Sembra che nell’Antropocene la società si aspetti da ognuno noi l’essere sempre disponibile a votare e a consumare, e a farlo in maniera compulsiva.

Votare significa permettere ai più di godere del potere e ai pochi, ormai quasi estinti, di mettersi al servizio del bene comune. Un noto proverbio siciliano recita “cummannari è meggiu ca futtiri”, sottolineando con semplicità e sintesi quanto sia innato nell’uomo il desiderio di essere un maschio o una femmina alfa. La complessa articolazione delle società umane ha permesso anche a chi non ha la prestanza fisica e la bellezza di aspirare a questo status, che per i branchi di animali è quanto di meglio un individuo possa desiderare.

Dalla prima legislatura (1948) della Repubblica Italiana ad oggi ci sono state 19 elezioni politiche (Camera e Senato) con un ritmo di una ogni 3.6 anni, anche se la “fisiologica” durata di una legislatura dovrebbe essere di 5 anni. A questo si devono sommare le elezioni comunali, provinciali e regionali. Innumerevoli sono stati i partiti nati e morti in questi 70 anni di Repubblica. Ogni nuovo schieramento partitico, associativo, culturale e quant’altro ha nel suo statuto le leggi del branco che prevedono che sia composto da un leader (alfa) e da gruppetto di aspiranti “alfa” che esegue con abnegazione gli ordini ricevuti. Così è anche l’organizzazione militare e delle aziende. Pur tuttavia, i maschi e le femmine alfa della specie umana hanno bisogno, per esistere, degli elettori, ossia dell’Homo Elector.

Ci sono eserciti di guru del marketing, che muovono masse di denaro impressionanti, che hanno come mission quella di convincere le persone a consumare quel tal prodotto o ad assumere un determinato stile di vita. Una volta il mktg classificava gli “umani” in poche e nette categorie, magari donne e uomini, giovani e vecchi, ricchi e meno abbienti. Per ognuna di esse tarava il messaggio pubblicitario del prodotto. Oggi l’Homo Consumens è suddivisibile in un numero pressochè infinito di insiemi, ognuno dei quali caratterizzato da peculiari stili di vita e di consumo. Per le aziende è quindi più difficile, rispetto al passato, individuare questa miriade di nicchie e presentare loro i propri prodotti.

L’Homo Elector e l’Homo Consumens sono però due facce della stessa medaglia, cioè dell’Homo Sapiens, specie che con la sua intelligenza, la sua adattabilità e la sua cultura ha piegato le leggi della natura al suo volere. Un animale aggressivo e di una forza spaventosa. Di cui potrebbe diventare a sua volta vittima se non abbraccia con determinazione e rapidamente la cultura.

Sinonimo di forza e aggressività in natura sono i grandi carnivori selvaggi. Chi si cimenta nell’allevarli sa bene che tigri e leoni non si possono domesticare e sono gestibili solo fino a quando non acquisiscono la consapevolezza della loro forza, della loro superiorità fisica rispetto all’uomo. Allora diventano estremamente pericolosi.

Molti guru della politica e del marketing pensano che sia l’Homo Elector che l’Homo Consumens siano perfettamente domesticabili, basta dire e fare le cose giuste e parlare alla loro “pancia” più che al cervello, ossia al loro istinto. Questi “esperti” che la pensano in questo modo hanno forse poca dimestichezza con la cultura, con la storia e con la biologia evolutiva e non hanno mai allevato tigri.

L’Homo sapiens quando diventa consapevole della sua forza tremenda, e si trasforma in Homo Elector in una cabina elettorale o in Homo Consumens in un supermercato, sa che così facendo prende le redini del mondo, premiando o abbattendo partiti e industrie. Diventa un rullo compressore.

Non sappiamo esattamente cosa faccia scattare nella tigre e nel leone tenuti in salotto la consapevolezza della loro forza, e quindi la ribellione, ma sappiamo bene cosa la fa scattare negli uomini. Questo presupposto è stato ben descritto da Ilvio Diamanti in un articolo apparso il 12 Ottobre 2011 su “La Repubblica” che si conclude con questo paragrafo:

“Studiate. Anche se nella vita è meglio furbi che colti. Anzi: proprio per questo. Per non arrendersi a chi vi vorrebbe più furbi che colti. Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Non rassegnatevi. A chi vi vorrebbe opportunisti e docili. E senza sogni. Studiate. Meglio precari oggi che servi per sempre”.