Tutta un’altra carne” è il titolo di un articolo pubblicato sul numero 1331 del 1 Novembre 2019 di Internazionale, tratto dalla rivista tedesca Die Zeit. Nel box sotto il titolo è scritto testualmente:

Le preoccupazioni per il clima e per la sofferenza degli animali stanno accelerando la transizione verso le alternative della carne. Le multinazionali dell’alimentazione sono pronte ad approfittarne”.

Aspetti salutistici ed etici stanno minando alla base, e con molta efficacia, i consumi dei prodotti del latte in alcune fasce di consumatori occidentali e non solo, come i giovani e quelle più scolarizzate e agiate. Le popolazioni dei paesi non occidentali che stanno registrando una considerevole crescita economica stanno invece consumando più prodotti lattiero-caseari, rendendo quindi il bilancio globale dei consumi positivo. Negli USA il consumo dei “latti alternativi”, o meglio delle bevande vegetali, è cresciuto dal 2010 al 2017 del 60%. In Italia, almeno 12 milioni di persone consumano questo tipo di alimenti.

Già il 15 febbraio del 2019 pubblicammo un articolo sull’argomento,”La carne artificiale e i latti vegetali“, ma il “pezzo” di Internazionale aggiunge molte informazioni su cui riflettere.

La macelleria Fleishers del quartiere newyorkese di Brooklyn si è riconvertita a “macelleria etica”, offrendo e presentando i vari tagli di tagli come gioielli a prezzi che superano i 48 dollari al chilogrammo. Secondo gli autori dell’articolo, il futuro dei consumi sarà fatto di un paniere che contiene carne “vera” proveniente da allevamenti etici, ossia dove gli animali mangiano prevalentemente se non esclusivamente foraggio, e carne artificiale o sintetica proveniente dalle industrie biotecnologiche.

Secondo alcune stime nel 2040 solo il 40% della carne venduta nel mondo proverrà dagli animali allevati.

Già adesso stanno proliferando prodotti ambigui. come ad esempio gli hamburger vegetali offerti da aziende come Beyond Meat, Burger King e Nestlè, solo per citare quelle più grandi e a dimensione multinazionale.

Investitori come Sergey Brin di Google, Bill Gates e Richard Branson, e molti fondi d’investimento, stanno riversando ingenti capitali su startup che lavorano sulla carne artificiale come ad esmpio le israeliane Super Meat, Future Meat Tecnology e Biofood System.

Nel mondo, 4 multinazionali, ovvero le statunitensi ADM, Cargill e Bunge e l’olandese Dreyfus, controllano 2/3 dei cerali e dei semi oleosi destinati sia al consumo umano che animale. Per questi giganti, una riduzione del numero degli animali allevati per produrre latte e carne può non essere preoccupante, dal momento che la popolazione umana a questi tassi di crescita avrà un bisogno sempre maggiore di cereali, proteine vegetali e olio. In ogni caso, queste multinazionali stanno anche loro dirottando capitali verso la produzione delle bevande vegetali e della carne artificiale. La Cargill, in particolare, sta investendo molto sullo sviluppo di quest’ultimo prodotto. Nel 2017 ha infatti acquistato una quota dell’azienda californiana Mephis Meat, nel Gennaio del 2018 ha avviato una collaborazione con Puris, che è il più grande distributore degli hamburger vegetali della Beyond Meat, e a Maggio 2019 ha investito nella israeliana Aleph Farm, che è tra le più promettenti startup del mondo della carne sintetica. Molto interessante ed esplicativo il video pubblicato sul suo Youtube dell’azienda israeliana.

Ovviamente tutto questo è uno scenario futuribile e il progressivo abbandono del consumo della carne naturale è per molti versi inevitabile. Questo processo però può essere rallentato, o addirittura interrotto, affrontando il problema alla sua radice, ossia agendo concretamente sugli aspetti dell’allevamento degli animali da latte e da carne che stanno alla base del fenomeno dell’abbandono dei consumi. Le azioni delle lobbie dell’industria del latte e della carne stanno portando avanti la loro opera di dissuasione ma con troppi “scivoloni”. Un netto miglioramento della qualità della vita dei ruminanti da latte e da carne e l’adozione di pratiche virtuose di allevamento e coltivazione degli alimenti, se certificati con chiarezza e senza equivoci e adeguatamente diffusi, possono inserirsi come “terza via” tra la contrapposizione ideologica dei vegetariani/vegani e le lobby dell’industria del latte e della carne. Un’ampissima fascia di consumatori non ha alcuna intenzione di abbandonare il consumo di questi alimenti ma ha bisogno di garanzie sulla qualità della vita degli animali e sulla sostenibilità delle produzioni. Riportiamo uno stralcio del libro (pagina 116) di Susanna TamaroAlzare lo sguardo” che è a mio avviso molto esplicativo.

“Sa con cosa nutre suo figlio? Con un essere vivente che non ha potuto vivere un solo istante secondo la sua natura, ridotto a pura cosa, ma comunque sempre un essere vivente che, in quanto tale, nella sua breve e disperata vita ha passato il tempo a scaricare nel proprio corpo altissime dosi di ormoni dello stress. Pensiamo che possa far bene a un altro essere vivente mangiare- e dunque metabolizzare dentro di sè– tutto questo concentrato di sofferenza? Bisognerebbe cominciare a rispondere a simili domande, ma ancora una volta assistiamo ad una lotta ideologica. Animalisti contro allevatori e, in questo sterile ed esasperante scontro, si vanifica la possibilità di imboccare davvero la strada del cambiamento. Ogni essere vivente dovrebbe vivere secondo la propria natura. Una mucca la natura di mucca, una pecora la natura di pecora, una gallina quella di gallina. Pascolare brucare, razzolare. La parola “industriale” non si può accoppiare al vivente, perché il vivente non è una macchina, non è fatto di pistoni e bulloni, ma è un essere fatto di carne e sangue, come noi, e che con noi condivide il mistero della vita e della morte. Rinunciare, come vorrebbero molte persone, all’allevamento significherebbe rinunciare a uno dei pilastri della civiltà e della cultura umana. La strada da intraprendere è invece quella di riconvertire le fabbriche di carne di carne in allevamenti rispettosi della natura dell’animale. E rispettando la natura dell’animale, facciamo qualcosa anche per noi. Rispettiamo la nostra stessa natura”.