenice, il mitico uccello che avrebbe vissuto cinquecento anni e dopo la morte sarebbe risorto dalle proprie ceneri, e lo stesso si potrebbe dire per l’hamburger immortale che, secondo una leggenda metropolitana, una volta acquistato presso McDonald’s o altre catene di fast food, non marcisce, ma si mummifica perché la carne è talmente sintetica che neanche i batteri e le muffe la vogliono mangiare.
La leggenda metropolitana aggiunge che esisterebbero hamburger intatti da ormai dodici o quattordici e più anni, ma non si sa dove, dimenticando inoltre che pane e carne cotti e poi conservati in un ambiente secco non offrono alle muffe un ambiente praticabile. Non è però per la presenza o meno di conservanti che la carne non si corrompe, è solo che se è cotta, salata e disidratata rimane mummificata, che sia di McDonald’s o no. La leggenda metropolitana dell’hamburger chimicamente immortale è solo una bufala alimentata da preconcetti.
Carni estrogenate, polli agli estrogeni e la leggenda metropolitana del cuoco svizzero
Negli anni settanta del secolo scorso compare la leggenda metropolitana del cuoco svizzero che mangia i colli dei polli serviti nel suo locale (perché svizzero e perché questa sua strana voracità per i colli di pollo?), colli che contenendo residui dell’iniezione di DES avrebbero castrato, ingrassato e reso sterile l’incauto cuoco. Una leggenda che ricompare di tanto in tanto.
In passato, per ottenere carni grasse vi era l’abitudine di intervenire sull’assetto ormonale degli animali tramite la castrazione (capponatura dei galli). Con la scoperta di farmaci ad azione estrogena, ottenuti per sintesi e basso prezzo, come il dietilstilbestrolo (DES), vi fu la loro applicazione sugli animali, anche per la capponatura dei galli. Il possibile rischio per la salute pubblica di questo composto ha portato ad un suo totale divieto.
In modo analogo ed in tutto il mondo, soprattutto per motivi sanitari, non sono mai stati autorizzati altri composti come i tireo-statici ed i beta-agonisti, ecc., mentre negli Stati Uniti d’America ed in molte altre parti del mondo industrializzato sono autorizzati gli ormoni naturali, come il 17-beta-estradiolo, il testosterone ed il progesterone anche in associazione.
Il non uso e quindi anche la completa assenza di composti vietati o comunque non autorizzati nelle carni è accuratamente controllata dalle autorità pubbliche. Le carni prodotte da grandi complessi agro-industriali (carne di marca o vendute con un marchio) sono inoltre auto-controllate dai produttori, fortemente interessati a non incorrere in incidenti e quindi in scandali che potrebbero ledere la propria immagine. Il fatto che su centinaia di migliaia di indagini, di tanto in tanto vi sia qualche caso, anche soltanto sospetto, è la migliore prova della efficacia dei controlli.
Omogeneizzati agli ormoni
Leggenda metropolitana è quella che agli alimenti per bambini sarebbero aggiunti ormoni per farli crescere, ingrassare e renderli più belli.
Gli alimenti per i bambini, una fascia di popolazione estremamente sensibile e che deve essere protetta, sono invece costantemente sottoposti ad accurati e sensibilissimi controlli. Non vi è quindi da stupirsi come sia stato rilevato qualche caso di contaminazioni, nel passato anche da ormoni e più recentemente da fitofarmaci, soprattutto negli omogeneizzati misti carne-vegetali.
Le quantità rivelate dai sensibilissimi metodi di analisi sono risultate infinitesime, ma pur sempre lesive dell’immagine di un’assoluta purezza che deve avere un alimento per bambini. Oggi questi alimenti sono accuratamente controllati dalle autorità pubbliche. Inoltre, anche gli omogeneizzati prodotti da grandi complessi agro-industriali, e quindi di marca, sono auto-controllati dai produttori, attenti a non incorrere in scandali lesivi della propria immagine. Oggi questi alimenti sono in assoluto i più sicuri.
Carne degli allevamenti intensivi che non vale niente
Una persistente leggenda metropolitana riguarda le carni degli animali degli allevamenti intensivi. Nel passato gli allevamenti erano vere e proprie arche di Noè, dove uno stesso contadino-allevatore aveva vacche da latte e vitelli, oltre a qualche maiale, mentre sua moglie curava galline da uova e polli da carne, conigli e qualche faraona, anitre ed oche, senza dimenticare i colombi.
Oggi nell’allevamento, come in ogni altro settore, vige il concetto della specializzazione: nessuno si meraviglia dell’esistenza dell’opera del carrozziere, elettrauto, gommista, meccanico, senza dimenticare le sotto-specializzazioni del carburatorista e tappezziere, anzi è contento di utilizzarla.
Chi oggi alleva deve essere specializzato per produrre alimenti con le caratteristiche richieste dal mercato, cercando di mantenere basso il prezzo (almeno alla produzione). L’elevata efficienza degli allevamenti intensivi deriva da un’adeguata genetica degli animali, una corretta alimentazione e un buon sistema di allevamento, che comprende anche un elevato livello del benessere e della salute animale.
Da un punto di vista nutrizionale, le carni prodotte negli Allevamenti Specializzati non sono sostanzialmente diverse, ma migliori e cioè più adatte al consumatore di quelle di una volta proprio perché meno grasse. Lo stesso si può dire per gli aspetti sanitari. Per quanto riguarda l’aspetto gastronomico, ogni tipo di carne è adatto ad un certo tipo di cucina e per la preparazione di una determinata ricetta o piatto. Molti piatti attuali, ad esempio il carpaccio, sono possibili o favoriti dalle nuove carni, ch sono così adeguatamente valorizzate.
Bistecca biotecnologica e transgenica
Recente e persistente è la leggenda metropolitana della bistecca transgenica.
Fino a che le biotecnologie sono state un concetto lontano sono state considerate positive. Con il loro avvicinamento hanno invece iniziato a sollevare dubbi, perplessità e anche paure, più o meno strumentalizzate. Si può dire che talune neo-biotecnologie sono usate nell’allevamento degli animali fin dal 1935, quando si iniziò ad applicare l’Inseminazione Strumentale, seguita dal Trasferimento degli Embrioni, Fecondazione in Provetta e Duplicazione degli Embrioni, oltre ad una lunga serie di metodologie di diagnosi genetica.
Recentemente si è diffusa la paura di animali, o meglio di mostri, ottenuti con l’ingegneria genetica, e dei trapianti di geni con cui ottenere animali transgenici, trasferendo agli animali d’allevamento quanto ottenuto in qualche animale da laboratorio. La leggenda metropolitana di maiali e mucche transgeniche non ha una base reale e se domani questo potrà avvenire, sarà per gli animali allevati per la produzione di siero di sangue o di latte con determinate caratteristiche terapeutiche o di organi compatibili con l’uomo per trapianti.
Mangiamo troppa carne
Una leggenda metropolitana rimasta sempre viva è che “l’italiano mangia troppa carne”: ben oltre ottanta chilogrammi di carne per anno, affermazione continuamente ripetuta ma che non risponde al vero.
Secondo i più recenti studi (Consumo reale di carne e di pesce in Italia – A cura di V. Russo, A. De Angelis, P. P. Danieli – Ed. Franco Angeli 2017), e distinguendo fra consumo reale e consumo apparente, in media un abitante italiano consuma annualmente 237 grammi al giorno di tutti i tipi di carne, ma il consumo reale pro capite corrisponde a meno della metà, ovvero 104 grammi al giorno di carne, pari a 38 kg all’anno. Gli italiani quindi non mangiano troppa carne, anzi vi è il rischio che almeno una parte di coloro ne mangi poca.
Tossine della paura
Di tanto in tanto si afferma che gli animali quando sono portati al macello hanno paura, per cui le loro carni contengono non meglio precisate “tossine della paura“, dando origine a un’altra legenda metropolitana.
A parte il fatto che oggi le pratiche della macellazione sono regolate da precise norme che riguardano la eliminazione di ogni inutile sofferenza, ma anche lo stordimento od una narcosi (con gas od altri metodi) preventiva alla macellazione stessa, le fantomatiche tossine della paura, a volta trasformate o sostituite con le altrettanto immaginarie tossine dello stress, sono solo leggende metropolitane.
Se per tossine ci si volesse riferire ad ormoni quali adrenalina e glicocorticoidi, che aumentano nello stress, si deve precisare che questi possono effettivamente essere presenti, ma in quantità talmente basse da essere assolutamente trascurabili. Tali ormoni inoltre non sono assorbiti dall’intestino.
Ci si deve poi domandare come sia stato possibile che per centinaia di milioni di anni gli animali carnivori abbiano cacciato altri animali, quindi facendo loro paura e provocando uno stress, senza inconvenienti. Per di più è noto che gli uomini di molte tribù praticano un tipo di caccia che consiste nell’inseguire un animale fino a che non è così terrorizzato e sfinito che si lascia catturare… mangiandolo poi senza alcun inconveniente.
Veleni della morte
Secondo un’altra leggenda metropolitana con la carne mangiamo cadaveri. Fin dalla più lontana antichità, ma anche con la tradizione contadina, si sa che non è bene mangiare animali morti.
Molti riti religiosi, al termine dei quali le carni degli animali sacrificati ed offerti alle divinità erano regolarmente mangiati, prevedevano non solo la macellazione, ma anche il controllo della sanità degli animali e il loro completo dissanguamento.
Ancor oggi talune religioni, come quella israelita e musulmana, vietano anche lo stordimento prima della macellazione, che deve avvenire attraverso il dissanguamento (un metodo questo, come risulta dall’esperienza di persone gravemente ferite, indolore, anche se impressionante appunto per la effusione di sangue).
Le carni degli animali che oggi sono macellati sono quindi vive, e non morte. Inoltre i processi di frollatura, ai quali sono sottoposte per intenerirle e migliorarne le caratteristiche organolettiche, sono di tipo asettico e cioè avvengono senza l’intervento di batteri che potrebbero produrre composti tossici ed in particolare amine biogene.
Intossicazione da carne
A più riprese si legge della leggenda metropolitana riguardo la carne che intossica e produce nell’intestino i non meglio precisati veleni, portando quasi come una prova la stitichezza che può comparire mangiando troppa carne. I supposti veleni della carne sarebbero poi particolarmente dannosi per il rene ed il fegato.
La situazione vera è che la carne, soprattutto quella magra, non è un alimento completo e deve essere inserita in un’alimentazione equilibrata accanto a grassi (che possono benissimo essere presenti nella carne), idrati di carbonio (soprattutto amidi complessi), ma soprattutto fibra alimentare, che nell’alimentazione umana dovrebbe essere presente nella quantità di almeno venticinque, meglio trentacinque grammi giornalieri.
Una dieta squilibrata, e soprattutto carente di fibra alimentare, più che l’abbondanza di carne di per sé, può causare stitichezza, con sfavorevoli conseguenze sul fegato e rene. In giusta quantità ed in una dieta equilibrata, la carne apporta aminoacidi e principi nutrizionali (ad iniziare dalla Vitamina B 12, ferro altamente biodisponibile, cromo, ecc.) non solo favorevoli, ma necessari al fegato ed al rene.
Carne cancerogena
La strana idea che la carne (e cioè i muscoli degli animali usati nell’alimentazione) possa essere cancerogena è alla base di una leggenda metropolitana che nasce dall’osservazione che alcuni popoli con un’alimentazione squilibrata e molto abbondante di carne, hanno anche una maggiore incidenza di qualche tipo di tumori, soprattutto al grosso intestino.
Va sottolineato innanzitutto che si tratta di popoli che hanno consumi di carne che sono di due/tre e più volte maggiori di quelli italiani, non considerando la dieta nel suo insieme e soprattutto che la maggiore incidenza dei tumori intestinali si correla con un’anomala scarsità di fibra alimentare, ed in particolare al tipo di questa fibra.
Una prevenzione dei tumori intestinali, indipendentemente dalla quantità di carne alimentare, si ha con una dieta che contenga una fibra grezza ricca di fitina ed altri componenti che chelano, ossia legano e bloccano, minerali (ferro, ecc.) che altrimenti servono come alimenti per i batteri intestinali ai quali, in ultima analisi, è attribuita la produzione nell’intestino di sostanze potenzialmente cancerogene.
Un’alimentazione contenente carne in dose equilibrata, con sufficienti quantità di vegetali freschi apportatori di vitamine anticancerogene (come la A, la C e la E) e di fibra alimentare, soprattutto cereali (pane integrale), non causa tumori ma ha invece un’azione protettiva.
Bistecca di petrolio
Maggiormente nel passato, ma anche al giorno d’oggi di tanto in tanto, si sente parlare della leggenda metropolitana di bistecche ottenute dal petrolio. Nel passato, quando il petrolio era a basso costo e vi era un’eccedenza di paraffine, furono sviluppate delle coltivazioni di lieviti (funghi microscopici) che come alimento utilizzavano appunto le paraffine.
Questi lieviti, in dosi opportune, furono utilizzati come alimenti per gli animali, a volte come tali e altre volte dopo opportune purificazioni. Le carni di questi animali furono impropriamente definite come bistecche al petrolio, nonostante fossero perfettamente uguali a quelle degli animali nutriti con alimenti tradizionali.
Oggi non vi è alcuna convenienza nell’utilizzare il petrolio come un terreno di coltura per i lieviti, quando molti semi proteici, ad esempio la soia, sono molto meno costosi.
Bistecca incollata
A diverse riprese compare la leggenda metropolitana delle bistecche incollate, presentate come una grave truffa o un attentato alla salute pubblica.
In parole povere si tratta di pezzetti di carni, in particolare di pollo, ai quali sono aggiunte proteine, come quelle del siero di sangue, che coagulano e saldano tra loro le diverse particelle di carne, dando alla fine l’aspetto di una carne intera.
Le carni utilizzate sono quelle di tagli poco pregiati (ma sempre di completo valore nutrizionale) e con opportune mescolanze si possono anche avere le quantità di grasso più gradite. Ne risulta la possibilità di mantenere un prezzo basso per delle carni che hanno una composizione (quantità di grasso) prefissata e buone caratteristiche gastronomiche di tenerezza e succulenza.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.