L’interruzione forzata della lattazione è comunemente praticata nell’allevamento di bovine, pecore e capre da latte ma l’effetto di questa pratica sul benessere animale è poco indagato.

La maggior parte degli studi sul periodo dell’asciutta hanno concentrato la loro attenzione sulla salute della mammella, sui disturbi metabolici e sull’entità delle produzioni successive, ma il benessere dell’animale è condizionato anche dalla componente emozionale e da quanto la sua vita sia “naturale”. Il “come” la lattifera viva l’esperienza della messa in asciutta è un aspetto poco indagato (ad es.: Prova dolore quando le mungiture sono interrotte?).

In questa review si riassumono gli effetti del periodo di asciutta sul benessere dell’animale, non solo dal punto di vista biologico e funzionale. Dove possibile sono discusse le conoscenze provenienti da altre specie di mammiferi, pecore e capre in particolare.

Meccanismi biologici e salute

Si riconoscono 3 tipi di involuzione mammaria: graduale, senile ed acuta. L’involuzione senile è considerata solo nella letteratura umana. Una graduale perdita di cellule secretorie si avvia in seguito al picco della lattazione ed è responsabile del lento declino della produzione. L’involuzione acuta viene stimolata quando la rimozione del latte dalla mammella cessa; in questo caso si ha congestione del sistema duttale e degli alveoli ed aumento della pressione intramammaria. Parallelamente alla diminuzione della prolattina, ciò stimola il processo involutivo (apoptosi). Silanikove et al. (2013) hanno rilevato differenze nella popolazione cellulare di tipo infiammatorio in mammelle di bovine con basso o alto grado di congestione intramammaria. Si ipotizza che la reazione infiammatoria in seguito a improvvisa interruzione della mungitura possa segnalare distress nelle bovine altamente produttive.

Alcuni Autori hanno indagato la possibilità di omettere completamente l’asciutta. In questo caso, Bachman e Schairer (2003) riportano una evidente riduzione delle produzioni nella lattazione successiva, probabilmente perché l’involuzione mammaria permette di rinnovare la popolazione di cellule deputate alla secrezione (Milk epithelial cells, MEC). Si suppone che nella capra vi siano differenze nella capacità di rinnovo delle MEC rispetto alla bovina e che la specie caprina risenta meno della mancanza del dry period. In 3 studi condotti sulle capre (Fowler et al., 1991; Caja et al., 2006; Safayi et al., 2010), solamente Caja et al. (2006) hanno osservato una minore produzione nella lattazione successiva quando gli animali non erano sottoposti ad un periodo di asciutta. Sfortunatamente alcune capre interrompevano spontaneamente la produzione, per cui la popolazione di animali presi in considerazione in questi lavori è esigua.

La durata ideale dell’asciutta è ancora un argomento discusso. Bachman (2002) e Gulay et al. (2003) affermano che la produzione lattea nella bovina non viene influenzata dall’adozione di un periodo di 30 giorni, mentre Bernier-Dodier et al. (2011) e Steeneveld et al. (2013) hanno osservato un effetto negativo. E’ stato anche suggerito che razze diverse siano più o meno suscettibili ad una asciutta breve (meno di 45 giorni), con le Holstein più sensibili rispetto alle Brown Swiss (El-Tarabany, 2015). Caja et al. (2006) ha confrontato due gruppi di capre: il primo era munto ininterrottamente mentre il secondo osservava un periodo di asciutta di 56 giorni. Degli 8 animali assegnati al primo gruppo solamente 3 continuavano la produzione fino al parto successivo; quelle che terminavano spontaneamente la lattazione avevano un dry period di 23-31 giorni ma non si osservavano differenze nella successiva produzione. In uno studio condotto su 6762 lattazioni nell’arco di 5 anni, Hernandez et al. (2012) affermano che un periodo di asciutta minore di 30 giorni ha nelle pecore effetti negativi sulla lattazione seguente; raccomandano un dry period compreso tra i 30 e i 60 giorni.

Nonostante la produzione possa risentire dell’omissione dell’asciutta, alcuni Autori suggeriscono che questa pratica manterrebbe l’adattamento metabolico alla lattazione ed una maggiore capacità di ingestione. Il risultato sarebbe un miglioramento del bilancio energetico, ma i risultati degli studi condotti in merito sono contrastanti (Gulay et al., 2003; Rastani et al., 2005; Pezeshki et al., 2007; de Feu et al., 2009; Jolicoeur et al., 2014).

Per quel che riguarda la salute della mammella, la suscettibilità alle infezioni intrammammarie (Intra-Mammary Infections: IMI) è massima all’inizio ed alla fine del periodo di asciutta. La completa involuzione rende l’ambiente intramammario poco adatto allo sviluppo batterico a causa delle maggiori concentrazioni di lattoferrina, immunoglobuline e cellule infiammatorie. Bovine che producono più di 25 Kg di latte al momento della messa in asciutta possiedono una minore quantità di leucociti e macrofagi nella mammella e sono di conseguenza più esposte alle IMI, rispetto a quelle che producono meno di 14 Kg (Silanikove et al., 2013). Secondo gli Autori, ridurre la produzione delle bovine prossime al dry period potrebbe rappresentare una valida strategia per diminuire il rischio di IMI. All’approssimarsi del parto la cisterna del capezzolo ed il sistema duttale si dilatano (colostrogenesi) e lo strato di cheratina che occlude il capezzolo inizia ad essere rimosso. Ciò fornisce una via di ingresso per i patogeni ed incrementa il rischio di IMI. La strategia vaccinale per contrastare le IMI ha ricevuto modeste attenzioni nella bovina da latte e la maggioranza delle aziende fa uso della così detta “terapia in asciutta”, coadiuvata o no da prodotti sigillanti per il capezzolo. Nella specie ovina e caprina tale pratica ha trovato trascurabile impiego in quanto le evidenze scientifiche circa la sua efficacia per la prevenzione delle IMI sono scarse e contrastanti.

Componente emozionale

L’inclusione della terapia in asciutta nei protocolli di gestione del dry period ha favorito la pratica dell’interruzione improvvisa delle mungiture, senza interesse per gli effetti sullo stato emozionale dell’animale. E’ stato ipotizzato che le bovine sperimentino dolore se prima della sospensione delle mungiture non è ridotta la produzione lattea (Bertulat et al., 2013; Silanikove et al., 2013). Diminuire o sospendere la distribuzione di alimento per raggiungere questo obiettivo può risultare dannoso per il benessere delle bovine: esse sperimenteranno il senso della fame (Velizabeth et al., 2008). Infine è stato suggerito che le lattifere sono fortemente motivate ad essere munte e che anche cambiamenti improvvisi nella loro routine possono rappresentare esperienze negative (Zobel et al., 2013). Ridurre la densità energetica della razione potrebbe essere utile per diminuire la produzione lattea prima dell’asciutta ma permane il rischio di compromettere metabolicamente l’animale (Odensten et al., 2007) o di indurre comunque la sensazione di fame. Nelle bovine adulte le vocalizzazioni possono essere correlate con periodi di distress quali isolamento sociale, dolore e fame. Studi in campo umano indicano che alti livelli di proteine nell’alimento aiutano a promuovere il senso di sazietà (Veldhorst et al., 2008; Jonhstone, 2013). Offrire un alimento con maggiore contenuto proteico, appetibile  e con minore densità energetica quale il fieno d’erba (Valizaneh et al., 2008) potrebbe rappresentare una strategia efficace per ridurre la produzione lattea prima dell’asciutta e contemporaneamente indurre sazietà.

La congestione mammaria che si realizza in seguito all’interruzione delle mungiture può provocare danno tissutale e dolore. In medicina umana ad esempio non è consigliabile sospendere all’improvviso la rimozione del latte. Silanikove et al. (2013) suggeriscono che l’incremento delle vocalizzazioni in bovine asciutte che producevano più di 25 Kg di latte/gg possono essere indicative di congestione mammaria e di dolore. Secondo Osterman e Redbo (2001) e O’Driscoll et al., (2011) anche la diminuzione del tempo che la bovina passa distesa è un indicatore di eccessiva pressione intramammaria. Tucker et al. (2009) non hanno riscontrato variazioni nel tempo speso per il riposo, ma nel loro studio le bovine producevano meno di 10 Kg/gg in media e l’aumento di consistenza della mammella era modesto. Chapinal et al. (2014) osservavano variazioni nel comportamento di riposo solamente nelle primipare alla fine della loro prima lattazione. Leitner et al. (2007a) riportano invece che bovine che producevano 25 Kg/gg trattate con idrolizzato di caseina per via intramammaria riposavano a terra per una quantità maggiore di tempo rispetto a quelle non trattate. L’idrolizzato di caseina accelera l’involuzione della mammella e riduce la pressione e la congestione del parenchima. La consistenza della ghiandola era aumentata per i primi 4 giorni nelle bovine non trattate mentre in quelle trattate essa diminuiva fin dal primo trattamento. Purtroppo studi che considerino gli effetti dell’interruzione delle mungiture sul benessere dei piccoli ruminanti sono assenti.

Così come per il dolore, anche la misura del grado di frustrazione è indiretta. Quando una bovina è stata abituata ad essere munta un certo numero di volte al giorno, ostacolare la sua motivazione a farsi mungere (ad esempio con l’improvvisa messa in asciutta) impedisce il raggiungimento dell’obiettivo e l’ottenimento di una ricompensa. In seguito a ciò l’animale potrà mostrare comportamenti anomali. Gli studi in questo campo sono poco numerosi ma alcuni lavori hanno associato la sosta davanti al cancello del recinto alla mancanza di mungiture in bovine in lattazione. Zobel et al. (2013) hanno osservato che quando le bovine erano messe in asciutta tramite interruzione improvvisa delle mungiture, piuttosto che con mungiture alternate per 5 giorni, il primo gruppo sostava davanti al cancello di uscita con una probabilità 5 volte maggiore rispetto al secondo. Questo comportamento era associato alla frustrazione per la mancanza di mungiture e per la congestione mammaria. Tucker et al. (2007) hanno abituato le bovine ad essere munte da due a una volta al giorno senza osservare comportamenti anomali. Questi risultati suggeriscono che gestire gradualmente i cambiamenti nella routine degli animali può essere di supporto nel mitigare i comportamenti negativi attuati in risposta a variazioni improvvise.

Confronto con modello di vita naturale

La moderna Frisona  produce al momento della messa in asciutta la quantità di latte che nel 1975 si otteneva al picco. I modelli predittivi mostrano che sono necessari più di 700 giorni di lattazione perché la Holstein riduca la sua produzione ai livelli che una volta erano considerati idonei per la messa in asciutta (Cole et al., 2011). In base a questa affermazione è possibile che 305 giorni standard non siano idonei per la moderna bovina ad alta produzione e che lattazioni più lunghe siano di beneficio: Ratnayake et al. (1998), Osterman e Bertilsson (2003) e Osterman et al. (2005) hanno adottato, in un allevamento intensivo, un periodo di 18 mesi senza osservare effetti negativi su fertilità, salute della mammella o produzione lattea totale. Nei sistemi di allevamento al pascolo Auldist et al. (2007), Kolver et al. (2007) e Butler et al. (2010) hanno riportato conclusioni simili ma con 22 e 24 mesi di lattazione. Zobel et al. (2015) hanno osservato che nella specie caprina gli allevatori tendono a gestire il periodo dell’asciutta in base alla produzione del singolo animale: succede in tal modo che alcune lattifere vengano munte senza interruzioni.

Per quanto riguarda la possibilità per il vitello di alimentarsi dalla madre, alcuni studi riportano una minore incidenza di IMI (2% vs 29%) e la diminuzione della SCC (somatic cells count) nelle bovine che oltre ad essere munte meccanicamente, allattavano anche il vitello (Walsh, 1974; Froberg et al., 2008). Al tempo stesso viene ipotizzato un ritardo nella ripresa dell’attività ciclica ovarica quando il vitello può alimentarsi dalla propria madre (Krohn, 2001), ma Tenhagen et al. (2003) hanno dimostrato che attendere 3 settimane (ossia un ciclo estrale) prima di procedere con l’inseminazione incrementa il conception rate sia nelle bovine ad alte che a basse produzioni.

In conclusione è difficile quantificare l’incidenza dell’allevamento moderno sul benessere degli animali in lattazione, ma è necessaria una maggiore quantità di studi che indaghi i potenziali effetti benefici di una gestione che si avvicini maggiormente al ciclo di allattamento naturale.

 

Invited review. Cessation of lactation: effects on animal welfare

  1. Zobel et al.
  2. Dairy Sci. 98:8263-8277

DOI: http://dx.doi.org/10.3168/jds.2015-9617