L’ipocalcemia clinica o collasso puerperale è ben conosciuta negli allevamenti perché colpisce le bovine che hanno appena partorito con il sintomo molto caratteristico di non riuscire ad alzarsi e con un sensorio poco presente. La somministrazione in vena di soluzioni a base di calcio aiuta non solo per la terapia ma anche per la diagnosi poichè l’eventuale rapido rialzarsi delle bovine conferma il quadro clinico ipotizzato. Il collasso puerperale colpisce in genere pochissime bovine negli allevamenti. 

Molto più frequenti sono le ipocalcemie sub-cliniche che colpiscono le vacche dopo il parto. Si stima che oltre il 40% delle bovine pluripare sia colpito da questa grave patologia. Le conseguenze sono piuttosto gravi, e comprendono una minore efficienza del sistema immunitario, una diminuzione dell’ingestione e della produzione di latte, un aumento del rischio di sviluppare le altre malattie metaboliche e un ridotto tasso di concepimento al primo intervento fecondativo.  

La bovina elimina con il latte grandi quantità di calcio. Il latte di una bovina in piena lattazione contiene mediamente 1.25 (0.9-1.4) grammi/chilo di questo elemento, che condiziona l’attitudine casearia del latte e la disponibilità di questo prezioso minerale per la salute umana. 

Il colostro contiene circa 4.7 grammi per chilo di latte di calcio, per cui in soli kg 5 di colostro è presente 8 volte la quantità totale di calcio normalmente presente nel sangue. 

Il problema dell’ipocalcemia sub-clinica è molto sentito, al punto che il 50% degli allevamenti statunitensi di grandi dimensioni (>500 capi) utilizza come prevenzione per questa malattia metabolica i sali anionici in preparazione al parto (NAHMS-Dairy 2014). 

Per diagnosticare oggettivamente questa patologia o verificare se gli interventi di profilassi come le diete dell’asciutta e della preparazione al parto sono adeguati, se i sali anionici sono veramente efficaci, se i boli o le paste di calcio scelti sono quelli giusti o se le terapie con soluzioni di calcio in vena o sottocute sono risolutive, è importante monitorare la concentrazione di calcio nel sangue e nel latte.  

Si considera una bovina ipocalcemica quando la calcemia è inferiore a 2.0 mmol/L, anche se valori compresi tra 2.10 e 2.20 sono comunque associati con qualche problema di salute degli animali. Se non si utilizza il metodo SI (Standard International Units) basta moltiplicare il valore espresso in mmol/L per 4,008 per convertirlo in mg/dl. 

Ad oggi non esistono kit diagnostici utilizzabili in allevamento, per cui generalmente si porta il sangue in laboratorio per un esame ematochimico. Grandi sono le opportunità offerte dall’utilizzo della lettura degli spettri del medio infrarosso (MIR) direttamente del latte, la cui concentrazione di calcio è sicuramente correlata con quella del sangue. La misurazione della calcemia delle bovine in vari punti del ciclo produttivo, come la preparazione al parto e i primi giorni di lattazione, può aiutare inequivocabilmente a verificare se in allevamento esiste e eventualmente di quale entità è il problema dell’ipocalcemia sub-clinica, e se i sali anionici, i boli e le paste orali sono efficaci nel tipo e nella dose, in modo da evitare prodotti inefficaci che in alcuni casi hanno effetti collaterali più gravi del problema che dovrebbero risolvere. 

Con metodo e tanta attenzione, senza procedere per sensazioni o tentativi, è facile ridurre la prevalenza della temibile sindrome ipocalcemica sub-clinica, a patto che si ricorra alla diagnostica d’allevamento, al sospetto clinico e, soprattutto, alla misurazione oggettiva della calcemia delle bovine.