In cucina, l’Argìa aveva esperienza da vendere. Un po’ per questo, un po’, forse, anche per un misto di  circospezione e astuzia contadine, non credeva necessario scrivere le sue ricette. Ma probabilmente non pensava che il suo esempio sarebbe stato determinante per i suoi familiari, che hanno fondato la loro cultura gastronomica e scoperto la loro passione per le buone cose proprio grazie al suo modo di cucinare. Da qui nasce questo libro di Michele Grassi, dal desiderio di un nipote di spiare postumamente la nonna Argìa nella sua cucina, provando e riprovandone i piatti, alla caccia delle dosi giuste, del giusto equilibrio di sapori. “C’è un’attenzione, quasi religiosa scrive Gianna Braghin nella prefazione – per i gesti, i tempi, le azioni e le pause che seguono rituali antichi da mandare a memoria: fare per imparare, imparare per trasmettere ed infine, trasmettere per non dimenticare.” L’operazione di recupero di tutta una tradizione che fa l’autore di questo libro ha il merito di un salvataggio, lo scopo quasi di fissare nella mente una rivelazione preziosa, il gusto di una scoperta.